#23

JUMP, JUMP

La Mercedes si insinuava per le vie degradate dell'hood. James allungò la vista fuori dal finestrino. I colori rossastri del tramonto tinteggiavano a lunghe scie il cielo, spandendo riflessi dorati tra i palazzoni di un grigio spento. L'afa dei primi giorni di agosto era persistente e una cappa stagnante di umidità imprigionava la città.

Mark gli chiese: «Come procede l'attività? Buone entrate?»

James riportò lo sguardo all'interno dell'abitacolo. «Sì, alla grande. Ogni giorno che passa i clienti aumentano. Agisco di soppiatto, senza farmi notare... in questo modo è anche più facile vendere senza riscontrare fastidiosi grattacapi da parte di pusher più conosciuti, che potrebbero ritenermi un intralcio.»

«Stai facendo la cosa giusta.» Mark si accinse a effettuare un sorpasso. «Sapevo che avevi del potenziale. Continua così, conto su di te!»

James era elettrizzato. Si stavano dirigendo alla festa, che si teneva nel ghetto controllato dalla gang di Mark. Lui era passato a prenderlo, rombando l'automobile di fronte a casa sua per avvertirlo del suo arrivo. James era uscito col passo scattante, scordandosi di salutare sua madre. Gwenda l'aveva osservato senza dire nulla.

«Ieri sono passato a trovare Lucas. Domani mattina lo dimettono. In generale non mi fido molto dei medici, ma devo ammettere che l'operazione è stata svolta nel migliore dei modi... c'è da dire però che ci vorrà del tempo prima che possa riprendere a camminare», dichiarò Mark. Si muoveva con destrezza tra le strade conosciute svoltando ripetutamente a destra e sinistra.

«Stampelle?»

«Proprio così. Ogni volta che ci ripenso, mi mangio le mani sapendo che avevo quel bastardo di Jacob nel mirino!» Mark affibbiò un pugno al volante.

Si stavano inoltrando nella parte più interna e nascosta del ghetto. James non c'era mai stato. Il quartiere criminale era collocato in una zona della città opposta alla sua, quella sud, e gli erano giunte voci di quanto fosse pericoloso entrarci. Cresceva in lui la sensazione di essere a migliaia di chilometri da casa. Era la stessa città che incorporava il suo quartiere, popolato da famiglie rispettabili e pacifiche?

Mark si sporse di lato e aprì il vano portaoggetti. Una semiautomatica fece la sua comparsa tra documenti scarabocchiati e una confezione di sigari cubani. «Hai visto?! È una Glock, un vero gioiellino.» Mark con un cenno della mano lo invitò a prenderla in mano.

James la impugnò per il calcio, titubante. Era inaspettatamente leggera. Fece scorrere il pollice sul carrello dell'arma. L'acciaio era freddo al tatto. «Con questa sì che ci si sente al sicuro.» Se la rigirò tra le mani, poi la ripose nel cassetto.

«Non si sa mai a cosa si va incontro... e io voglio avere il culo parato in ogni situazione», sentenziò Mark.

Una combriccola di ragazzini di colore era infervorata nello scambiarsi pungenti barre di freestyle sotto l'umile insegna di un emporio.

Mark proruppe: «Ci siamo. Là dentro ci divertiremo alla grande!» Indicò un grosso edificio quadrato, in cemento. Era costeggiato in ogni lato da finestre di vetro opaco, divelte o percorse da crepe.

Mark piazzò la Mercedes vicino ad altre macchine di media e grossa cilindrata. James smontò e gli stette dietro.

Fiancheggiarono un gruppetto di neri appollaiati su un muretto. Uno di loro, alticcio, ingollò un sorso di birra ed esclamò: «Eilà Mark, anche tu qui stasera a far baldoria, eh?» Un durag nero gli bendava la testa a punta.

Mark rispose prontamente: «Ogni tanto bisogna svagare e staccare il cervello, fratello».

James si accorse che lo stavano fissando con fare sospettoso. Mark, come se avesse colto la stessa cosa, puntò l'indice verso di lui e aggiunse: «Stasera ho portato anche lui, uno dei miei spacciatori più promettenti».

James si presentò stringendo la mano ad ognuno dei gangster. Tenne i nervi saldi e mascherò l'apprensione che gli provocava la loro cruda espressione. Si stava sempre di più adattando a quell'ambiente ostile, a rispettarne i rituali non scritti.

Salutarono i gangster e si fecero avanti. Un omaccione presidiava il portone aperto dell'edificio spoglio e trascurato, accarezzando nel contempo la pistola alla cintola. Dopo che l'improvvisato bodyguard scambiò loro un cenno di assenso, entrarono. All'interno facce da galera si divertivano molleggiando la testa a ritmo di musica hip-hop, emessa da un paio di enormi casse disposte lateralmente.

"Saranno tutti legati in un modo o nell'altro all'associazione criminale", dedusse James.

Un dj rasato strisciava con le dita sui vinili e si sbizzarriva nella scelta delle tracce musicali. Ragazze trasandate twerkavano a tutto spiano, scuotendo le natiche direttamente sulle parti basse dei gangster visibilmente eccitati posti dietro di loro. Su un tavolino in ombra erano chinati tre individui, esili e sciupati. Uno di essi, sdentato, aveva una caviglia bendata ed era intento nell'infilzare una cannuccia corta al centro di una bottiglietta di plastica. Erano degli zombie, noncuranti di tutto ciò che succedeva intorno a loro.

James era perplesso. «E quelli che stanno facendo?»

Mark li osservò: «Si fanno di crack, James. Tossici a uno stato avanzato...» Uno di essi fissò della carta stagnola al posto del tappo. Era sdentato e le sue gengive erano affossate da scuri crateri. «È la droga dei poveri. Ha conseguenze devastanti, e basta poco per restarci secco...» Il suo disprezzo era palpabile. «Noi ci limitiamo a venderla, frutta parecchi quattrini.» Un altro, con addosso una tuta sdrucita della Puma, abbassò il capo e inalò la sostanza.

James rabbrividì. Perché nessuno andava a soccorrerli? Intorno a lui c'era solo indifferenza.

«Andiamocene ora», tagliò corto Mark. Si infiltrò nella pista da ballo improvvisata e James sgattaiolò al suo seguito. Non voleva rimanere da solo in un posto del genere. Si intrufolarono tra la gente poco raccomandabile che affollava il centro dell'edificio. Un b-boy[1] con i dreadlocks, fattosi spazio, ruotava a terra orizzontalmente, estendendo le gambe in alto e indirizzando il peso del corpo su mani e testa. Una ragazza, dalla fisionomia sudamericana, se ne stava da sola con una bottiglia di gin in mano.

«Belle tette e bel culo! Mi sa che vado a provarci.» Mark sghignazzò sonoramente e si fiondò su di lei.

James, non sentendosi a suo agio, si spostò verso l'uscita. Fuori era diventato buio e il Boom Bap scandito di "Ready to Die" di The Notorious B.I.G. rimbombava dall'edificio. Davanti ai suoi occhi sfrecciarono immagini sfuse: un gangster ubriaco che molestava una prostituta, un tipo completamente fatto sdraiato sull'asfalto, una signora del ghetto che comprava la droga da uno spacciatore muscoloso.

Il rombo di un motore catturò la sua attenzione. Cresceva sempre di più e si avvicinava, e su di esso se ne accavallavano altri. Dei gangster si erano spostati dal centro della strada e indicavano meravigliati quelle che assumevano sempre più la forma di ingombranti auto. Le vetture, dalle verniciature appariscenti, avanzavano lentamente, saltando con un movimento ritmico. Le sospensioni, modificate, permettevano ai veicoli di balzare su e giù, producendo un fracasso continuo. Una sfilata di lowrider. James le ammirò stupefatto. Non le aveva mai viste dal vivo. Gli uomini alla guida, ogni volta che la parte anteriore dell'auto rimbalzava all'impatto col cemento, si staccavano dal sedile di qualche centimetro, sospinti verso l'alto.

«Jump, jump!», urlavano esaltati gli spettatori.

James sentì chiamarsi. Mark gli veniva incontro, a braccetto con la sua nuova conquista, e gli ululò: «Hai visto, fratello, dove ti ho portato?! Vieni a fare la conoscenza di Isabela...» La ragazza sudamericana gli rifilò un bacio sulla guancia.

Improvvisamente un tonfo sordo squarciò l'aria. James lo percepì, nonostante la musica sparata. Si girò di scatto verso l'origine del rumore. Un cadavere decapitato era contorto al suolo. Non ebbe dubbi sul fatto che fosse stato gettato dall'alto.

Mark, scioccato, sussultò. «M-ma quella è la v-vedetta che era di turno...»

Terrorizzato, James innalzò lo sguardo verso il tetto dell'edificio. Le canne rotanti di una minigun erano spianate su di loro.

RA-TA-TA-TA-TA-TA

Ra-ta-ta-ta-ta-ta. La mitragliatrice aprì il fuoco. La folla che era accorsa dalla festa, sotto tiro, cadde nel panico più cieco e iniziò a fuggire all'impazzata. La breve carovana di lowrider si fermò e i guidatori si abbassarono sotto il sedile per non prendersi una pallottola vagante.

Ra-ta-ta-ta-ta-ta. I colpi tranciarono le gambe ai gangster, facendoli cadere nel loro stesso sangue. Una prostituta schizzò all'indietro centrata da una pallottola sul seno. I proiettili sfrecciavano da ogni parte, mentre la minigun gestita da un uomo col passamontagna ruotava senza sosta. Qualcuno provò a rispondere al fuoco e sparò alla rinfusa. Pozze di sangue si espandevano nell'asfalto. Era in atto una carneficina.

Ra-ta-ta-ta-ta-ta. Dal retro di una casa vicina fecero la loro apparizione vari uomini armati, pronti a unirsi alla battaglia e a sostenere l'agguato, ma non appena si fecero avanti dall'edificio adibito per la festa accorsero fuori allarmati gli altri gangster. Una tempesta di fuoco scoppiò tra i due gruppi. Pallottole giungevano da una parte all'altra, falcidiando entrambi gli schieramenti.

Ra-ta-ta-ta-ta-ta. Mark si era nascosto dietro a una delle lowrider immobili. La situazione di pericolo aveva risvegliato i suoi riflessi: considerando il veicolo un riparo sicuro, ci si era fiondato dietro.

Pose l'attenzione su cosa stava succedendo attorno a lui. Un suo compagno venne trapassato più volte da una scarica di mitra e stramazzò al suolo esanime.

"Figli di troia! Ci stanno ammazzando tutti."

Strinse i denti. L'immagine straziante di Isabela che, ferita al polpaccio, gemeva a terra era disturbante anche per un duro come lui. «Maaark, ayudame, ayudameee!», aveva supplicato la colombiana. Tremò per un istante. Non aveva potuto far niente per aiutarla. Se fosse rimasto per salvarla, sarebbe stato massacrato.

Non si abbatté. Non poteva farlo. Cercò una via di fuga e ispezionò con lo sguardo dove fuggire in ritirata.

Un fucile di precisione era stato abbandonato in un portico a una quindicina di metri alle sue spalle. "Sarà stato perso nell'attacco da qualcuno dei nemici, o lasciato là in quanto scomodo da portare con sé... se riesco ad arrivare fino a là indenne, posso provare a uccidere l'uomo alla minigun". Una flebile speranza si accese in lui. «Se cessa il fuoco di quella cazzo di mitragliatrice, sarà più facile per noi controbattere.»

Con un movimento repentino si alzò e corse verso il porticato. Una pallottola gli sfiorò la coscia, ma non gli impedì di andare dritto verso la sua meta. Scansò un bidone dell'immondizia, fece un salto oltre la staccionata del portico e franò dall'altra parte. Alcune assi di legno si spezzarono sotto il suo peso. Agguantò il fucile, sperando che nessuno degli avversari lo vedesse e si scagliasse contro di lui. La minigun continuava a bersagliare spietata i combattenti. Avvicinò l'occhio destro al mirino ottico e incluse nel campo visivo il bersaglio sul tetto, poi ingrandì leggermente l'inquadratura. Sovrappose il centro del reticolo alla testa del tiratore, tirò un sospiro per allentare la tensione e premette il grilletto. BANG! Il proiettile forò il passamontagna del gangster, impiantandoglisi nel cranio. La minigun si ammutolì.

Mark si passò una mano per asciugarsi il sudore sulla fronte. Aveva appena evitato l'annientamento definitivo dei suoi compagni. Lasciò lì il fucile e si mosse in supporto dei suoi, estraendo la Glock dal retro dei calzoni. Si sporse dal cortile anteriore al portico e sparacchiò qualche proiettile verso i nemici. Notò che indietreggiavano celermente sgusciando tra i rari alberi a bordo strada o attraverso i giardini delle case degradate del quartiere. I suoi compagni stavano contrattaccando armi in pugno, scacciandoli fuori dai confini del ghetto. Si unì a loro e ne sostenne la spinta, incitandone a più riprese l'avanzata. Al loro passaggio i morti accasciati a terra crescevano di unità, ma per la maggior parte erano appartenenti alla gang rivale.

"L'andamento della battaglia si è spostato dalla nostra parte", appurò, quand'ecco che due uomini che lottavano selvaggiamente distolsero la sua attenzione.

James ansimava profondamente. Non appena la minigun aveva cominciato a tartassarli, era filato via e, avvistato il bidone di ferro in uno dei cortili vicini, ci si era coricato dietro. Aveva osservato la scena in silenzio, pregando che la mira non venisse puntata su di lui. I minuti gli parvero interminabili, prima che il fuoco dall'alto cessasse.

"Qualcuno l'ha abbattuto?!", si chiese. Udiva ancora spari, ma non più l'ininterrotta scarica della mitragliatrice. La gola gli bruciava.

Forse l'aveva scampata. Con le gambe molli si sollevò oltre il riparo e scrutò in giro. La zona intorno all'edificio era libera. Decine di cadaveri tempestavano l'asfalto macchiato di sangue fresco. Interiora e organi in poltiglia erano schizzati qua e là a causa dell'urto violento dei proiettili della mitragliatrice contro i corpi dei malcapitati. Spostò lo sguardo dalla strada al portone aperto del palazzone di cemento: al suo interno si erano rifugiate le donne, sciupate in viso per il terrore, e quelli che probabilmente erano inesperti novellini.

James pose i palmi delle mani sulle proprie ginocchia. Poteva respirare, riprendere fiato dopo i lunghi minuti vissuti in apnea. Si mosse verso la strada. Una donna ferita, rannicchiata sul marciapiede, piangeva a singhiozzi. Non si capacitava di come si potesse essere passati dall'allegria condivisa della festa a quel truculento bagno di sangue. Si tirò due pizzicotti sul braccio, come per verificare che non stesse sognando. No, era sveglio. L'incubo era concreto e materiale.

Un rumore di passi lo allertò. James virò lo sguardo. Un nero dai denti cariati si stava lanciando su di lui con un coltello in mano. Se ne accorse in tempo e schivò il fendente letale torcendo il fianco. Con un calcio dritto in pancia fece ruzzolare al suolo l'avversario. Il coltello scivolò a qualche metro di distanza. Prima che potesse rialzarsi, James si tuffò su di lui e lo centrò con un pugno in volto, ma il gangster reagì prontamente e lo spinse lontano. Il nemico cominciò ad avanzare a carponi, avvicinandosi pericolosamente al coltello. Doveva impedirlo, altrimenti sarebbe stato ucciso senza pietà.

James scattò verso di lui e gli saltò al collo, un attimo dopo che l'altro aveva afferrato l'arma da taglio, ma il nemico gli sferrò una gomitata sulla fronte e riuscì a toglierselo di dosso. Non ce la poteva fare, era troppo inferiore fisicamente. Prima ancora che potesse orientarsi, il gangster si fiondò su di lui.

James si dimenò, a terra, e fu in grado di bloccare il polso del suo assalitore, prima che questo potesse scagliargli una coltellata mortale. L'alito disgustoso gli si addentrò nel naso. Il killer gli schiacciò il collo con la mano libera, per indurlo a mollare la presa. Era spacciato. Sarebbe stata così la sua morte, con la giugulare recisa da qualcuno di più simile a una bestia che a un essere umano? Quando ormai l'aria gli veniva a mancare, uno sparo proruppe nelle immediate vicinanze. Un'orbita oculare del gangster si sfondò e un getto di sangue schizzò dal suo capo verso l'alto. Il nemico si immobilizzò e crollò sopra di lui, col viso paralizzato in una smorfia grottesca.

James si scostò di dosso il corpo morto. Mark era in piedi e il suo braccio disteso terminava con la Glock impugnata languidamente.

«C'è mancato poco...» Mark si masticò le parole. Gli aveva appena salvato la vita.

A James salì un conato e si spostò lateralmente per vomitare. Ebbe un capogiro e svenne sul cemento.

Pensieri alla deriva

Non è la prima volta quest'estate che mi trovo a tu per tu con la morte. Tu sei subdola, mi sfiori con le tue unghie aguzze, provi a far sì che mi abbandoni tra le tue braccia scheletriche. Sgusci tra gli anfratti di roccia friabile che la mia vita sbandata ti concede e tenti di rapirmi per sempre. Ma no, non mi avrai, puttana. Una campagna sconfinata mi si spalanca davanti. Voglio tornare bambino e correre senza pensieri in questa distesa di erba che non ha confini, come facevo da piccolo quando mi ci portavano i miei genitori, non ancora divisi da fratture irreparabili, e insieme apparecchiavamo sfiziosi picnic. Mi sento cambiato, in testa mi si formano spesse ragnatele e il mio arbitrio è appannato. Ho volontariamente immerso l'indice in una pozza melmosa, e ne è rimasto incastrato.

James

SIGLA D'APERTURA

Jennifer si pettinava i capelli increspati. Jacob, assorto nei suoi pensieri, venne distratto dalla sigla d'apertura del telegiornale serale. Le fece un cenno e lei tacque.

L'avvenente giornalista in studio fece la sua apparizione nello schermo della Trinitron di vecchia data. L'apertura del servizio informativo era sempre dedicata al fatto locale più importante del giorno, a quello che faceva scalpore.

La voce impostata della signora di mezza età esordì laconica: "Sembra esserci stato uno scontro a fuoco nel ghetto degradato della zona sud della città. Il rumore di spari è giunto fino agli isolati vicini, come se stesse andando in scena una vera e propria guerra."

Jacob scollò la schiena dalla sedia di plastica. «Oh, parla di noi! Non ho ancora ricevuto aggiornamenti su come sia andata l'azione militare, ma il silenzio tombale dei miei uomini non promette bene», commentò.

Jennifer posò il pettine e ingoiò l'ultimo boccone del taco che si era preparata per cena, tenendo contemporaneamente lo sguardo incollato alla tv. Il siamese dalle striature chiare acciambellato sulle sue cosce miagolò.

"La polizia, messa in allarme dalle numerose telefonate che sollecitavano di intervenire, ha convenuto di muoversi nell'hood per svolgere un giro d'ispezione".

Jacob sbottò: «Porca troia! Questa non ci voleva... pure la polizia tra le palle». Si riconcentrò sul resoconto della giornalista.

Jennifer assunse un'espressione corrucciata. Se le forze dell'ordine avessero trovato dei cadaveri, il prospero futuro di Jacob poteva dirsi segnato. La polizia, non potendo più far finta di niente riguardo gli sviluppi incontrollabili delle rivalità tra gang, avrebbe fatto un'irruzione feroce nei quartieri criminali, con l'intento di porre fine alle disparate associazioni del territorio, tra cui quella di suo fratello.

"Inaspettatamente, le volanti sono state accolte da una calma innaturale. Nella rapida perlustrazione delle strade interne non hanno trovato corpi o tracce evidenti di una battaglia sanguinosa."

Jacob esultò alzando il pugno. «Hanno ripulito tutto, dal sangue ai cadaveri». Il suo tono si fece subito dopo grave e risoluto. «Con buone probabilità abbiamo perso. Se i nostri nemici fossero tutti schiattati nell'agguato, la strada sarebbe stata ricoperta di morti e i miei non si sarebbero impegnati più di tanto nel farli sparire, in un quartiere che non è sotto il nostro dominio militare.»

Jennifer lo ascoltava attentamente. I traffici criminali di Jacob erano salvi.

«In realtà, per quanto avremo perso tanti uomini, questo ci giova. Almeno l'abbiamo sfangata e non ci troviamo contro i cops. E lì sì che sarebbero grossi cazzi...»

"Seppur insospettiti, le pattuglie in mancanza di prove hanno lasciato il presunto luogo del crimine, confermando allo stesso tempo l'intenzione di vigilare con più rigore nelle prossime settimane. Passiamo alle notizie successive..."

La giornalista si ravvivò con la mano i capelli cotonati e proseguì seguendo la scaletta definita. Jacob schiacciò un bottone del telecomando, con l'accortezza di tenere fermo il braccio sostenuto dal tutore. Le immagini a colori furono risucchiate in un lampo e la tv si spense.

Jennifer si pulì le dita sporche di sugo su una tovaglietta. «Mi dispiace che abbiate subito una sconf...» Si interruppe per una fulminea occhiataccia di Jacob.

«Non è comunque certo, aspetto la conta dei decessi... e può darsi che tra loro ci sia anche lui», sogghignò.

Jennifer capì che si si riferiva a Mark. Non si augurò che il suo ex fosse stato ucciso, sebbene fosse in conflitto con lui e non volesse più vederlo per ciò che aveva tentato di fare a Jacob. Suo fratello, al contrario, non bramava altro che farlo fuori, dopo la ferita che gli aveva provocato.

«Finalmente ti sei decisa a lasciarlo...» Jacob riaprì l'argomento. «Ce ne hai messo di tempo! Mi hai fatto usare le cattive maniere, non ti convincevi.»

Jennifer posò gli occhi sui lividi che le coloravano il braccio, ormai pallide macchie violacee. La possessività di suo fratello e il dominio che esercitava su di lei si stavano aggravando sempre di più. Distolse lo sguardo. Di fronte a un uomo del genere sentiva di essere completamente impotente.

Il gatto rizzò la coda e scivolò via da lei.

[1]Indica originariamente un ballerino di break dance.

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