#21
CENTINAIA DI VERDONI PERSI
Mark tamburellò agitato le dita sul volante. Dalla posizione in cui aveva messo in sosta la Landyacht nera di seconda mano, all'incrocio della strada, riusciva a tenere sott'occhio la scena interessata. La luce lunare rischiarava l'asfalto consunto del ghetto, cani irrequieti latravano fendendo la quiete notturna. I tre compari, scesi dall'auto, si erano avviati con passo svelto verso la crack house, col passamontagna calato in faccia.
Il loro informatore, un gangster appartenente alla gang di Jacob, in cambio di qualche centinaia di dollari aveva dato loro indicazioni su come muoversi: l'orario in cui arrivare, il punto giusto dove piazzarsi con l'auto, il breve tragitto a piedi per raggiungere la destinazione. Quella sera niente vedette appostate a controllare le vie, aveva assicurato. E in effetti non sembrava esserci nessuno: l'hood nemico era desolato.
Eppure Mark non si sentiva al sicuro, una sensazione sinistra lo teneva in apprensione. Avevano fatto bene a fidarsi? Anche chi dava l'impressione di essere un alleato poteva voltare le spalle, tradire quando uno meno se l'aspettava. Quel giovane dal viso meno minaccioso rispetto a quello dei suoi affiliati gli era parso affidabile. Stando alla sua confessione Jacob tendeva a non garantirgli la parte che gli spettava, perciò si era proposto a loro, bisognoso di denaro. Nonostante tutto, nemmeno in queste situazioni l'incolumità era salvaguardata fino in fondo.
Baciò la croce dorata della sua collana, auspicando la buona riuscita della missione. Seppure fosse favorevole a quell'azione principalmente per vendicare Lucas, in realtà era stata la volontà di chiarire a Jacob, usando le maniere forti, di non intromettersi nei loro affari ad aver spinto i superiori della sua gang a propendere per quell'attacco a sorpresa. Consapevoli di essere a un punto di svolta, avevano stabilito che se quella mossa avesse innescato come conseguenza uno scontro armato prolungato non si sarebbero tirati indietro: per assoggettare un territorio più ampio prima o poi sarebbe stato inevitabile.
"Dopo che conterà i suoi morti, voglio proprio vedere se alzerà ancora la voce", pensò Mark stringendo il volante con le mani sudate.
Lanciò un'occhiata agli altri: si erano affiancati alla staccionata della crack house e stavano preparando le molotov. La tensione cresceva. Una calma piatta, poco rassicurante, lo teneva all'erta.
I suoi compagni accesero le bottiglie con l'accendino e le scagliarono attraverso le finestre aperte. Da lì dentro, entro pochi secondi, si sarebbero dovute udire grida lancinanti e urla di disperazione di uomini avvolti dalle fiamme. Ma non successe nulla di tutto ciò. Mark sentì il rumore delle bottiglie di vetro frantumarsi al contatto col pavimento di legno. Le prime fiammate incandescenti iniziarono ad attecchire e il legno a sfrigolare. I tre gangster si misero in posizione, pronti a sparare appena i rivali fossero usciti di corsa.
Mark cacciò la testa fuori dal finestrino alla sua sinistra e appurò che dall'interno dell'abitazione non arrivava nessuna risposta. Là dentro non c'era anima viva. Erano stati presi in giro, come dei pivelli. Urlò ai suoi: «Cazzo, cazzo, cazzo! Tornate indietro!» Mentre questi tornavano a grandi falcate verso l'auto, notò che dalla porticina di un garage, situato di fronte alla crack house in preda al fuoco, spuntava la canna di un AK-47.
Una scarica investì i gangster in ritirata, azzoppando due di loro lungo la strada. L'asfalto si colorò di rosso.
Mark contrasse il volto in una maschera di terrore. Ad urlare erano i suoi, non gli avversari. Ebbe un momento di abbattimento e confusione, ma si riprese subito. Afferrò l'Uzi dal sedile laterale e lo caricò sbrigativamente. Poi accese il motore e accelerò, spostandosi in direzione dei feriti.
Recuperò un briciolo di razionalità. "Devo far loro da scudo, cosicché si possano riparare", stabilì. La puzza di bruciato si faceva più intensa.
Varie raffiche di mitra provenivano dai prefabbricati attorno a loro. I proiettili sibilavano nell'aria con fischi stridenti e i bossoli rimbalzavano nel cemento, come una violenta grandinata. Mark lanciò la berlina ad alta velocità, fino a inchiodare con un sobbalzo nei pressi del suo compagno ancora in fuga. Due proiettili l'avevano sfiorato e un rivolo di sangue sporcava la sua maglietta, rosicchiata dal passaggio delle pallottole. Prima che venisse colpito a morte, il socio si fiondò con un salto in avanti al riparo dietro l'auto. Gli shooter di Jacob iniziarono a svuotare caricatori sulla carrozzeria. I vetri oscurati e antiproiettili della Landyacht reggevano a malapena la fitta rete di cartucce.
Mark buttò un rapido sguardo agli altri due affiliati, stramazzati al suolo. Erano morti, crivellati in tutto il corpo. Ringraziò il Signore che gli spari provenissero solo da una direzione, e non dalle loro spalle. "Non siamo circondati, grazie a Dio."
Strillò: «Muoviti, bro! Entra in auto e ce ne andiamo!» Il compagno si era impuntato nello sparacchiare un po' alla cieca, sporgendo il mitra da sopra il tettuccio, come se volesse dar una lezione ai rivali e vendicarsi della disfatta che stavano subendo.
"Che cazzo sta facendo?!"
Un nemico venne bersagliato da una raffica fulminante e precipitò da una finestra sopraelevata giù sull'erba, provocando un tonfo sordo. «Bel colpo, ma ci conviene filare! Sono troppi», sollecitò l'amico.
Dal retro di un'abitazione apparve una faccia conosciuta: Jacob. Imbracciato un fucile di grosso calibro e munito di giubbotto antiproiettile, si muoveva furtivamente verso un punto che gli fornisse un miglior angolo di tiro. Se Jacob avesse mirato al motore dell'auto per loro non ci sarebbe stato scampo. Andava fermato. Il suo compagno non sembrava essersi accorto di lui, del tutto distratto nello sparare verso bersagli confusi e nascosti. Ci avrebbe pensato lui.
Mark aprì la portiera alla sua sinistra e si issò col corpo oltre il tettuccio. Fischi gli sfrecciarono sopra al capo, disegnando traiettorie mortali. Si stava giocando la vita, era questione di istanti. Stese il braccio indirizzando la canna dell'UZI verso il target ed aprì il fuoco. Fece fatica a mirare, ma alcuni dei colpi scagliati dalla mitraglietta dotata di silenziatore bucherellarono il braccio destro di Jacob. Il boss arrancò dolorante e il fucile gli cadde di mano, prima che potesse far partire una singola pallottola.
Alla vista del proprio capo ferito, il fuoco dei gangster diminuì. "Sono scossi, questo risvolto non se lo immaginavano", pensò Mark fieramente. Ora c'era solo una cosa da fare: andarsene a tutto gas. Rientrò in auto, il compagno lo imitò montando nei sedili posteriori. Schiacciò l'acceleratore e fece un'inversione, provocando uno stridio assordante, poi si mise in careggiata e filò via. Gli spari cessarono a intermittenza, mentre si allontanava dal tragico bagno di sangue.
Era arrabbiato. L'azione punitiva era stata un fallimento. Avevano perso due uomini e si erano fatti fregare.
Dallo specchietto retrovisore vide l'altro togliersi il passamontagna e la maglietta, fradicia di sudore, e tastarsi i tagli. «Come pensavo, niente di grave», affermò il socio. «È andata malissimo, cazzo.»
«Almeno ho ferito quel bastardo», dichiarò Mark. Jennifer non avrebbe accolto bene quella notizia. Le aveva mentito, quando le aveva detto che non avrebbe provato a vendicarsi. Era però pronto ad affrontare la bufera in arrivo.
La voce proveniente dal retro dell'auto dichiarò mestamente: «Ce ne siamo andati con due compari stecchiti, in sostanza».
«E centinaia di verdoni persi, fanculo!», concluse lui.
GUERRA
Tony era esterrefatto, incapace di metabolizzare che qualcuno fosse andato vicino a far fuori il suo capo. Jacob era al centro del garage, sul lettino, circondato dai più stretti sottoposti. Colin rimosse l'ultima pallottola, conficcata vicino alla spalla, e la ripose sul pezzo di scottex, sul quale erano disposte le altre. Il medico viveva da parecchi anni con la famiglia nell'hood sotto il loro controllo e, grazie alla sua proficua esperienza da dottore, era il punto di riferimento a cui rivolgersi quando un membro della gang rischiava di rimetterci la pelle.
Quattro colpi in totale. La carta che avvolgeva il cigolante lettino era macchiata di sangue. L'espressione di Jacob era contratta in una smorfia di dolore. Agli occhi di Tony era come se non fosse più ammantato da un'aura divina, non più intoccabile nella sua dimensione dai connotati quasi sacrali. Anche Jacob poteva perire, come tutti gli altri.
«Maledetto! Ha cercato di uccidermi...» Ringhiò Jacob. «Ma Dio ha voluto che rimanessi in vita. Ora sì che per quei bastardi son cazzi amari!» Un odore di olio motore misto a vernice lo fece tirare su col naso.
Colin premette il panno bianco sulla ferita per frenare la fuoriuscita di sangue. «Dopo aver bloccato l'emorragia, ti metterò i punti. Purtroppo però il tuo braccio non sarà più utilizzabile, dovrai tenere un tutore.».
Jacob soffocò un gemito. «Grazie tante, amico. Abbiamo sempre una profonda stima nei tuoi confronti, per quante volte ci sei venuto incontro.» Fece due profondi respiri e si placò. Doveva pazientare e il dolore sarebbe via via diminuito. «Dagli subito i soldi che gli spettano», ordinò a Sam. La luce della lampadina tremolava schizofrenica
Due gangster entrarono dalla serranda aperta del garage, sollevando un corpo senza vita. Lo posarono bruscamente sul pavimento impolverato. Era il cadavere del latino-americano.
Jacob si inferocì. «Nooo! Hanno ucciso Armando...»
Ebbe un istante di spaesamento. I vari proiettili avevano trapassato il collo di Armando, che stava ritorto in una posizione innaturale. Colin si coprì il volto, impressionato.
Appena si riprese dalla scossa emotiva, Jacob dichiarò con tono grave: «Era uno dei più fedeli, disciplinati e scaltri tra tutti i gangster che abbia mai conosciuto». Colin aveva appena scostato il panno insanguinato per accertarsi che la ferita non sanguinasse più.
Tony si mosse in avanti e intervenne: «Due di quei pezzi di merda li abbiamo stecchiti. Sono in mezzo alla strada, in una pozza di sangue».
«Poco cambia, rimane un affronto inaccettabile. Ora occupati di far sparire i corpi!», gli comandò Jacob. Non dovevano essere lasciate prove che attestassero il compimento di un duplice omicidio. Se la polizia avesse avuto solo il vago sentore di quello che era successo, si sarebbero trovati un'intera caserma nelle loro vie. Gli uomini in divisa potevano infischiarsene e tollerare molti aspetti della vita criminale, preferendo non immischiarsi in un pantano difficile da gestire, ma se c'era una cosa su cui erano intransigenti erano proprio gli omicidi. Bisognava avere un occhio di riguardo quando c'erano dei morti. Bruciare i cadaveri o gettarli in pasto ai pesci erano le alternative possibili.
«Ho sentito che avete spento il fuoco alla crackhouse. Nei prossimi giorni vi adopererete per innalzarne un'altra... lasciatemi solo con il doc ora, sono molto stanco», comunicò agli altri. Colin estrasse dalla cassetta medica ago e filo.
Jacob si distese sul lettino. Stava già pensando alla controffensiva. I suoi rivali avevano scelto coscientemente di far iniziare una guerra. E lui avrebbe risposto in modo feroce. "Peggio per loro... non avremo nessuna pietà." Grugnì. "Il tempo di giocare è finito."
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