#18

GIUNGLA

James sbucò in giardino. Aveva terminato la "roba" e si era recato lì per procurarsene altra. Il cortile di Mark, retrostante la sua villa, era ormai una tappa d'obbligo per il proseguimento della sua attività. Ogni volta che James ci metteva piede se lo raffigurava come un porto losco e malsano, dedito al traffico di merce illegale. La differenza risiedeva sul fatto che si affacciava su una piscina dalle mattonelle brillanti e non su un mare sudicio a causa degli scarichi fetidi riversati dai marinai.

Una ragazza fumava placida sullo sdraio, a pancia in giù, mentre Mark le massaggiava la schiena, liscia come un ciottolo levigato. Era la stessa tipa che aveva notato alla festa di giugno.

"È uno schianto", considerò James quando lei si tirò su con avvenenza, girandosi nella sua direzione. Le si presentò come amico e socio in affari di Mark.

La mulatta reagì in modo compassato. «Piacere, io sono Jennifer. Anche tu sei entrato nel giro, mi pare di intuire», commentò apaticamente. Doveva essere certamente consapevole di cosa lui intendesse per "socio", come se le fosse capitato più di una volta di sentirselo dire da conoscenti del suo fidanzato.

Mark fece un salto nel retro di casa e tornò con una busta in plastica ricolma d'erba. «Andiamo a preparare le dosi, James», chiarì.

Si appartarono in soggiorno, sul sofà.

Jennifer si mise a pescare dalla busta la marijuana e a pesarla su un bilancino, prima di confezionare la giusta quantità nel cellophane. "Ci sa fare", appurò James.

Mark gli chiese di raccontargli com'era andato l'avvio dello spaccio e se avesse avuto problemi di qualche tipo.

«Le consegne vanno bene, nessuno scazzo degno di nota fortunatamente», replicò James. La sua cerchia di consumatori stava assumendo contorni più definiti, con l'acquisizione di clienti abituali, e si allargava ogni giorno di qualche unità. Grazie all'apporto della sua compagnia di skater, qualcuno che ruotava attorno allo skatepark gli si era fatto avanti interessato a rifornirsi. Il suo telefono di casa squillava più spesso del solito e ogni volta un accento diverso faceva la sua comparsa dall'altra parte del filo, chi alla caccia di qualche grammo a basso costo, chi intenzionato a richiedere informazioni di carattere generale, come il prezzo o la qualità dell'erba.

«Solo un piccolo impedimento con una vecchia tossica, poco propensa a pagare...», appuntò.

Gli era capitato infatti che una signora l'avesse chiamato per procurarsi della sostanza. Il punto d'incontro concordato, un parchetto incassato tra i palazzi e nascosto da folti salici, era distante, non raggiungibile a piedi, così si era spostato per il labirinto di strade della città con il bus. Nel tragitto aveva tenuto alta la soglia di attenzione, spostando gli occhi freneticamente da una parte all'altra per esser certo che non ci fosse polizia alle sue tracce o nei paraggi. Mark gli aveva intimato che se fosse stato colto in flagrante non gli conveniva spifferare il suo nome, e lui avrebbe adottato ogni accorgimento per non cacciarsi in quella circostanza sgradevole.

«Dunque, mi sono avvicinato a lei e ho chiesto i soldi che mi doveva. Aveva un aspetto poco raccomandabile, malandato... pupille spalancate, sudorazione intensa, corpo scavato e irrequieto: con buona probabilità era in astinenza da droghe pesanti. Voleva che prima le dessi l'erba, che poi avrebbe tirato fuori i soldi... diceva di non fidarsi, che temeva che fuggissi con il denaro.»

«Spero tu non ci sia cascato, fratello... è un trucco comune», sentenziò Mark.

«Le ho intimato che senza pagarmi poteva pure smammare. E qui ecco il colpo di scena: mi ha agitato davanti un coltellino e mi ha minacciato di farmi del male, se non le avessi dato la roba gratis.» Era stato previdente e anche in quell'occasione si era attrezzato per evitare situazioni spiacevoli. Riponeva sempre in una tasca interna del suo zaino un coltello a serramanico, come arma di difesa da utilizzare in caso di necessità.

«Insomma, le ho risposto spianandole contro il coltello. L'ho tenuta a distanza e lei, avendo capito di non potermi fronteggiare, soprattutto malridotta com'era, si è allontanata. Mi ha insultato un paio di volte prima di dileguarsi.» Fece una pausa. «Ovviamente i soldi non ce li aveva, ma ha sbagliato di grosso a ritenermi uno stupido.»

«Ti sei difeso bene... non fidarti mai del prossimo, la strada pullula di serpi infami», concluse Mark.

James assentì col capo. Giorno dopo giorno, consegna dopo consegna, apprendeva sempre di più come cavarsela nella fitta giungla delle strade e in che modo affrontarne i potenziali pericoli.

Jennifer terminò la preparazione delle dosi e gliele passò.

"Ok, rifornimento fatto"

COLPO DI FULMINE

«È bellissima, Jeff.»

Chloé mescolava lo zucchero nella tazza di cappuccino. Poche persone affollavano il bar. Una coppia di anziani occupava un tavolino, un uomo paonazzo in viso trangugiava un bicchierino di sambuca appoggiato al bancone. Dalle sue occhiaie infossate c'erano pochi dubbi sul fatto che fosse rimasto sveglio tutta la notte.

«C'era anche alla festa di Mark... non l'avevi già notata?» Jeff addentò la soffice brioche alla marmellata.

«Disgraziatamente no...» Chloè sgranò gli occhi per la meraviglia. «... ma ora il suo nome rimarrà scolpito nella mia memoria.»

Jeff sbatté le ciglia volutamente in modo smielato.

«Dai, scemotto!» Chloè alzò gli occhi al cielo, divertita. «Se non la pianti ti stendo con una mossa di wrestling.»

Il ragazzo italiano che gestiva il bar stava chiarendo all'ubriacone che quello sarebbe stato l'ultimo bicchiere che gli avrebbe servito in mattinata. Lui barcollava, balbettandogli che aveva ancora sete.

«È stato un colpo di fulmine! E senza che fosse previsto un temporale, ahah», riprese il discorso Chloè.

«Battuta terribile...», Jeff scosse il capo rossiccio e palesò un sorriso ricolmo di sarcasmo.

Chloè precisò: «Insomma, Jeff, chi si aspetterebbe che in un noioso giorno d'estate una lesbica incompresa come me trovasse la sua anima gemella?» Le sue labbra carnose erano velate di schiuma.

Aveva appena raccontato a Jeff che la domenica passata aveva fatto un salto al centro commerciale con suo padre per fare due compere, delle nuove lampadine e un aspirapolvere. Passeggiando tra gli ampi corridoi interni si era casualmente imbattuta in Grace e un'altra ragazza, lì con lei. Avendo constatato che non era Sarah, si era chiesta se Grace avesse litigato con lei per la lezione che James e Jeff avevano impartito a Scott al party scolastico. Grace l'aveva salutata affettuosamente, contenta di rivederla, e le aveva presentato la sua amica: Lia.

Lia. Accostava il nome a una dolce melodia sprigionata dai tasti di un pianoforte.

L-i-a. Quelle tre lettere risuonavano ancora a distanza di giorni nella sua testa, evocandole piacevoli scenari. Lia aveva capelli castani e occhi verdi, penetranti pure da dietro le lenti degli occhiali da vista. La gonna a fantasia floreale che terminava sopra le ginocchia della ragazza più bella che avesse mai visto aveva stuzzicato impercettibilmente la sua fantasia. Tutti quei dettagli l'avevano subito rapita.

Jeff piegò la testa di lato. «Che esagerata! Mi sembra tu ti stia facendo troppi viaggi mentali... per un semplice saluto, poi.»

«No! Non minimizzare... non era un saluto come gli altri», specificò.

Jeff si spostò dalle labbra il bicchiere dal quale stava sorseggiando il succo alla pesca. «Beh, ma quindi? Cosa ti ha fatto pensare che da parte sua ci sia dell'interesse? E prima di tutto, che abbia un'attrazione per le ragazze...»

«Non ho nessuna verità in tasca, ma prima di commiatarci mi ha regalato un ampio sorriso, con tanto di occhiolino, direi, ehm, ambiguo.»

«Wow! Devo darti atto che è un buon segnale, allora», esclamò il suo amico sbalordito.

«Senti, potresti provare a carpire qualche informazione da Grace. Hai sicuramente più confidenza con lei di quanta ne abbia io. Mi scioglierebbe ogni dubbio...»

Jeff abbassò il tono, come per non farsi sentire: «Sì, potrei chiedere a Grace e capirne qualcosa in più. Essendo sua amica intima, mi aspetto che sappia di una sua presunta omosessualità».

Chloè esultò: «Grazie Jeff, sei un vero amico. Aspetto buone nuove, allora!»

Jeff gli schiacciò un cinque e terminò la brioche.

Nello stesso momento l'alcolizzato franò a terra e il suo bicchiere si frantumò in appuntite schegge di vetro.

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