#15
SNITCH SCHIFOSO
Jacob osservava dal parabrezza della berlina le fitte gocce di pioggia cadere dal cielo plumbeo. Accusò un tremito di freddo. Seppur fosse luglio, il termometro dell'auto segnava una temperatura più bassa del solito. Si strinse dentro al suo bomber oversize in pelle nera e si accese un sigaro. Il fumo si sparse per l'abitacolo. Vincent guidava la Cadillac Fletwood verso la meta prestabilita, situata all'interno della loro zona di competenza. Jacob tirò una boccata dal cubano. L'auto era stato il primo sfizio che si era concesso dopo aver racimolato soldi con la vita di strada. L'hood, il quartiere degradato, ormai completamente in loro dominio, appariva spettrale e ancora più grigio del solito, a causa dell'imperversare del maltempo. Se avesse dovuto pensare ad una cartolina turistica che fungesse da biglietto da visita per quel microcosmo ai margini, prefabbricati fatiscenti e giardini incolti sarebbero stati gli elementi cardine da cui sarebbe partito. Tony era seduto dietro. Teneva posato sulle ginocchia un M4, picchiettandolo con le dita e contemporaneamente tastandosi la cicatrice in pieno volto. Erano partiti in tre per la spedizione punitiva. Il loro bersaglio, secondo i calcoli, doveva trovarsi in casa, forse insieme alla moglie e al figlio di tre anni.
"La probabilità di beccare quel pezzo di merda acciambellato sul divano è molto alta... è sempre stato uno scansafatiche", pensò. Non c'era neanche pericolo di essere scoperti: gli sbirri avevano rinunciato a controllare il quartiere e ci avrebbero pensato bene prima di farci irruzione.
La Cadillac slittò sull'asfalto bagnato e si portò dietro a un'alta staccionata. Al di là di essa abitava la loro vittima. Nessuno in giro, potevano muoversi. Jacob spense il sigaro, ricordò a Vincent di tenersi pronto quando sarebbero tornati e scese. Tony lo seguì. La lucentezza fastosa della berlina contrastava con le sporche e scure vie del ghetto. Si avviarono furtivi lungo la staccionata, verso la parte anteriore dell'abitazione. Li accompagnava il ticchettio ritmico della pioggia. Quando la facciata frontale del prefabbricato apparve ai loro occhi, si mossero lateralmente rannicchiandosi dietro a dei cespugli, grondanti d'acqua. La luce all'interno era accesa e dal vetro di una finestra si intravedevano riflessi frizzanti.
"Starà guardando la tv", dedusse Jacob. Strizzò l'occhio a Tony e avanzò in direzione di una finestra laterale, tenendo la schiena abbassata. Tirò su l'anta scorrevole a saliscendi, con accortezza, poi si infilò dentro, stando attento a non urtare l'M4 contro gli spigoli. Una stretta cucina si presentò a lui. Sopra al tavolo da pranzo rimaneva un piatto con degli avanzi di hamburger, mentre il ripiano più alto di un seggiolone era zozzo di pappetta di frutta. Tony era entrato di soppiatto dopo di lui e, di fronte a quella vista, gli sussurrò che il bambino doveva essere in casa.
«Non cambia di una virgola i nostri piani», gli rispose Jacob a bassa voce. Un ghigno perfido si compose sul volto sfregiato di Tony.
Svoltarono l'angolo cautamente e si trovarono in salotto. Jacob lanciò uno sguardo a Tony e distese l'indice davanti alle labbra in segno di silenzio. Un divano dava loro le spalle ed era rivolto verso la tv, che stava trasmettendo una puntata di Baywatch. Una testa con un'ampia chierica, poggiata su un cuscino, faceva capolino dall'estremità superiore dello schienale. Jacob esordì, infrangendo le voci emesse dalla tv: «Jon, siamo venuti a prenderti».
Il tizio si alzò e si voltò verso di loro, di scatto. La sua espressione mutò in puro terrore. Prima che potesse fuggire, Jacob fece partire una scarica di mitra, che bucherellò l'addome di Jon. Un proiettile centrò lo schermo della tv, che si fulminò sprizzando uno sfolgorio elettrico. La vittima cadde all'indietro sfondando di peso il vetro del basso tavolo del soggiorno. «Ahhhhhhh, ahhhhhh». Urlava di dolore, premendosi la ferita che grondava sangue sul tappeto. «Vi prego, r-risparmiatemi... c'è il mio fi-figliolo qua con me.» Da una culla sulla destra spuntava la testolina riccioluta di un bambino. Li stava guardando ammutolito. Tony si mosse verso di lui.
«No, non farlo! Lascia-lasciatelo stare, vi s-scongiuro.» Alle grida del padre Tony si fermò.
«Sei uno snitch[1] schifoso, Jon». Disse Jacob. «E hai abbassato la guardia... ci sottovaluti.»
«Non ho fatto niente, vi-vi siete sbagliati...», implorò Jon, insanguinato. La pioggia picchiettava sommessamente sul tetto in eternit del prefabbricato.
«Ci prendi pure per il culo, insomma...», aggiunse Jacob, furioso. Tony gli diede un colpetto col gomito. Dovevano sbrigarsi. Gli spari potevano aver attirato l'attenzione di qualcuno. Continuò: «Sai che in questo quartiere noi siamo la legge. O sei con noi, o sei contro di noi... e tu hai scelto di schierarti dalla parte sbagliata».
«Chi vi ha detto che vi ho in-infamato? N-non è vero.» Jon strinse i denti.
«Una nostra spia ci ha riferito che da qualche tempo hai iniziato a passare preziose informazioni a una banda rivale riguardo ai movimenti e alla gestione delle nostre partite di cocaina. Ti tenevamo già d'occhio, fino a quando abbiamo avuto la conferma definitiva: sei stato colto in flagrante mentre borbottavi con un opp[2] nella sua auto.» Jacob si avvicinò a lui e gli sputò addosso. «Jon, dovevi stare più attento... queste cose lo sai che si pagano.»
Jon si sentì in trappola. La ferita gli bruciava dolorosamente. Non aveva vie di fuga, era un uomo morto. Maledisse tra sé e sé il giorno in cui si era accordato con l'altro gangster per passargli le informazioni. Aveva gettato al vento la sua vita in cambio di cosa, una manciata di denaro? La disoccupazione in cui versava da mesi non bastava come alibi. Suo figlio sarebbe cresciuto senza un padre, trucidato senza pietà in un piovoso pomeriggio di luglio. Come ultima cosa riuscì solo a rantolare di non far del male al bambino. Il nero con la cicatrice in volto gli stava puntando l'M4 contro. Chiuse gli occhi e pregò di morire subito, per scampare a un'atroce sofferenza.
Tony svuotò l'intero caricatore su Jon in piena faccia, spappolandogli il cranio in monconi sanguinolenti di tessuti e cervella. Il bambino scoppiò a piangere a dirotto. Strofinava irrefrenabile i tozzi piedini sulle lenzuola schizzate di sangue. Jacob tuonò: «Su, andiamocene!»
Abbandonarono di corsa il luogo del crimine. Percorsero a ritroso la staccionata e rimontarono nella Cadillac. Jacob si rivolse a Vincent, al volante: «Problema risolto. Ridotto a brandelli...», tagliò evasivo.
RACCOGLIERE, SMAZZARE, INCASSARE
«Insomma, faccio il college. Studio legge, primo anno finito e, seppur abbia discreti voti, mi fa cagare... è stata una scelta presa più dai genitori che da me. Io non volevo andarci, già da un po' mi son stancato di studiare», disse Mark.
James lo ascoltava, curioso. L'aveva ospitato a casa sua, rassicurando sua madre sul fatto che fosse un suo nuovo amico, una persona a posto. Gwenda gli era parsa un po' intimorita dalla sua presenza, dato che aveva troncato sul nascere ogni forma di conversazione con Mark.
«E pensi di portare a termine gli studi?», gli chiese James con le palpebre cadenti. Si erano appartati in camera sua, a fumare hashish e a discorrere delle questioni in cui Mark era implicato.
«Ci provo, ma non so se ci riuscirò. Gli ultimi esami non sono andati così bene». Distese la testa all'indietro sulla sedia. «I miei genitori non mi capiscono. Io non voglio fare l'avvocato, è un lavoro monotono... la vita di strada invece è un'avventura continua, come se vivessi su delle montagne russe, su e giù ad alta velocità, ed elettrizzanti scariche d'energia ti galvanizzassero di continuo.»
Mark cominciava ad aprirsi, ad abbattere la corazza impenetrabile che ergeva a sua difesa. «E quando ti ci sei tuffato dentro?» James poggiò il sedere sulla scrivania. Un inebriante odore di stufato si sprigionò nella stanza. Sua madre ci stava dando dentro ai fornelli.
«Qualche mese fa. Al college ho racimolato i primi contatti, li ho tenuti buoni e, verso la fine dell'anno accademico, sono stato introdotto abbastanza velocemente... è stata una scelta volontaria, ragionata. Potrebbe sembrare una cazzata, ma ora come ora non tornerei sui miei passi. Sto facendo i money, man», ridacchiò compiaciuto.
«Non ne sei già pieno? Sei di famiglia ricca, facoltosa...»
«Sì, senza dubbio. Ma vedi, James, non è la stessa cosa. Non mi son mai piaciuti i figli di papà, e al college è pieno. Mi danno il voltastomaco. Fare i soldi da solo ha un sapore diverso, e farli così ancora di più... mi sento potente, invincibile, investito di un'aura di grandezza che mi differenzia dalle persone comuni.» Mark si sistemò per trovare una posizione più comoda. La sedia scricchiolò leggermente.
«In questo modo però rischi la pelle ogni giorno...» James storse la bocca.
«Fa parte del mestiere... anche se per adesso non sono andato incontro a seri pericoli. So capire quando cavarmi fuori da determinate situazioni, è un'abilità di cui vado fiero.» Mark fece una pausa. «Oltretutto, come ti avevo già accennato l'altro giorno, tendo più a svolgere compiti secondari, che comportano un rischio minore. Se però c'è da essere operativo sul campo, non mi tiro affatto indietro nell'imbracciare un'arma...» Si schiarì la voce. «...e non ti nego che sia già capitato.»
«Mmm, okay... quindi, sei anche una sorta di copertura per la gang?»
«Bravo, hai colto nel segno. Non sono una persona facilmente sospettabile... i miei sono rispettabili agenti immobiliari, godono di buona fama qua in zona e non solo. Chi si aspetterebbe che il loro figlio sia un criminale a tempo pieno?»
«In effetti ha senso... e, senti, quante sono le armi che tieni in casa? Prima mi avevi detto che hai l'incarico di sorvegliare una parte dell'arsenale della gang... avrai un piccolo deposito.» James si rese che sembrava essere un interrogatorio, ma continuò imperterrito con le domande.
«Sono parecchie, te l'assicuro. Le tengo chiuse in cantina, nella quale i miei non buttano occhio da secoli... nelle nostre crack house c'è più possibilità che siano rubate, o scoperte e messe poi sotto sequestro qualora gli sbirri facessero un'ispezione.» Dopo aver preso una pausa, Mark aggiunse: «Ma non voglio andare oltre, queste sono informazioni troppo riservate... agli altri non farebbe piacere che ti stia rivelando tutto ciò». Rianimò un'altra volta la canna e gliela passò.
Assemblando i vari pezzi e unendo i punti, James si stava facendo un quadro più chiaro e limpido dell'operato di Mark. Il gangster custodiva le armi dell'associazione criminale e si faceva carico di smistare alcune dosi di sostanze ai giovani pusher dell'isolato. Raccogliere bustine e pacchettini, smazzarli ai tossici di lungo corso o a qualche adolescente smanioso di sballarsi, incassare soldi sporchi. Raccogliere, smazzare, incassare. Una buona parte dell'introito finiva agli spacciatori che si erano occupati della vendita diretta in strada, una discreta percentuale a lui e il resto dritto nelle casse della gang. Il nuovo compito che Mark gli affidava consisteva proprio nel cercare nuovi clienti, per poi procedere con la vendita della droga agli stessi. In pratica, diventare uno spaccino da quartiere. Dopo aver smerciato un quantitativo ben stabilito di grammi di marijuana, sarebbe stato libero di tornare alla sua routine precedente. Per qualsiasi problema durante l'attività, poteva rivolgersi a lui. L'avrebbe protetto.
Mark lo confortò: «Raramente si finisce nei guai svolgendo la tua mansione: dai la sostanza, prendi i soldi, te la fili furtivamente... guarda il lato positivo, alla fine avrai tra le mani una buona somma». Assunse un'aria seria e lo ammonì: «Antenne drizzate però, i cops sono sempre pronti a metterti nel sacco... credimi, sentire certi racconti mi ha fatto comprendere che ritrovarsi in una caserma gremita di maiali in divisa non è per niente carino, per usare un eufemismo».
Determinarono di comune accordo intorno alla metà di settembre il termine indicativo per porre fine al lavoro. "La rendita che ne deriverà è per me considerevole", saggiò James. Avrebbe potuto infatti sia aiutare economicamente sua madre sia finanziare il suo sogno nel cassetto, il brand di vestiti.
«Ad essere schietti, sono solo l'ultima ruota del carro di un massiccio traffico di stupefacenti... e va bene così, è il massimo che mi sento di fare», appurò strascicando le parole. Soffiò via un po' di fumo e percepì la sua testa andare alla deriva, leggera come un aquilone.
[1]Parola appartenente allo slang americano e usata dai gangster per riferirsi alle spie o ai traditori.
[2]Parola appartenente allo slang americano e usata dai gangster per riferirsi ai membri di una gang rivale.
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