#14
LATTE FREDDO-THÈ CALDO
James si svegliò indolenzito. La sveglia sul comodino segnava le 6. Non aveva più sonno. Si alzò con fatica e guardò fuori dal davanzale: il sole era già sorto e si accingeva per un'altra volta a spandere la sua luce soffocante su quel lembo di terra americano. La notte stessa, dopo aver accompagnato a casa i suoi amici e aver dato la buonanotte a Grace, aveva riportato l'auto da Mark. Aveva parcheggiato con accortezza la Mercedes e, dopo aver pigiato il bottone per chiudere automaticamente il portone, si era avviato a piedi verso casa, sfruttando la passeggiata per mitigare il suo stato di alterazione. Era poi sprofondato a letto.
Si diresse verso la cucina e passò davanti alla camera di sua madre. Scostò lievemente la porta. Gwenda sonnecchiava quieta, mentre raggi luminosi filtravano attraverso la tapparella della stanza. Il suo petto si sollevava ritmicamente, per poi tornare nella posizione di partenza con gradualità. Un blister di psicofarmaci era lasciato incustodito sul comodino. Abbandonò l'osservazione e raggiunse la cucina, contagiata dal rosa dell'alba. Si versò un bicchiere di latte freddo e ne assaporò il sapore, accostato alla finestra che dava sulla strada. Un ragazzo in bici passò davanti a casa sua, con un pacco di quotidiani legato nel cestino. Il giovane, dal viso puntellato di lentiggini, ne sfilò uno in corsa e lo gettò in aria, verso il suo giardino.
Quell'azione gli strappò un sorriso. Era da un bel po' che non gli capitava di assistere in diretta al lancio del giornale. Uscì e lo raccolse dal prato umido.
Sbirciò la prima pagina e il titolo in grassetto catturò il suo interesse.
"Rapina a mano armata nell'highschool in 11th Street: si cercano i colpevoli"
Era già uscita la notizia, insomma. Doveva aver riscosso gran clamore presso la redazione giornalistica perché venisse sbattuta addirittura in copertina. Si chiese che eco mediatico avrebbe potuto avere il fatto della sera prima, senza riuscire a darsi una risposta.
La mente gli tornò al misterioso personaggio che l'aveva rapinato. Aveva intenzione di mettercela tutta per identificare chi fosse. Esaminò col pensiero la lista delle varie persone che conosceva e si fermò su una faccia che reputò fortemente sospetta. "Cazzo, sono proprio uno stupido... perché non ci ho pensato prima?", si disse. Mark!
Nel pomeriggio si sarebbe recato da lui, per provare a fugare i suoi dubbi. Chi si nascondeva davvero dietro a quel ricco figlio di papà? Voleva capire con chi aveva a che fare, una volta per tutte.
Quando Grace posò la testa sul cuscino, incominciò a stare male. Brividi e tremori la percorrevano da capo a piedi, accompagnati da una abbondante sudorazione. Non si capacitò di cosa le stesse succedendo, ma le bastò ripensare alla droga assunta per chiarirsi il motivo. Il suo organismo stava reagendo male.
"Basta... è stata la prima e ultima volta", si impose nell'insofferenza.
Scese al piano di sotto respirando affannosamente, mentre conati di vomito le si arrampicavano fino in gola. Prese una medicina dal vasto scaffale in cui erano posizionati in ordine i farmaci di casa, non era disposta a sopportare quella condizione deficitaria senza almeno tentare di alleviarla. Tornò a letto, cercando di resistere alla nausea, e pregò che non le capitasse niente di brutto nella notte, poi scivolò in un sonno profondo.
Era con James. Sedevano su un'altalena, ridenti e felici, in una giornata limpida. Una tenebra indistinta li avviluppò. Poco alla volta da essa si stagliò una forma più definita. Un feto pulsava. Il suo cuore batteva ritmicamente. Il bambino allo stato prenatale era immerso nel liquido amniotico e nel suo viso rosaceo si delineava un'espressione pacifica. La condizione di pace mutò drasticamente: il feto iniziò a dibattersi furiosamente. Sguazzava nel liquido, un maiale nel fango putrido, e tirava pugni alle pareti intorno a lui, volendo uscire di forza dalla pancia in cui era imprigionato.
Grace si svegliò di colpo, urlando per lo spavento. Si tirò su dal letto con il busto. La luce mattutina inondava la stanza. "Ho dormito senza sosta", realizzò. Fisicamente si sentiva un po' meglio rispetto a quando si era messa a letto, ma era ancora un po' scombussolata.
Si preparò in cucina un thè caldo, poi si accoccolò nella poltrona in sala da pranzo e lo sorseggiò lentamente. I suoi genitori si erano già coricati prima che tornasse ed erano ancora a letto. Non avrebbe detto loro della droga, per nessuna ragione al mondo. Se l'avesse fatto, l'avrebbero punita duramente.
Nell'acquario dall'illuminazione bluastra i pesciolini variopinti ondeggiavano graziosamente le pinne, esplorando per l'ennesima volta il loro piccolo universo sottomarino.
Grace ripensò all'incubo. Quell'apparizione inquietante la turbava nel profondo. Doveva esserci una spiegazione logica. Stava riacquistando lucidità e cominciava a ragionare più facilmente. Ripercorse ciò che era avvenuto la sera prima: la festa, James, la rapina. "Aspetta, io e James abbiamo fatto sesso..."
Arrivò senza problemi alla soluzione più plausibile. Il cuore incominciò a martellarle prepotente. Quando testò quell'ipotesi, rendendosi conto che tutto tornava, si impietrì nella poltrona. Gli occhi le si sbarrarono per il terrore.
PICCOLE MANSIONI
James accostò la Escort, scese velocemente e si mosse verso la fastosa villa di Mark. Uno sciabordio d'acqua giunse alle sue orecchie. Lo collegò alla presenza della piscina sul retro. Probabilmente Mark era lì. Fece il giro dell'abitazione e si affacciò sul giardino posto dietro ad essa. Lucas era in piscina e stava facendo delle immersioni sott'acqua, sputando dalla bocca ogni qualvolta emergeva. Mark invece sedeva su uno sdraio con una birra in mano, sfogliando una rivista. La sua schiena solcata di goccioline luccicava al sole.
James tastò il coltellino che teneva nascosto nella tasca dei pantaloni, seguendo i contorni della lama col dito. Trovandosi di fronte a un possibile criminale le precauzioni non erano mai troppe: in caso di pericolo avrebbe potuto affidarsi all'arma da taglio.
Non si aspettava che ci fosse anche Lucas. Sperò che Mark gli avesse portato davvero le sue scuse, dopo il litigio alla festa, altrimenti sarebbero stati guai. Si fece forza e avanzò, richiamando l'attenzione. Mark si girò di scatto.
«Ei James, qual buon vento ti porta qua? Ci stiamo rilassando in piscina...» Mark teneva un'espressione distaccata. Poggiò la bottiglia in piedi sull'erba.
James lo raggiunse e senza chiedergli il permesso si sedette sullo sdraio di fronte al suo. Con la coda dell'occhio vide che Lucas era riaffiorato dalla superficie dell'acqua, ma immediatamente si riconcentrò su Mark. Lo fissò con sguardo torvo.
Mark gli domandò: «Che c'è? Tutto ok?» L'orologio al polso sprizzava un riflesso accecante. Ecco la conferma che cercava: Mark era tra gli assalitori alla festa scolastica. L'orologio non mentiva, era lo stesso del suo misterioso rapinatore.
James si scagliò contro di lui: «Quindi ieri tu e i tuoi partners in crime avete deciso come se niente fosse di commettere una rapina ai danni di ragazzi indifesi?!»
Mark si ritrasse di colpo e assunse un volto minaccioso. Lucas, uscito dalla piscina, li osservava, tenendo le distanze.
«Ci hai beccato, James. Grande... in fondo, quando per casualità mi sono trovato faccia a faccia con te, ho temuto che sarebbe andata così», rispose con freddezza.
James rincarò la dose: «Mi sei sempre sembrato strano, misterioso, fin dalla prima volta in cui ci siamo incontrati... ma non avrei mai immaginato in che brutti giri fossi davvero invischiato».
Mark alzò le mani in segno di assenso. «Insomma... che hai intenzione di fare, il paladino della giustizia? Denunciarmi alla polizia? Fai pure, tanto non ti crederanno», disse serafico. Lucas sorrise sprezzante. «Guarda in che casa vivo, chi sono i miei genitori... agli sbirri non passerebbe nemmeno per la testa che io sia legato a una pericolosa gang. Basta poco per insabbiare tutto...»
«Non credo che ti denuncerò, infatti. So che mi metterei nei casini, e non voglio ripercussioni... ma ne valeva davvero la pena? Perché l'avete fatto?»
«Soldi, ovvio. Ne abbiamo sempre bisogno, e proviamo a raccattarli in ogni modo. Ieri era un'ottima occasione, ne abbiamo approfittato.»
Lucas si introdusse, ghignando: «Avete avuto davanti della gente che sa il fatto loro, non degli sprovveduti... sanno far perdere le loro tracce, te l'assicuro».
James si zittì. Non sapeva bene come comportarsi, ma era intenzionato ad andare fino in fondo all'attività illecita di Mark. Ne era incuriosito. Negò a sé stesso la possibilità remota che ne fosse anche leggermente attratto.
«Voglio saperne di più. Raccontami altro, e ti prometto che non denuncerò», dichiarò con convinzione.
Mark si voltò verso Lucas, con la faccia sorpresa, e rise sonoramente. «Il ragazzo qua è forte, l'ho sempre pensato», poi, puntando nuovamente gli occhi su di lui: «La tua curiosità è evidente, ma non posso dirti un cazzo... pensi che vada a fottermi così?»
James abbassò il viso. Una lumaca stava spappolata sul prato verde, tra i suoi piedi.
«A meno che...», aggiunse Mark. James riacquistò fiducia. «...tu non ti adoperi per noi con delle piccole mansioni, certamente non rischiose», concluse. Le pupille di Mark zampillavano febbricitanti.
James lo squadrò. Intuì dove volesse arrivare. «Tu in sostanza mi stai chiedendo di inserirmi nella vita criminale che conduci ogni giorno... ah ah ah, come no», dichiarò. Un dilemma gli si insinuò in testa. «Ma perché, fra tutti, proprio io?»
Mark chiarì: «Ritengo tu abbia delle qualità. Avverto in te una forza sopita che palpita incessantemente... fin da subito ho avuto questa sensazione».
James iniziò a vacillare. Era intontito, come se un gong fosse stato battuto direttamente nei suoi timpani. Mark stava facendo leva sul suo ego, lo trascinava su a forza dagli angoli più celati della sua interiorità. Già non era più così restio al compromesso propostogli. Rispose di istinto: «Mark, non so se posso farlo. È una scelta discutibile, e così su due piedi...», ma, appena le parole gli zampillarono dalla bocca, ritrattò istintivamente: «Se però mi assicuri che non debba rischiare la mia vita per questo, potrei accettare».
L'aveva detto davvero. Si, lo voleva. Subito rifletté sul fatto che, prendendo questa decisione, sarebbe potuto assurgere al ruolo di lente d'ingrandimento sul funzionamento della criminalità cittadina. La possibilità lo affascinava. Seppur lo ritenesse un azzardo, reputava che ne valesse la pena.
Mark ammiccò. «Non hai nulla di che preoccuparti, tranquillo. Dunque, se confermi definitivamente, non avrò remore nel spiegarti chi sono davvero... sappi però che, qualora mi tradissi o non rispettassi i tuoi doveri, subirai delle spiacevoli conseguenze.»
Un brivido di freddo gli percorse la schiena. Se diceva di sì, doveva comportarsi bene e stare alle regole. L'energumeno con i denti placcati d'oro che aveva derubato Scott alla festa gli passò in testa come una visione istantanea. Deglutì. Le punizioni per qualunque inadempienza sarebbero state terrificanti. Conveniva rigare dritto. «Puoi fidarti di me. Farò ciò che mi ordini, sempre a patto che non si tratti di roba che scotta troppo», sancì.
Mark lo rassicurò: «Hai la mia parola».
James si convinse. La mossa che stava per compiere gli sembrava priva di reali pericoli. "Alla fine, sbrigate queste "mansioni", posso defilarmi e riprendere la routine di prima", si disse con ottimismo. Mark gli allungò una mano. Dopo un breve tentennamento, James gliela strinse. «Va bene, accetto.»
Lucas gli si avvicinò ed esclamò «hai le palle, fratello», poi si rituffò in piscina.
Mark gli offrì un sorso di birra.
James bevve avidamente e gli restituì la bottiglia. Il suo assalitore gli pareva meno nervoso. D'altronde poteva considerarsi in salvo, essendo scampato dall'evenienza che denunciasse la rapina.
Mark con un movimento della testa gli indicò Lucas, che nuotava sott'acqua. «Lucas non è un criminale, ma è al corrente di ciò che succede nella gang. È il mio migliore amico dall'infanzia, non mi volterebbe mai le spalle.»
Gli diede poi appuntamento al pomeriggio seguente, sempre a casa sua, dove l'avrebbe introdotto con più dettagli ai suoi futuri compiti.
Prima di andarsene definitivamente,Mark lo fermò. «Ah, un secondo. Aspettami qui...» Entrò in casa e dopo un minuto ritornò svolazzandogli in faccia delle banconote. «Questi son tuoi.» Gli sorrise. Erano i soldi che gli aveva rubato alla festa scolastica.
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