#1

CAZZO JEFF, ALZATI

«Ohhh Jeff, sei vivo?»

Jeff sbatté ripetutamente le palpebre. Qualcuno lo stava chiamando, ma non era così vicino a lui.

«Dai cazzo, Jeff!»

Si stiracchiò sul letto, ancora mezzo addormentato. Ora sentiva più chiaramente la voce, che proveniva dall'esterno di casa sua. Riconobbe essere quella di James. La sveglia appoggiata sopra al comodino, a fianco del letto, segnava le 15.15. "Porca puttana, quanto ho dormito..." pensò. Aveva preso sonno all'incirca tre ore prima. "È il momento di alzare il culo, purtroppo". La pancia gli brontolava sommessa: aveva saltato il pranzo.

«Oh, lo so che sei a poltrire...Cazzo Jeff, alzati!»

Jeff sollevò la schiena e si alzò. Buttò un'occhiata fuori dalla finestra lasciata aperta. Cielo terso, sole accecante, caldo infernale:

"Wow! Originale...". Quell'estate era cominciata come le sedici estati precedenti, accompagnata da una noia così forte che lo portava a starsene disteso a letto a ronfare. L'alternativa erano per lui i videogiochi, ma dopo ore passate davanti alla playstation i suoi occhi avevano bisogno di riposo. James, suo grande e unico amico, aveva però interrotto il suo pisolino pomeridiano.

"Vediamo che diamine vuole sto rompipalle".

Si sistemò i capelli rossicci ed estese la testa al di fuori. SPLASHHHH! La sua faccia si inzuppò d'acqua. James, in piedi nel suo giardino, rideva a crepapelle guardandolo dal basso all'alto. In mano aveva una pistola ad acqua.

«Wooo che colpo! Headshot, bitch! Dovrei arruolarmi come militare per quanto son preciso. Ahahah...»

«Brutto stronzo, mi hai lavato! Che c'è???» Si passò una mano sul viso bagnato. «Stavo riposando...»

«Sisi, stavi riposando...come le altre ventiquattro ore della giornata. Che fantasia, Jeff. È estate e son tutti in giro, e tu te ne stai a casa», si lamentò James.

«Non me ne frega di cosa fanno gli altri, James! Non ci trovo nulla di interessante a scorrazzare in giro per i quartieri...preferisco giocare a "Doom".»

«Ma sarà la quarta volta che lo rigiochi da capo, ti annoierai pure. Almeno comprati un nuovo videogame...» Sbuffò. «Va beh, basta chiacchiere! Vedi di uscire. Ti aspetto qui fuori, nel giardino sempre perfetto curato dal paparino col pollice verde.»

Jeff bofonchiò di controvoglia: «Fottiti. Arrivo...», prima di ritirarsi dalla finestra. James richiedeva la sua presenza: era giunto il momento di abbandonare la cameretta. D'altronde avere un amico più grande era un privilegio che non tutti potevano vantare. Bisognava far di tutto pur di non perderlo.

Una brezza leggera faceva capolino dalla finestra e la luce estiva illuminava il suo piccolo regno. Lo sguardo gli cadde sul pacchetto di Fonzies rovesciato sul tappeto e sulla lattina di Pepsi svuotata ore prima, poi sulla tv spenta. Lateralmente ad essa stavano disposti i videogiochi per la playstation, terminati ben più di una volta. Sulle pareti erano attaccati numerosi poster delle sue band pop-punk preferite, dai Green Day ai Weezer, e in uno stretto scaffale stavano impilati in disordine i fumetti della Marvel che acquistava regolarmente. Jeff si spostò verso la porta della sua camera, l'aprì e si diresse verso il bagno. In casa dominava il silenzio; i suoi erano a lavoro. Entrò in bagno, come sempre tirato a lucido da sua madre. Si sciacquò il viso, guardò la sua faccia brufolosa nel grande specchio sopra al lavandino e si disse compiaciuto: "Son proprio un nerd". Poi corse giù dalle scale, balzò oltre lo zaino gettato a terra giorni prima e uscì.

DOBBIAMO DIVERTIRCI

Jeff percorreva a buon passo una strada del quartiere, discutendo con James. Era primo pomeriggio, il sole splendeva alto nel cielo e un tenue venticello gli solleticava la pelle. Cartacce e lattine schiacciate popolavano qua e là il ciglio della carreggiata.

«Jeff, l'estate è cominciata già da una settimana e ancora non te la stai godendo come dovresti»

«Che dovrei fare, James?! Non è la mia stagione, tutto qui. Molti ragazzi della nostra età passano le giornate all'aperto, capisco, ma non fa per me. Preferisco stare a casa a deprimermi in solitudine.»

James si ravvivò i lunghi capelli castani e gli rifilò una pacca sulla spalla. Dei bambini agitati sfrecciarono loro accanto, sopra a biciclette nuove di pacca.

«Ma dai, dobbiamo divertirci. Se non lo facciamo ora che abbiamo tutte le giornate libere, quando lo facciamo? A settant'anni facendo le corse in sedia a rotelle? Su con la vita!» esclamò con entusiasmo. Continuò: «Devo ammettere che le mie vacanze sono iniziate bene: l'altro ieri sono uscito con Zoe, la tipa del secondo anno, e posso confermare che le voci su di lei son vere: è proprio una porcella. Non ti dico quanto ci siamo divertiti a limonare, altro che playstation e noiose serate passate a sgranocchiare patatine al buio. Ultimamente sto facendo centro più spesso con le ragazze.»

Jeff gli lanciò un sorrisino, ma immediatamente si rabbuiò: «James, tu hai un certo fascino. Io invece, oltre a essere tempestato di brufoli, son magro rachitico... Come posso competere con il tuo fisico tonico e i tuoi occhi verdi?! Le ragazze mi stanno lontano». Fece una pausa, prima di riprendere. «Forse dovrei diventare gay...magari a qualche maschio potrei piacere.»

James scoppiò a ridere, poi si ricompose. «A parte gli scherzi, secondo me ti demoralizzi troppo presto... ora ti spiego il trucco». Assunse un tono serio. Gli ricordò un vecchio saggio che dispensava consigli di vita in un programma tv visto mesi prima. «Punta più in basso, Jeff. Di ragazze qua in città è pieno, basta che ampli le tue vedute; se non punti alle più fighe del pianeta, le tue chance aumenteranno notevolmente. E poi ricorda che è estate, si lasciano andare...è tutto più facile.»

Jeff non era del tutto convinto, ma schiaffò ugualmente un cinque all'amico. In effetti aveva ragione: magari abbassando gli standard la sua vita sessuale non sarebbe stata bloccata sul valore zero del contatore. Cambiò discorso: «Beh, quindi, che facciamo? Prima mi hai chiamato, immagino tu abbia qualche idea. L'opzione playstation è sempre disponibile, eh. I miei sono ancora in ufficio a perdere decimi di vista davanti a un computer, possiamo cazzeggiare alla grande». La sua pancia borbottava famelica. Non avendo pranzato, la fame si faceva sentire.

«No, niente più playstation». James gli fece segno di no con l'indice. «Nessun'idea o piano comunque, facciamo una passeggiata e vediamo se accade qualcosa di interessante; se non troviamo proprio nulla, vado a prendere la macchina e facciamo una corsa».

Si imbatterono in uno sgargiante camioncino che vendeva gelati e Jeff ne approfittò per comprarsi un cono alla panna.

Mentre Jeff aspettava la consegna del resto dall'amabile gelataia in polo bianca, James si guardò intorno. Un gruppetto di ragazze camminava di buona lena sul marciapiede. Gli sembravano di ottimo umore.

"E quelle dove cavolo stanno andando?" Ognuna di loro teneva stretto un asciugamano. "Uhh, certamente in piscina".

Ipotizzò che le quattro ragazze fossero della sua età, se non addirittura più grandi. Le osservò meglio: indossavano tutte dei top molto sexy, dai colori accesi, e una di loro, biondina, aveva in testa un cerchietto che le fermava i capelli. Mentre le amiche parevano scambiarsi battutine divertite, un vecchietto comparve alla finestra di una delle villette a schiera che si affacciavano sulla strada e si lasciò andare a un ghigno malizioso. James ne fu disgustato.

«E queste?», Jeff si rivolse a lui.

James gonfiò il petto. «Mio caro Jeff, queste vanno a una festa in piscina. Ci scommetterei, guarda come ridacchiano tra loro. Non sono per niente male...»

Jeff annuì. «Visto che non mi pare ci sia molto da fare, se non rompere le scatole a questi mocciosi che si rincorrono in bici, direi che potremmo unirci. Ci accetterebbero secondo te?», aggiunse.

«Boh, bella domanda. Tentar non nuoce però». James espose sinteticamente la sua strategia: «Direi che come prima cosa dobbiamo farcele un po' amiche e, se davvero stanno andando ad una festa in piscina, entrare anche noi. Ci penso io, Jeff».

Accelerò il passo e si diresse spavaldo verso il gruppo. «Seguimi!»

Jeff scosse la testa, diede l'ultimo morso al cono gelato e lo seguì.

James si affiancò alle ragazze. Per quel pomeriggio aveva indossato una t shirt verde scuro e dei jeans larghi che gli cadevano sulle Jordan low marroncine. Usava i pantaloni lunghi spesso anche d'estate, riteneva che gli stessero meglio. "Farò colpo, dai!", si infuse fiducia.

«Ehilà, chicas! Piacere, mi chiamo James», esordì.

Le ragazze lo guardarono sorprese e leggermente intimorite. Indietreggiarono.

«Oh, non sono mica un pazzo pervertito eh...piuttosto un simpaticone che si diverte a giocare con le pistole ad acqua come a dieci anni». Puntò l'arma giocattolo su di loro, scherzando. Aveva rotto il ghiaccio. La reazione delle ragazze mutò, si fecero più tranquille, meno tese. Da vicino le trovava ancora più belle, da quella con la tinta rosso mogano ai capelli, alla bionda con il naso all'insù e il cerchietto. Proprio l'ultima prese la parola, con un residuo di diffidenza:

«Okay, James, mi sembri alquanto espansivo». Le altre nascosero un risolino. «Io mi chiamo Grace. Dunque, che vuoi?» Grace non riusciva a distogliere gli occhi dai suoi. Forse lo considerava carino? Probabile, per il gentil sesso era difficile resistergli. Preso alla sprovvista dalla resistenza della ragazza, esclamò strategico:

«No vabbè, non volevamo disturbarvi. Io e il mio compagno d'avventure Jeff ce ne andavamo a zonzo senza una meta, fino a quando ci avete incuriosito. Andate forse in piscina? Io posso contribuire con questa pistola ad acqua di ultima generazione». Si mosse all'indietro. «Però, se non ci volete, giriamo i tacchi e ce ne andiamo».

La ragazza dai capelli rossi si immischiò brusca: «Per me va bene!Comunque piacere, io sono Ellen». Gli strinse la mano. «Credo che Mark li faccia entrare alla festa, non dite? Anche se sembrano più piccoli...» Sposto lo sguardo su Jeff. «Tipo lui, mr. brufoli, sembra avere 14 anni...»

«Ne ho 17, stronzetta.» Rispose stizzito l'amico. Ellen sorvolò sull'insulto e si accontentò di uno sberleffo. «Andiamo all'highschool qui vicino, James si è appena diplomato...»

Grace specificò: «Noi ne abbiamo 19, Sarah e Lia 20. Siamo del college, come tutti gli invitati della festa. Ma non credo Mark faccia storie, è molto inclusivo quando si parla di spassarsela».

A James cadde l'occhio sulle lentiggini di Ellen. Erano incredibilmente attraenti, formavano una costellazione sulle sue guance chiare. Dopo qualche istante di silenzio, confermò: «Noi ci siamo. Dove si trova la festa di questo Mark?»

«A qualche minuto a piedi da qui, a casa sua: una villa con piscina da paura. Saremo una cinquantina di persone», appuntò Sarah.

"Wow, questa ci voleva". Quell'incontro poteva svoltare la loro giornata. Fece l'occhiolino a Jeff, poi gli sussurrò all'orecchio: «Dobbiamo divertirci». Jeff, evidentemente rivitalizzato da quell'infusione d'energia, gli sganciò un pugnetto d'approvazione.

Si incamminarono con le ragazze verso la casa di Mark, sotto la piacevole ombra proiettata dai grandi alberi ai lati della strada. Uno dei bambini in bici derapò, ma perse l'equilibrio e cadde sbucciandosi un ginocchio.

IL PARTY È SFRENATO

Arrivarono all'abitazione di Mark.

"Questo è ricco sfondato", pensò James. Aveva già fatto caso a quel posto e sapeva soltanto che ci abitava una facoltosa famiglia afroamericana.

Si trovavano di fronte a una lussuosa villa. Il giardino era spazioso e un elegante vialetto conduceva fino alla porta d'ingresso. L'erba era stata tagliata da poco e delle palme di media altezza facevano da contorno a quella sfavillante oasi di piacere. Il garage aveva un portone di legno pregiato e, sopra di esso, spiccava un grande balcone con dietro una vetrata scorrevole che immetteva all'interno. Ampie finestre pullulavano qua e là la facciata dell'abitazione.

James non aspettava altro che entrare. Giungeva in lontananza della musica rap, che dedusse provenire dal retro. Era lì che doveva esserci la festa. Le ragazze si mossero decise verso l'ingresso, e lui e Jeff le seguirono. Tutte e quattro frequentavano il corso di arti, mentre Mark era al primo anno di legge. Grace aveva raccontato di averlo conosciuto al college, situato a un'ora di macchina dalla città, tramite amici in comune. Mentre lei ed Ellen risiedevano a qualche isolato di distanza, Lia e Sarah abitavano poco poco fuori città ed erano venute apposta per l'occasione. Durante il tragitto avevano continuato a chiacchierare e dalle parole di Grace, a cui per prima era stato esteso l'invito, James si era fatto l'idea che li attendesse una festa incredibile. Aveva provato a infilarsi nelle conversazioni e, se inizialmente aveva faticato a prendersi il suo spazio, era entrato poi a suo agio e disinvolto aveva iniziato a stuzzicare Ellen.

Jeff guardò l'orologio da polso. Erano le 16. Tra due ore i suoi sarebbero tornati da lavoro e lui sarebbe dovuto essere a casa. Osservò il proprio outfit e si rese conto che era vestito come uno studente delle elementari. Avrebbe voluto far sparire quella camicia a righe slavata che sua madre gli aveva regalato quando andava ancora in middleschool[1]. Non ci pensò, si sistemò il colletto e si avviò con gli altri verso la porta. Squadrò James ed Ellen. "Tra i due pare esserci del feeling", notò. Aveva deciso di starsene in disparte dopo che qualche suo goffo tentativo di farsi notare aveva stranito le ragazze. Preferì rivestire il ruolo dell'osservatore e vedere che cosa avrebbe combinato James. Ammirava l'intraprendenza del suo amico e avrebbe voluto essere come lui in quelle situazioni, invece era consapevole di essere timido e impacciato. No, quella volta si sarebbe dato da fare! Si impose. Doveva fare una bella figura al suo cospetto.

Grace suonò il campanello. Qualche secondo dopo, la porta si aprì. Un ventenne abbronzato dal ciuffo impiastricciato di gel e dai denti bianchissimi comparve e posò gli occhi su di loro, guardingo. Si accorse di Grace e la salutò. "Il tipo sarà un amico stretto di Mark", ritenne Jeff. Il ragazzo si presentò come Lucas. Era in costume e aveva un vistoso succhiotto sul collo. In mano teneva un foglio di carta spiegazzato e una penna. «Okay. Voi dovete essere Ellen, Sarah e Lia», disse guardando la lista e spulciando i nomi con la penna. La musica era più forte, ma ugualmente si sentiva della gente parlare a voce alta. Lucas spostò lo sguardo su lui e James: «Voi due invece non vi ho mai visti. Smammate!» Rifilò loro il dito medio.

James si irrigidì, infastidito. Prontamente Jeff lo prese per il braccio, fermando ogni suo possibile accenno di ribellione. Se l'amico avesse reagito, per loro si sarebbe messa male. Intervenne Grace: «Dai Lucas, non fare lo stronzo. Li abbiamo conosciuti poco fa e sono due persone tranquille, cercano solo un posto per divertirsi. Falli entrare, faranno i bravi».

Lucas, seppur di malavoglia, acconsentì alla richiesta di Grace.

"Quel tipo pare proprio uno stronzo", Jeff storse il naso.

"Girls power, siamo dentro!". James si rallegrò, poi ringraziò Grace per il lasciapassare. Prese sottobraccio Ellen e le concesse un sorriso, che la ragazza puntualmente ricambiò. Seguì Lucas all'interno, insieme al gruppetto. L'arredamento della casa era minimale. Superarono l'atrio e attraversarono il soggiorno. Al centro di esso campeggiava un enorme sofà grigio e in una mensola erano riposti vari DVD di film crime. Mano a mano che proseguivano verso il retro, il volume della musica aumentava e con essa anche un leggero odore di erba. Lucas spinse una porta, che dava sul largo giardino retrostante l'abitazione. Lo spettacolo gli si aprì davanti, in tutta la sua immorale grandezza.

La piscina dal fondo azzurro era l'attrazione attorno cui ruotava l'intera festa. Ragazzi sguazzavano al suo interno e si divertivano a tirarsi l'acqua addosso, mentre altri assorti osservavano il fisico tonico delle invitate in bikini. Ombrelloni e sdraio stavano intorno alla piscina ed erano occupati da coppiette che si scambiavano effusioni amorose. Un bestione con gli occhiali da sole si lanciò da uno scivolo per poi sprofondare in acqua tra mille schizzi. La musica proveniva da un impianto stereo di qualità, montato sulle vicinanze della piscina. Ancora rap, dalla coppia vincente Dr. Dre e Snoop Dogg al talentuoso JAY-Z.

Un ragazzino di colore sugli 11 anni giocava con un gameboy seduto in disparte all'ombra di una palma.

James domandò: «E quello?! Non mi pare molto adatto stare qui alla sua età»

«È il fratello di Mark. Se la memoria non mi inganna, si chiama Richard», specificò Grace.

Lucas senza professar parola andò a stapparsi una birra. Un lungo tavolo non distante dalla piscina fungeva da piano bar, con sopra alcolici di ogni tipo e sacchetti di popcorn; bicchieri rossi erano finiti per terra e un'infinità di sigarette riempiva i posaceneri. Sarah e Lia ridacchiando si mischiarono tra la folla a bordo piscina.

James si rese conto di essere molto spigliato in quel frangente. La situazione lo affascinava. Motivò Jeff: «Dai, facciamo conoscenza! Non possiamo rimanere qui impalati». Grace nel frattempo si era spostata e stava parlando con un ragazzo nero, alto e muscoloso. Lei li richiamò: «Venite qua, ragazzi! Non fate i timidi».

James gettò a terra la pistola ad acqua.

"Quanto ero ridicolo con questa in mano?"

Continuando a tenere sottobraccio Ellen, si fece avanti. Il nero, dal fitto cespuglio di capelli, si presentò a lui allungando una mano: «Salve, io sono Mark, il proprietario di casa».

Esitò per un momento, prima di contraccambiare la stretta di mano. «Grace mi ha appena detto di voi. Potete rimanere alla festa, c'è posto per tutti. Ma vedete di non combinare casini, grazie.»

James annuì. Jeff, al suo fianco, gli pareva leggermente preoccupato. E le ragioni d'esserlo in effetti c'erano tutte: Mark si comportava freddamente e incuteva un certo timore. Teneva tra le labbra un blunt e una collana con una grossa croce in oro come pendente si allungava sul suo petto massiccio. Indossava una giacca Varsity blu, leggera, sopra al torso nudo, e aveva un orologio di valore al polso e un tatuaggio sull'addome: "Money, Power, Respect"[2].

Mark augurò loro una buona festa e si allontanò per avvicinarsi a dei ragazzi neri, tutti in canottiera. Se ne stavano a fumare sotto una tettoia posta a una decina di metri dalla piscina e mantenevano uno sguardo torvo e poco rassicurante. Tra loro era presente anche una femmina, mulatta e di bell'aspetto.

Jeff si chiese dove fossero finiti. Non aveva mai partecipato a una festa del genere, e non si sentiva nel posto giusto. James si allontanò da lui a braccetto di Ellen, spiegandogli che sarebbero andati a prendersi da bere. Pronosticava che, a differenza del suo amico, lui sarebbe rimasto a secco anche in quell'occasione. I suoi tentativi di lasciarsi andare o di provare degli approcci fallivano ogni volta miseramente. Non c'era niente da fare, era uno sfigato. Ci rinunciò. In un modo o nell'altro però doveva far passare il tempo. Adocchiò una sedia libera posta vicina al fratello di Mark. Ci si tuffò a capofitto. Dopo secondi di iniziale imbarazzo, incuriosito dal gameboy di Richard, rivolse la parola al bambino:

«Ehm...ciao! Io sono Jeff, a cosa stai giocando?»

Richard sollevò lo sguardo dallo schermo, sorpreso. Rispose svelto: «"Pokemon"», poi si concentrò nuovamente sul gameboy. Masticava rumorosamente una gomma.

Jeff apprezzava il videogioco di Richard: l'aveva completato anni prima, senza particolari intoppi. «So tutto sui Pokemon», precisò. Catturò così la sua attenzione.

Cinque minuti dopo, entrambi erano fissi sullo schermo a scambiarsi opinioni su come portare a termine le missioni richieste dal gameplay. Richard, estasiato dalla sua conoscenza del gioco, lo ringraziò più volte per i consigli. Nel mezzo della conversazione il fanciullo aggiunse anche: «Mio fratello Mark non ha la passione per i videogame. Lo annoiano, poche volte gioca con me...»

Jeff diede un'occhiata a Mark, che si stava divertendo con gli altri ragazzi a bordo piscina. «Capisco». Fece un occhiolino a Richard. «Beh, sfruttiamo bene questo tempo passato assieme: ti farò catturare più specie di Pokemon possibili». Il ragazzino, visibilmente contento, gli schiaffò un cinque.

James tracannò un'altra lattina di birra insieme a Ellen. Erano ubriachi. Le casse continuavano a pompare musica a tutto volume, mentre dei ragazzi brilli iniziavano a essere molesti con le invitate. Ellen sogghignò con gli occhi stanchi. «Non ci sto capendo molto, ma il party è sfrenato». James riconobbe il momento come propizio per fare il passo avanti. Cinse Ellen con un braccio e la guardò intensamente: «Volevo dirti che mi piaci.» Lei sorrise, mantenne il contatto visivo e avvicinò il suo volto al suo. Si baciarono vigorosamente. Ellen si staccò dalle sue labbra, e dopo un «sai, baci bene...» lo spinse in piscina ancora vestito. Si tolse il top e gli shorts e si tuffò tra le sue braccia. Iniziarono a limonare senza sosta. Un reggiseno fucsia navigava come una barchetta sulla superficie lucente dell'acqua.

Lucas passò e, quando vide la scena, contrasse la faccia in un'espressione di disgusto. Aveva puntato gli occhi su Ellen fin da subito, e in quel momento lei era lì, a baciarsi con un altro ragazzo. Si infastidì. Sarebbe stato meglio se non avesse fatto entrare quei due stronzi alla festa. Fece dietrofront, scocciato.

FACCIA DA NERD

Le 17.15. Jeff si alzò, salutò Richard e si accinse a cercare James. Lo vide in piscina con Ellen, avvinghiato appassionatamente a lei. "Beato lui" sospirò. Non valutava come un gesto opportuno disturbarlo. Restava ancora un po' di tempo prima che dovesse tornare, perciò al soccorso di James ci avrebbe pensato in seguito. Raggiunse il tavolo con il cibo e l'alcol. Molte bottiglie erano state svuotate. "Quanto bevono questi...non capisco cosa ci sia di spassoso nello sfondarsi fino a stare male". Agguantò dei popcorn e se li cacciò in bocca.

«Ehi rosso, sciogliti un po'!»

A quelle parole si girò: una ragazza scura in completo da basket lo stava fissando a distanza ravvicinata. I capelli neri piastrati le cadevano sulle spalle robuste.

«Ti vedo un po' a disagio. Fai come se fossi a casa tua», aggiunse la tipa.

Jeff balbettò qualche parola sconnessa, colto alla sprovvista. Dopo lo spaesamento iniziale, sembrandole amichevole, si fece forza e le chiese il nome. Gli rispose: «Chloè Adams, 16 anni, cugina di Mark, l'SSN[3] non me lo ricordo. Ah, questa festa fa schifo».

Jeff rimase di sasso. A primo impatto era certamente simpatica. Provò a superare la timidezza e affermò:

«Neppure io ricordo l'SSN ovviamente, dovrei leggere la carta d'identità. Maa, che ci fai qui?»

«Mark mi invita sempre alle sue feste. A lui piace starsene per le sue, ma non abbiamo un brutto rapporto. Ci vengo volentieri, non abito così distante. Certo che ogni nuova festa è peggio della precedente...»

«Finiscono sempre tutti a vomitare, immagino». Un'espressione nauseata si materializzò sul suo viso.

«Esatto, hai centrato il punto. Tutti stupidi-ragazzi-eccitati che non vedono l'ora di scopare. Il loro QI deve fare davvero paura...» Chloè si voltò a guardarli. «Tu però, non so, mi sembri diverso rispetto a tutti questi. Hai la faccia da nerd con annessa poca voglia di vivere. Per caso te ne stai chiuso in camera a scolare litri di Pepsi?».

Jeff inizialmente si risentì, ma in seguito si rese conto che quella descrizione non poteva essere più appropriata. Chloè pareva divertita dalla conversazione, e lui aveva intenzione di stare al gioco.

«Ebbene sì, devo darti ragione. Sono proprio come mi hai ritratto, figo no? Tu hai la passione per il basket, invece? Leggermente strano per una ragazza».

«Può essere che sia strano, in effetti...» Chloè alzò gli occhi al cielo e continuò: «Comunque sì, adoro il basket. Vado spesso a giocare ai campetti, sono l'unica femmina. Vuoi sapere chi è il mio idolo? Ovviamente Michael Jordan».

«Io a basket ci gioco...alla playstation, però. "NBA Live 97" è un videogame che spacca.»

«Uoo, ne ho sentito parlare. Mi piacerebbe davvero un sacco giocarci.»

«Se ti va, puoi venire da me.»

Chloè fece una smorfia.

«No okay, forse mi sono spiegato male». Capì di aver fatto una mossa azzardata. Tentennò: «In futuro, ecco...se mai ci rivedremo».

Chloè annuì imbarazzata.

Jeff riguardò l'orologio: le 17.30. "È ora di acchiappare James e smammare".

Alzò la testa verso Chloè e la liquidò sbrigativamente: «Okay, si è fatta una certa. Devo andare. Ehm, alloraaa, ciao!»
Lei stupita sollevò una mano e la scosse svogliatamente per salutarlo. Sembrò che non avesse altro da dire, ma poi chiosò: «Sto in 8th Street, numero 23. Se hai bisogno, mi trovi là».

Jeff assunse un'espressione di totale impassibilità, ma intimamente esultò come un pazzo per aver strappato un'informazione di così vitale importanza. La salutò un'altra volta e si diresse verso la piscina. James non c'era, da nessuna parte. Incominciò a imprecare, quand'ecco che la porta di casa si aprì lentamente e comparve il suo amico. A braccetto con Ellen. I due avevano una faccia visibilmente soddisfatta. James era bagnato da testa ai piedi ed Ellen in costume.

"Questi l'hanno combinata grossa!"

[1] Le scuole medie americane.

[2] Traduzione: "Soldi, potere, rispetto".

[3] Acronimo di Social Security Number, è un codice di 9 cifre usato a scopi identificativi similmente al codice fiscale.

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