Salito sulla macchina sbagliata
Durante il tragitto inghiottito dal silenzio, Dennis stava in realtà ripensando a come fosse stato facile attirare la sua nuova preda nella trappola.
Aveva ucciso poche ore prima Dakota, e il suo corpo ancora non era stato trovato, e adesso un perfetto estraneo si era fiondato nella sua macchina in cerca di un passaggio. Quale circostanza migliore di questa poteva capitargli? Aveva iniziato a sentir prudere le mani appena Waylon aveva raggiunto la sua auto e lo aveva quasi pregato di dargli una mano.
Ora stava viaggiando verso una meta che quel povero ragazzo non conosceva, convinto in realtà di raggiungere un meccanico o una città. Del resto non aveva ascoltato proprio nulla, lo aveva lasciato parlare a vuoto per farlo felice, ma la sua mente era già volata altrove, al momento esatto in cui le sue mani secche sarebbero affondate nella sua pelle e si sarebbero sporcate del suo caldo e rosso sangue.
Waylon dal canto suo stava immaginando a cosa avrebbe potuto fare non appena fosse tornato a casa, se sua moglie dopo le spiegazioni avesse voluto cenare fuori per provare a salvare la serata, se i suoi bambini avessero voluto giocare subito, o se prima di tutto questo si sarebbe fatto una bella doccia e si sarebbe bevuto una buona birra. Senza accorgersene, mise le due dita a mo' di gambe e lasciò che la sua mano si mise a correre per i campi che li affinacavano, saltando qualche volta i pali del guardrail come fossero ostacoli.
Era sempre rimasto un po' bambino anche una volta cresciuto, e dopo la nascita dei suoi figli aveva deciso di risvegliare la sua giocosità per godersi al meglio i loro anni più belli. Il suo mano-omino adesso stava slittano sul guardrail come se avesse uno snowboard, saltando e zigzagando quello che si trovava per strada.
«Il tuo omino ha vinto la corsa?»
La voce pacata e tagliente di Dennis lo fece tornare alla realtà, e spingendolo momentaneamente a vergognarsi del suo gesto.
Fingeva di essere un personaggio dei videogiochi in una corsa ad ostacoli nella macchina di un perfetto estraneo, quale adulto sano di mente lo avrebbe fatto, oltre a lui?
«Oh scusa, volevo evitare di disturbarti. Comunque no, ha perso grazie a te.»
«Sopporterò il suo rancore.»
«Facevo questo giochetto soprattutto da bambino, adoravo i viaggi lunghi. I miei genitori parlavano dei fatti loro e io non ero obbligato ad ascoltarli, perciò potevo giocare con la fantasia capisci? Ne ho vinte tante di corse.»
«Immagino la tua collezione di trofei.»
«Ah! A qualcuno è venuta voglia di parlare? Be' se ne esistessero, forse sarei campione del mondo in carica. A meno che tu non abbia qualche confessione da fare, per esempio che anche tu sia un campione indiscusso di questo "gioco".»
«Non l'ho mai fatto.»
«Serio? Che avevi da fare in macchina da bambino? Aspetta fammi indovinare: cantavi giusto? E anche a squarciagola.»
«Lascia stare.»
***
Dopo qualche tratto di strada, dove nel frattempo qualche altro automobilista aveva pensato di farsi vivo, gli occhi di Dennis saettarono verso una piccola stradina di terreno sterrato che conduceva fuori dall'autostrada, alla fine del guardrail, verso una magione ormai abbandonata e quasi del tutto crollata.
Waylon si era nuovamente perso nei suoi pensieri, arrotolandosi il filo semi rigido del caricatore del telefono che si era dimenticato di collegare alla macchina, così non si accorse del fatto che Dennis sterzò quasi bruscamente allontanandosi dalla carreggiata e, di conseguenza, dalla sua destinazione.
Quando furono vicini al grande casale, il ragazzo inchiodò di colpo, facendo così risvegliare, forse per l'ultima volta, Waylon dai suoi profondi e particolari pensieri. Quest'ultimo si guardò intorno confuso e scosso sia dalla brusca frenata sia dal fatto che non riconosceva il luogo circostante, sicuro che non fosse né una stazione di servizio né tantomento un luogo abitato.
«Hey? Come mai ti sei fermato qui?»
«Mi spiace dirtelo, ma credo che non tornerai a casa questa sera.»
«In che senso? Hai avuto un problema alla macchina anche tu? Qualcuno deve avermi fatto il malocchio.»
«No, non è questo...»
Dennis rimise in moto la macchina, cercando di addentrarsi di più nell'ingresso del casale, nascondendosi così dagli occhi di chiunque passasse in autostrada. Infatti più avanti le fronde degli alberi erano cresciute talmente tanto da quasi toccare terra, visto che nessuno li curava più, e la sua macchina scura si mimetizzava molto bene lì.
«Ma che cosa stai facendo? Dobbiamo andare in un centro abitato! Perchè stai guidando qui?»
Dennis non disse nulla. Un'altra frenata improvvisa.
«Ok ora basta! Non so che cosa ti sia preso ma non mi piacciono queste cose. Scendo a fare l'autostop.»
I lucchetti della macchina scattarono, impedendogli così di scendere dal veicolo.
«Tu non vai da nessuna parte.»
«Ma che... che cavolo ti è preso ora?»
Lo sguardo di Dennis mutò pericolosamente, non era più freddo e distaccato come durante il viaggio, ma ora aveva un terrificante ghigno diabolico dipinto in volto e due occhi strizzati capaci di tagliare in due la tensione che stava mano a mano crescendo, come due lame ben affilate puntate proprio sul povero Waylon.
Dopodiché sbloccò le portiere e scese rapidamente dalla macchina, prima di richiuderla nuovamente a chiave per impedire alla sua preda la fuga.
Girò intorno al muso della macchina e si fermò davanti alla portiera del passeggero, piegandosi in due per guardare dentro a due centimetri dal finestrino, mentre il suo ospite era visibilmente in preda al panico. Waylon non aveva mai retto la tensione, né era bravo a controllare ansie e paure, per questo motivo non aveva fatto domanda per entrare nell'esercito, come invece aveva fatto suo cugino, e non era nemmeno entrato in sala parto durante entrambe le nascite dei suoi bambini.
Piantò le unghie nella pelle del sedile, sudando freddo e incapace di controllare i suoi respiri, mentre il lucchetto della portiera scattò ancora, permettendo a quel pazzo di entrare in macchina senza distanze o barriere.
Dennis tirò fuori dalla tasca una chiave, forse quella di casa o del portone, e la mostrò fieramente davanti al volto di Waylon, che iniziò ad agitarsi terrorizzato.
«Ti farà un po' male, ma sei un uomo giusto? Sopporterai tranquillamente.»
«Aspetta... ma che cosa vuoi fare?»
«Tu non ascolti la radio o il telegiornale, vero chiacchierone? Perché se fosse così sapresti anche che, per sicurezza personale, non dovresti fidarti degli estranei in questo modo...» Dennis prese il volto di Waylon con una mano, lo girò fino a porsi una guancia e con la chiave iniziò ad incidere la pelle, formando la sigla DL, «E soprattutto sapresti anche che significa DL giusto?»
Waylon gemette di dolore mentre la chiave lacerava la sua guancia. Finito questo lavoro, Dennis lanciò le chiavi sul tappetino della macchina e prese la cintura di sicurezza di Waylon, poi, tirandola tutta verso di sè, la avvolse attorno al collo della sua preda e iniziò a stringere con forza.
Waylon d'istinto cercò di allentarla con le mani, di dimenarsi per far perdere la concentrazione o l'equilibrio al suo aggressore e magari gridare aiuto, ma, non sapeva come spiegarselo, sembrava che Dennis avesse una forza sovrumana nonostante le sue braccia sottili.
In poco tempo iniziò a mancargli la voce e il viso cominciò a diventare prima rosso scuro, poi iniziò a tendere verso il blu e il viola mentre l'aria abbandonava rapida i suoi polmoni.
Le nocche di Dennis invece sembravano quasi uscire e diventavano sempre più gialle, quasi bianche, per lo sforzo di stritolare la sua vittima, le vene della mano iniziarono a saltare fuori in rilievo dalla pelle, mostrandosi forse più bluastre di quello che sarebbero in realtà. Il suo corpo cominciò a tremare dallo sforzo, ogni suo muscolo si irrigidì del tutto, contratto e deciso a non mollare la presa o diminuire la sua forza, facendolo vibrare come se fosse seduto su una lavatrice.
Waylon a quel punto sentiva già perdere ogni speranza di salvezza, dimenò le gambe calciando da qualsiasi parte senza però ottenere qualche risultato intelligente, aveva solo sprecato energie che avrebbero potuto salvargli la vita forse. Con la poca e lieve voce che gli rimase cercò di pronunciare: «Ti prego... non farlo... ho due bambini piccoli...»
«Lo so, ma sai cosa? Non me ne fotte un cazzo chiacchierone.»
Gli occhi di Waylon, colmi di disperazione e lacrime, si fissarono in quelli stretti di Dennis, forse cercando di comunicare con la sua anima, alla ricerca di qualche piccola briciola di umanità che però, era evidente, non esisteva.
La sua risposta così tagliente e crudele gli diede la conferma che non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia, e da un lato avrebbe tanto voluto chiedergli perchè, perchè fargli questo? Che cosa gli aveva fatto? Ma poi la sua mente tornò a quei segni sulla sua guancia, e allora capì, non aveva scampo.
DL era stato il motivo principale per il quale aveva smesso di ascoltare le notizie in TV, non voleva turbare né sua moglie né i suoi figli, voleva che continuassero a vivere spensierati e senza paura.
La cintura si faceva ogni istante sempre più stretta, sentiva che avrebbe potuto tagliarli la carne, ma non sarebbe stato necessario, i suoi polmoni erano ormai completamente senza aria. Sul volto di Dennis, sotto il tremolio, si dipinse un ghigno soddisfatto quando guardò l'espressione deformata di Waylon ormai sul punto di morte: la sua faccia si era contornata in una smorfia di terrore, la bocca spalancata e la lingua che schizzava dritta fuori alla vana ricerca di aria, dalla quale uscivano solo gemiti strozzati, fievoli, quasi un sibilo, gli occhi ormai chiusi grondanti di lacrime, la pelle viola.
Alla fine, dopo un'apparente agonia eterna, il volto di Waylon si rilassò, la sua smorfia si distese in un volto sereno, come addormentato, segno che la sua vita ormai se n'era andata.
Dennis lasciò lentamente la presa, non togliendo comunque la cintura dal collo per assicurarsi che non si risvegliasse. Poi, ormai sicuro, fece scattare il gancio e lasciò cadere la sua preda immobile al terreno. E dove il cadavere di Waylon toccò terra, lì rimase.
Dennis restò ancora qualche secondo ad osservare soddisfatto quel corpo simile a un manichino, della quale il volto stava piano piano sbiancando e il segno sul collo si faceva sempre più marcato.
I suoi muscoli finalmente si rilassarono, la sensazione di calore dovuta allo sforzo stava lasciando spazio al freddo pungente dell'inverno, il respiro tornò piano piano regolare mentre dalla sua bocca uscivano grosse nuvole di vapore, dovute dal fiatone.
Poi, contento dello spettacolo, tornò in macchina e mise in moto, allontanandosi in retro da quel luogo abbandonato e immettendosi nell'autostrada, diretto vero casa.
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