capitolo 4
È una settimana intera che la bionda, la quale ho scoperto chiamarsi Ginevra, viene a farci visita all'atelier per assicurarsi che l'organizzazione del matrimonio sia perfetta.
Ogni volta che arriva non saluta nemmeno -come una perfetta altezzosa maleducata- e domanda subito con quella sua voce acuta e fastidiosa tanto da farmi rimpiangere ciò che ingurgito a colazione, a che punto siano i preparativi, nonostante manchino ancora più di cinque mesi al grande giorno.
Ci osserva lavorare per ore e io sono sempre tentata di invitarla cordialmente a trovarsi un hobby.
In città è pieno di corsi di cucito, o di maglia, o che ne so, addirittura di junk journal!
Mi andrebbe bene qualsiasi cosa, pur di non averla tra i piedi mentre creo le ghirlande di peonie -casualità del destino, visto che è la stessa tipologia di fiore che avrei tanto desiderato infilarle in bocca la prima volta che l'ho conosciuta- che serviranno ad addobbare la sala ricevimenti.
Saranno mesi interminabili a causa del suo fiato sul collo, questo già lo so.
Alla fine, il loro "matrimonio sfarzoso" verterà sui toni del rosa antico e dovrà ricordare -neanche alla lontana- i sontuosi balli di fine '800.
Devo ammettere che, seppur non in linea con i miei gusti piuttosto basici e "minimal", credo vivamente che gli accostamenti di nuance e di motivi siano deliziosamente e schifosamente perfetti.
Certo, organizzare un bel matrimonio è nei miei interessi, ma avrei tanto voluto dover accontentare richieste bizzarre e strampalate, così da renderle il grande giorno una totale schifezza, continuando ad avere, però, la coscienza pulita.
A volte temo di essere davvero una brutta persona.
Il mio obiettivo di oggi è riuscire a portare a termine questa maledetta ghirlanda dalle dimensioni mastodontiche che tengo tra le mani da ormai quattro giorni.
Ginevra l'ha voluta grande tre metri perché desidera che sia l'attrazione principale della festa, quella sotto la quale gli invitati potranno recarsi per un bel book fotografico insieme agli sposini.
Maledetta, è davvero un'idea grandiosa.
Nonostante io apprezzi questa scelta, realizzarla non è affatto facile, soprattutto perché per riuscire ad addobbarla nella sua interezza devo salire su una scala e le mie palpebre che minacciano di abbassarsi da un momento all'altro a causa dell'eccessiva stanchezza non aiutano di certo.
Sono giorni che non riesco a chiudere occhio, complici i respiri affannosi di Giacomo e l'agitazione che provo per questo matrimonio.
Ne ho organizzati tanti di matrimoni, in questi cinque anni, ma mai mi sono sentita sotto pressione come in questo caso.
Ginevra, ogni volta che entra in atelier, pare uno di quei giudici di Masterchef pronti a bacchettarti le dita con il mestolo per la minestra a ogni minimo errore.
Mentre attacco una peonia dipinta di colori tenui alla base in polistirolo con la colla a caldo lo sguardo mi cade sull'enorme specchio a muro e quasi mi viene un attacco di cuore quando scorgo la mia figura stanca e affaticata accovacciata su quella gigantesca decorazione.
I miei boccoli biondi sono tutti sfatti e arruffati, mentre i miei occhi umidi e rossastri sono contornati da delle occhiaie violacee che paiono toccare terra.
Sembro uscita da un film dell'orrore e spero vivamente che Ginevra non si presenti oggi perché, nonostante non sia io l'attrazione principale e il fulcro del suo interesse, sono sicura avrebbe da ridire persino sul mio aspetto.
Le campanelle all'entrata tentennano ed io sono certa che per oggi non vi siano programmati colloqui.
Questo vuol dire solo una cosa: Ginevra.
Traggo un respiro profondo e tento di non dare di matto, più per non cadere dalla scala e fracellarmi al suolo.
Che il mio incubo abbia inizio.
"Buongiorno" Cerco di apparire giovale, seppur questo è l'ultimo posto in cui vorrei essere in questo momento e lei l'ultima persona che vorrei vedere.
È da qualche giorno che non riesco più a sorridere in maniera spontanea, a sentirmi felice, viva. Mi sforzo davvero di apparire contenta ed entusiasta, come se tutto stesse andando per il verso giusto, ma sento dentro di me un uragano pronto a scatenare il panico tra la folla che si agita a ogni mio singolo falso sorriso. Seppur io non sia pronta ad ammetterlo, un imminente disastro è alle porte, e io dovrò solo farci i conti quando arriverà.
Il mio saluto non riceve risposta.
Allunga il collo come una tartaruga per osservare il mio lavoro e il suo volto pare impassibile, privo di qualsiasi traccia di emozione.
Come un bellissimo dipinto a regola d'arte che, però, non ti scaturisce niente. Rabbia, gioia, dolore. Niente di niente.
Osserva me per qualche istante, poi, e in quel frangente posso giurare di aver scorto del ribrezzo.
Fingo di non accorgermene perché sono convinta che se aprissi bocca in questo momento uscirebbero solo parolacce e insulti poco aggraziati.
Lei, dal suo canto, è perfetta e curatissima come sempre. Indossa un jeans a zampa di elefante che le stringe la vita a clessidra facendola apparire ancor più magra, se possibile, e una camicetta argento che le mette in risalto l'incarnato pallido.
Due orecchini fini a forma di cerchio del medesimo colore spuntano fuori dalla sua chioma folta e appena uscita dal parrucchiere.
"Come procede il lavoro?" Domanda senza girarci troppo attorno.
Posso notare che, attorno al suo anulare, ora che le sue mani sono corse ad afferrare un fiore, vi è posato un bellissimo anello con un rubino talmente grande da prendere due dita e che si accosta alla perfezione con la sua manicure rosso scarlatto.
Si porta una ciocca di capelli biondissimi dietro l'orecchio e mi osserva in silenzio, attendendo irrequieta una mia risposta.
"Bene! Oggi contavo di finire la ghirlanda grande, quella che servirà per il fotoshoot" Faccio in modo che i miei occhi non incontrino i suoi, perché se questo avvenisse, sono certa che rischierei di avere una crisi di nervi bella e buona.
"Mh" Risponde solo.
"Cosa ne pensa, le piace come sta venendo?" Ancora una volta, cerco di mantenere la calma.
Ma che diamine di risposta è "mh"?
Questa donna sa fare altro oltre che grugnire e risultare antipatica a livelli indicibili?
"Sì, credo di sì" Dice distogliendo lo sguardo con fare casuale.
"Crede?"
"Beh, sì. Ci vorrebbero decisamente più fiori"
Incateno il mio sguardo al suo, per la prima volta.
"Mi scusi, questi sono quattrocento fiori e per finirla ce ne vorranno almeno altri centocinquanta. Io credo siano abbastanza" Non mi devo fare intimorire. Questo è il mio lavoro e so quel che faccio.
"Certo, io non ho detto mica che non siano tanti fiori. Semplicemente, ce ne vorrebbero ancora di più."
I suoi occhi felini, color del ghiaccio, appaiono davvero spietati e, ora che le sto tenendo testa e non mi sto sottomettendo al suo volere dittatoriale senza ribattere e dire ciò che penso davvero, sono venati di rosso sangue.
Sì, mia cara, non sono il burattino senza personalità che ti aspettavi.
"Ne aggiungerò qualcuno, allora" Mi limito a rispondere nel tentativo di disinnescare la bomba pronta a esplodere.
Come non detto, mi arrendo. Devo farlo perché non posso permettermi di mandare all'aria un matrimonio che porterà alle mie tasche fior fior di soldi, non dopo aver già preparato dozzine di decorazioni, poi.
Un sorriso soddisfatto e diabolico si impossessa del suo volto scarno.
"Bene" Dice solo, continuando a gironzolare per il negozio.
Gli specchi a parete riflettono la luce del sole che filtra dalle due grandi finestre ai lati della porta. Si posa sulla sua figura longilinea facendola apparire un angelo.
Un angelo demoniaco, però.
"E queste cosa sono?"
La sua voce si fa stridula.
Con le mani ancora in pasta, guardo nella direzione che sta indicando con la mano tremante.
"Le tovaglie!" Esulto soddisfatta.
Io le adoro. Sono venute davvero graziose e ben calibrate. Il colore è di un bel rosa tenue e i fiori bianchi ricamati con la tecnica del punto e croce sono davvero azzecatissimi e in linea con le loro richieste.
"Sembrano appena uscite dalla cantina di mia nonna!" Squittisce e degli spasmi alla gamba prendono a fargliela muovere freneticamente. Sembra in preda a un attacco di panico.
Come non detto. Non sono per niente all'altezza delle loro aspettative, a quanto pare.
Giada, la mia sarta di fiducia, ci ha messo tre giorni a completarle e ora mi sento tremendamente in colpa per averle fatto perdere tempo. Mi sento anche terribilmente infuriata per la sua reazione. Si sta dimostrando davvero priva di tatto questa donna e io vorrei tanto staccare quella peonia e farla tacere una volta per tutte.
"Come si permette?" Mi ritrovo ad abbaiare, senza avere più un briciolo di controllo o di potere sulle mie facoltà mentali. Questa donna mi manderà al manicomio.
"Io mi permetto eccome! Questo è il mio matrimonio e decido io! Certe schifezze, poi, non voglio vederle nemmeno dipinte!" L'atelier ormai è invaso dalle nostre grida furiose. Manteniamo il contatto visivo e i nostri corpi emanano elettricità allo stato puro.
Il mio cuore batte forte, all'impazzata, mentre uno strano tic nervoso mi porta a strizzare a intermittenza l'occhio destro.
"Non si deve nemmeno permettere di definire "schifezze" ciò che facciamo con tanta cura! A differenza sua, qualcuno, qui, si rimbocca le maniche ogni tanto"
La mia lingua è biforcuta; ormai va a briglie sciolte.
Il danno è fatto, ormai. Tanto vale continuare.
"Non avrò una manicure curata come la sua e le mie tovaglie saranno pure una schifezza, ma io ci metto il cuore in quello che faccio, quindi no, non permetterò a una come lei di denigrare il mio lavoro!"
"Una come me?" La sua espressione facciale è incredula. Si porta le mani al petto con fare teatrale e spalanca la bocca tanto da permettermi di immaginarla con la tanto famigerata peonia dentro.
"Non mi faccia diventare volgare"
Non riesco più a trattenermi e, ormai, l'odore pungente dei soldi pare lontano.
La mia testa è in subbuglio e i pensieri che contiene fanno a botte tra di loro per accaparrarsi la meglio. Vorrei tanto tenermi questo lavoro, spillarle persino l'ultimo centesimo e non vedere mai più quella sua perfetta faccia da modella di Vogue, ma d'altro canto, desidero anche rispetto.
Prendo un grosso sospiro e mi inebrio dell'aria fresca che dalle narici passa ai polmoni.
So che è una scelta affrettata, ma non posso di certo permetterle di trattarmi a pesci in faccia e di screditare quello che con tanta fatica realizzo ogni giorno.
"E se ne vada" dico indicando la porta con la mano che ancora trema per l'adrenalina.
Ricomincio finalmente a respirare, ora che un pezzettino del macigno che mi portavo dentro è stato -quasi letteralmente- sputato fuori.
Mi sento più libera, leggera.
Ho perso un affare, un matrimonio di lusso e costoso, che mi avrebbe addirittura permesso di farmi una grossa pubblicità in città, ma almeno posso dire con assoluta fierezza che Laila non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.
"La citerò in causa per diffamazione!" Urla lei sull'uscio con la bavetta alla bocca.
Rido beffarda attorcigliando un boccolo attorno al dito.
"E le farò una pessima pubblicità!"
La porta si chiude e finalmente rimango sola, con il silenzio a fare da padrone e con centinaia di peonie ad accerchiarmi.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top