capitolo 3
La notte scorsa è stata un inferno.
Non sono riuscita a chiudere occhio.
Continuavo a sentire i respiri affannosi di Giacomo, che era stravaccato nella sua parte del letto come se fosse una stella marina, chiedendomi quando avrebbe smesso di essere così rumoroso durante il sonno.
Ora, con solo tre ore di riposo di non-bellezza, mi ritrovo all'atelier ad ascoltare in silenzio una futura sposa che mi parla del suo matrimonio da sogno, con unicorni e arcobaleni in polistirolo ad addobbare la sala.
Almeno per la chiesa ha scelto dei fiori sobri.
Mentre mi parla, la mia testa inizia a vagare e a domandarsi che fine abbia fatto il ragazzo senza nome.
Non sarà più un ragazzo, ormai, ma un uomo fatto e finito.
Avrà avuto più o meno la mia stessa età, quando ci siamo conosciuti.
Mi domando se i suoi occhi, ora che saranno velati da un sottile strato di maturità, siano ancora espressivi come una volta.
Se mi guarderebbero come una volta, come un leone osserva la gazzella correre, consapevole che seppur le stia lasciando del vantaggio, riuscirà comunque ad afferrarla.
"Laila, ci sei?" Clarissa mi sventola una mano davanti alla faccia più volte nel tentativo di attirare la mia attenzione.
La mora mi squadra dall'alto al basso con il suo sguardo severo e accigliato.
Posa delicatamente, con un gesto felino, una mano sul fianco accentuando la sua silhouette.
Indossa un tailleur nero che mette in risalto le sue curve al punto giusto e ora che la osservo bene posso dire che è davvero una bellissima ragazza.
I suoi occhi color del mare spiccano sul suo incarnato chiaro ricoperto da una folta chioma scura e liscia che le arriva fino ai fianchi.
"Lai, ormai ti conosco da diversi anni e so per certo che in questo momento ci sia qualcosa che non va"
Di certo non si può dire che sia una che non va dritta al punto.
Durante la nostra conoscenza sul posto di lavoro ho potuto constatare quanto sia diretta e come la sua lingua sia biforcuta, ma nonostante questo posso dire che si è rivelata un'ottima amica con me in tutto questo tempo.
È arrivata alla mia porta che era appena maggiorenne ed era alla disperata ricerca di un lavoro.
L'ho formata, siamo cresciute insieme.
Quando ho bisogno di una mano, so di poter contare su di lei.
"Niente, davvero, ho solo dormito poco" taglio corto io, nella speranza che demorda e che non insista sul perché della mia totale assenza di oggi.
Mi sento fiacca, priva di forze, come se ogni possibile energia avesse deciso di volatilizzarsi il più lontano possibile dal mio corpo.
Le tre ore e mezza di sonno, poi, non aiutano.
So, però, che la vera causa del mio mutismo selettivo non è questa.
Il mio corpo è qui, nell'atelier che con i tanti sforzi fatti in questi anni sono riuscita a comprare e a fare conoscere ai clienti, ma la mia testa è altrove.
È su quella spiaggia a farsi solleticare i piedi nudi dalle onde del mare.
Con lui.
Afferro un foglio di carta e una penna bic sul tavolo accanto a me e mi fingo concentrata a scrivere qualcosa, anche se in realtà tutto quello che viene fuori sono lettere a casaccio.
"Non me la bevo, Lai. So che non stai scrivendo niente. Ho assistito per la prima volta in quattro anni a un tuo fallimento. Cazzo, non era mai capitato che dei clienti se ne andassero scontenti! Addio al mio bonus di questo mese..."
Con fare teatrale finge uno svenimento, con tanto di -quasi- atterraggio sul pavimento, alludendo al credito extra che le avevo promesso nel caso fossimo riuscite ad accaparrarci il massimo delle vendite questo mese.
"E va bene"
Mi arrendo, conscia che se non sputo il rospo entro un minuto questo posto verrà fatto a pezzi dalla furia Clarissa.
È davvero un osso duro quando ci si mette d'impegno.
Anche quando non lo fa, però.
"È che sono sovrappensiero" cerco di ponderare le parole, nella speranza di riuscire a non svuotare del tutto il sacco.
"Questo lo avevo notato" la lingua le schiocca sul palato e un suono simile allo scoppiettio di una gomma da masticare rimbomba nella stanza riempita dai nostri rumorosi silenzi.
Inizia a picchiettare nervosa il tacco sul parquet, lasciando intendere che attende una risposta più eloquente.
"Sai..." Inizio, con fare allusivo, mentre i miei occhi vagano nella stanza e spero che qualcosa, qualsiasi cosa, possa interrompere questa conversazione scomoda.
Osservo con attenzione lo spazio circostante e mi sembra di vedere questo posto per la prima volta.
I muri dipinti di nero pece con addobbi floreali bianchi e rosi sparsi qua e là conferiscono all'ambiente un'aria elegante e raffinata, così come la scrivania della reception in vetro trasparente e le poltroncine in velluto bianche che garantiscono ai clienti il maggior comfort possibile.
Noto anche una piccola macchiettina color caffè su una poltroncina.
Devo ricordarmi di comprare lo sgrassatore al più presto.
Cercando di prendere tempo, sputo fuori una risposta coincisa e schietta, ma ben calibrata.
"Anni fa ho conosciuto una persona"
A questa frase le si rizzano le orecchie quasi fosse un segugio alla ricerca di un succulento boccone.
"E...?" Mi sprona a continuare il discorso con fare allusivo.
"E..."
Non riesco a concludere la frase perché il trillo insistente del campanello ci riporta alla realtà.
Le mie preghiere silenziose sono state accolte.
Vedo Clarissa sbuffare seccata, ma non ci dò peso e mi dirigo verso la porta d'ingresso ancheggiando e portandomi la lunga coda di cavallo bionda su una spalla mentre la sento urlare in lontananza "Non è finita qui!"
Apro il portone nero in legno laccato con una presa salda sulla maniglia dorata e al tintinnio ruggente dei campanellini che indicano l'ingresso di un nuovo cliente la ghirlanda di gigli color latte casca per terra.
"Buon pomeriggio"
Mi stampo in faccia un sorriso a trentadue denti e fingo di non aver appena -quasi- confessato di pensare a un altro uomo che non sia il mio fidanzato.
"Buon pomeriggio"
Il saluto della donna che mi ritrovo davanti, però, non è accompagnato da una lucente arcata dentale.
Il suo sguardo emana sdegno e superiorità, forse a causa della mal celata smorfia schifata che padroneggia il suo volto scarno e pallido.
Avrà sì e no una trentina d'anni e risulta molto affascinante con quel suo maxi cappotto color cachi che le fascia il vitino da vespa e le lascia scoperte le gambe nude che paiono essere lunghe kilometri.
Ha due occhi color ghiaccio estremamente penetranti quanto inespressivi e capelli biondo cenere liscissimi che porta acconciati in un raffinato chignon laccato.
Allunga una mano ossuta e ben curata per toccare delicatamente la peonia gigantesca che adorna la parete adiacente all'ingresso e lo sdegno risulta ancora più visibile.
"Ha bisogno?" Tento di apparire cordiale, nonostante dentro di me io senta un fuoco ribollire come in un grosso pentolone di pozioni magiche.
Non deve permettersi di disprezzare con tanta superficialità ciò che con fatica e sudore sono riuscita, mattoncino su mattoncino, a costruire in questi anni.
Non mi ci è di certo voluto poco.
Aprire un'attività in proprio, di questi tempi, non è una passeggiata.
"Mio marito" Inizia, rivolgendomi per la prima volta uno sguardo sbieco.
"Mi correggo, il mio futuro marito, ha chiamato qualche giorno fa per organizzare un matrimonio"
Il suo volto pare impassibile e la sua voce monocorde.
"Mi ricorda gentilmente il nome del suo lui?" Ce la metto davvero tutta per non gridarglielo addosso.
Ammetto di essere molto soddisfatta del mio autocontrollo.
"Enea"
Si volta e ricomincia a guardarsi attorno.
Sono contenta, nonostante la sua maleducazione, che mi stia dando le spalle così non può vedere il mio volto che, al contrario del suo, è come un libro aperto e in questo momento sono sicura che i miei occhi siano infuocati e che un rivolo di bavetta stia fuoriuscendo dalla mia bocca come accade agli animali rabbiosi.
Cerco di ricordare chi fosse questo famigerato Enea, visto che negli ultimi giorni l'atelier è stato inondato di telefonate supplichevoli di sposini per matrimoni last minute.
All'improvviso la lampadina si accende e mi torna alla mente una delle chiamate più esilaranti che io abbia mai intrapreso.
"Ah sì, quello del cesso!"
Non faccio in tempo a rendermi conto di quanto io sia stata sboccata, che la bionda si gira bruscamente e mi rivolge uno sguardo truce.
"Mi scusi..." Mi affretto a dire con un colpo di tosse imbarazzato e le guance che mi vanno a fuoco.
"Ho capito chi è il suo futuro sposo" Mi affretto ad aggiungere.
Ma come fa un uomo che pare così carismatico a stare con una così... così...
Così.
Credo non esistano termini sufficientemente adeguati per descrivere questa donna.
"Bene. Le avrà detto, allora, che ci sposiamo tra sei mesi. Per l'esattezza, il 21 di Giugno. Enea ed io desideriamo un matrimonio sfarzoso. Sa, qualcosa che rappresenti a pieno la nostra essenza come coppia.
Lei è in grado di rendere speciale il nostro grande giorno?"
La sua voce è talmente acuta e tremendamente fastidiosa che mi viene voglia di tapparmi le orecchie, ma invece che seguire il mio più becero istinto di infilarle la peonia in bocca pur di farla tacere, annuisco cordiale.
"Guardi, ci ho riflettuto bene e..."
"No, non mi dia anche lei un no come risposta. Non potrei sopportare l'idea di non riuscire a sposarmi il giorno che abbiamo prefissato. Il mio fidanzato ci tiene tanto. A dir la verità, è l'unica cosa che ha voluto scegliere per questo matrimonio. Quindi, detto francamente, lei non è la prima weeding planner alla quale mi rivolgo ed è anche la mia ultima spiaggia" Mi interrompe senza nemmeno lasciarmi la possibilità di trovare una scusa campata in aria.
Peccato, credo che mi sarei divertita parecchio.
Sono ancora tentata di dirle di no, che non mi interessa proprio un bel niente del suo matrimonio sfarzoso "in linea con la loro personalità come coppia", ma l'idea che l'unica richiesta del suo fidanzato non venga accolta fa vacillare la mia sicurezza.
No.
No.
No.
No e ancora no.
"Certo, io e Laila saremmo onorate di organizzare il vostro matrimonio. Non ve ne pentirete"
Mi volto di scatto e se uno sguardo potesse uccidere, Clarissa, in questo momento, sarebbe già stecchita e agonizzante per terra.
Lei, fingendo di non notare il fumo che mi esce dalle orecchie, mima candidamente con il labiale la parola "bonus", per poi lanciarmi un bacio volante.
Annuisco, sfinita, ancora una volta.
Questa sarà la mia condanna.
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