Capitolo 2

Presente

La giornata di oggi è iniziata nel peggiore dei modi.
La sveglia non ha suonato -o meglio, ha suonato a intermittenza almeno una decina di volte, ma io ho continuato a spegnerla sperando invano che quel suono demoniaco non fosse altro che il frutto di un brutto sogno nel quale mi trovavo intrappolata- e sono arrivata tardi al lavoro, ovviamente.
Quando finalmente sono giunta in sede una dozzina di coppie tanto sdolcinate da dare il voltastomaco persino a me, che non ero neanche riuscita a fare colazione dalla fretta, mi hanno assalita in quanto le mie dipendenti non avevano le chiavi e non sono riuscite a fare le loro consulenze di routine.

Per fortuna, tutto è bene quel che finisce bene.
Beh, sono stata costretta a chiudere qualche occhio di troppo e a fare qualche piccolo sconticino che avrei preferito non inserire nei vari preventivi, ma ahimè, ho una certa reputazione da mantenere.
Ci ho messo anni per riuscire a dare una certa credibilità all'agenzia, per cui questo era il minimo che potessi fare.

Non ho sempre sognato di fare la weeding planner, tanto meno di gestire un'intera troupe e di avere sulle spalle la responsabilità di centinaia di matrimoni destinati comunque a fallire.
Quando andavo ancora al liceo pensavo che sarei diventata un medico oppure che ne so, un'insegnante.
Ho sempre sperato, però, di fare qualcosa in cui fossi davvero competente e devo ammettere che nel mio lavoro eccello alla grande.
Ho compreso di essere brava ad organizzare eventi, nonostante la mia costante disorganizzazione in qualsiasi altro ambito della mia vita, quando Vanessa mi ha chiamata disperata un giorno per supplicarmi di aiutarla nei preparativi della festa di compleanno a sorpresa di Michele, il suo fidanzato.
La voleva assolutamente a tema supereroi nonostante dovesse compiere niente di meno che la bellezza di 25 anni e io dovetti cercare senza sosta un cartonato a grandezza naturale di Superman per tutta la città.

Capii che, seppur quel giorno fu da dimenticare a causa di tutte le sfortuna che mi capitarono durante la ricerca -calpestai senza accorgermene una cacca di cane che poi sparsi sulle piastrelle del negozio di lusso in cui mi recai facendomi cacciare a suon di strilli schifati e una volta varcata la porta di uscita, un forte acquazzone mi travolse lasciandomi fradicia e infreddolita- organizzare eventi non mi dispiaceva per nulla.
Mi faceva sentire potente il fatto di avere tutto sotto controllo.

"Laila, ti cercano al telefono"
Clarissa, una delle mie collaboratrici migliori, mi passa la cornetta mentre si sfila la matita da dietro l'orecchio per segnare su un post-it il numero di qualche ipotetico cliente.

"Laila's weeding planner, sono Laila, la titolare, ha bisogno?"

"Buongiorno, che gioia sentire finalmente la sua voce invece che quella stupida e macchinosa robotica della segreteria telefonica! Sono giorni interi che cerco di mettermi in contatto con lei ma trovo sempre occupato! Ah, e se le faccia dire, la musichetta di sottofondo è davvero terribile. Io le consiglierei di..."

"Ripeto, ha bisogno?" ribatto, interrompendo il suo sproloquio senza fine.
Normalmente non sono così acida con i clienti, tutt'altro -questo lavoro richiede una dose infinita di pazienza per sopportare i cambi improvvisi delle future sposine sui fiori con i quali avevi già addobbato l'intera sala ricevimento- ma non sono riuscita a ingurgitare nemmeno uno dei miei tre caffè mattutini e sento tutte le fibre del mio corpo implorare di procurarmi un cuscino alla svelta.
Per non contare l'impertinenza di questo qui!
Ma chi diamine si crede di essere?

"Sì certo, altrimenti non starei incollato al telefono da tre giorni pure quando sto al cesso" la voce annoiata, piena di sé.

Seppur la sua insolenza sia fastidiosa a tratti, devo ammettere che un lato della mia bocca si è alzato inconsciamente lasciando intravedere un accenno di sorriso sghembo.
Era da un po' che non mi ritrovavo a sorridere in maniera spontanea, soprattutto non grazie a uno sconosciuto e assolutamente non all'interno dell'atelier.
Di solito sono più le volte che mi stampo un sorriso falso in volto mentre annuisco fingendomi interessata ai loro monologhi su quanto sia importante per loro che la torta nuziale sia di colore verde pisello.
E sì, mi è capitato per davvero.

"Beh, almeno aveva la musichetta terribile a stimolarla, giusto?"
Siamo pari adesso. Palla al centro.
Una strana sensazione di adrenalina mista a eccitazione mi scorre lungo la spina dorsale e devo ammettere che sta facendo più effetto energizzante di quanto riesca a fare generalmente la mia routine a base di caffeina.

Una risata sommessa, calda e vellutata, produce un melodioso riverbero che porta di rimando il mio sorriso appena accennato ad allargarsi.

"Io e la mia fidanzata ci sposiamo tra sei mesi. Sì, so che è un lasso di tempo davvero breve per organizzare un matrimonio sfarzoso in stile principesco, anche se io lo definirei più gipsy, ma la mia futura sposa ci tiene davvero tanto"

Ecco, sono sicura che mi ritroverò anche questa volta a dover discutere con la coppia -sicuramente con la lei, della coppia- per cercare di convincerla che no, il verde pisello non è un colore adatto per la pasta da zucchero.

"Vedo quel che riesco a fare" mi limito a dire con una scrollata di spalle, pur essendo consapevole che dalla cornetta del telefono lui non possa vedermi.

"La ringrazio, lei è davvero un angelo!"
La sua voce, ora, è colma di gratitudine e un po' mi si gonfia il petto di orgoglio.
Dopotutto, verde pisello o no, il mio lavoro mi piace.
Non salverò vite, né crescerò generazioni future a suon di paginate di letterine in corsivo, ma almeno posso rendere felici le persone accontentando le loro richieste bizzarre.

Mi faccio lasciare un recapito telefonico al quale poter comunicare il responso -neanche fossi un imperatore che deve decidere se il gladiatore, dopo un incontro ravvicinato con una belva, può sopravvivere o meno- e chiudo la telefonata.

La giornata scorre veloce tra un appuntamento e l'altro, tra la programmazione di un matrimonio a tema parigino e uno dai toni dell'avorio.
Una volta giunta l'ora di chiusura, tiro un grosso sospiro di sollievo.
Non vedo l'ora di arrivare a casa e farmi un bel bagno caldo.
In questo momento desidero solo assaporare il dolce tepore dell'acqua tiepida sulla mia pelle, le bolle di sapone che mi solleticano le zone più sensibili, l'aria calda data dal vapore che profuma di cannella, l'odore del mio bagnoschiuma preferito.

Abbasso le serrande del negozio e me lo lascio alle spalle con grandi falcate.
Raggiungo l'auto in men che non si dica, speranzosa di poter sentire quelle dolci sensazioni il prima possibile.
Durante il tragitto in macchina accendo la radio, così da non rimanere con i miei pensieri turbolenti, e "I'm Just a kid" viene riprodotta nel momento in cui varco il cancello d'ingresso della mia umile villetta a un piano.

Senza rendermene conto, alzo il volume noncurante delle possibili lamentele dei vicini e mi godo ogni singola nota, ogni singolo battito del mio cuore che romba furioso mentre la mia testa inizia a oscillare seguendo il ritmo della canzone.
All'improvviso, dei ricordi.
Una mano grande e ruvida che mi carezza dolcemente il viso.
Un forte brivido di piacere mi scuote sul sedile dell'auto.
Due labbra carnose e rosee che si avvicinano lentamente, quasi a rallentatore.
Una formicolio al basso ventre mi coglie all'improvviso e sbarro gli occhi, sorpresa delle mie stesse reazione corporee.

La canzone giunge al termine e un gigantesco senso di vuoto mi pervade, quasi quelle voci e i ricordi che evocano riuscissero a tenermi a galla e a farmi sprofondare allo stesso tempo.

Spengo l'auto con uno scatto e mi infilo le chiavi in tasca frettolosamente, per poi correre alla porta d'ingresso e aprirla con uno strattone.

"Ciao, amore!" Grida Giacomo dalla cucina.
È ai fornelli ed è intento a cucinare quello che deduco sia un pasticcio di verdure, dal delizioso odorino che invade l'abitacolo.
Dei due, lui è decisamente quello che sa cucinare meglio.

E io e Giacomo stiamo insieme da secoli, ormai, e da quasi due anni conviviamo.
Ci siamo conosciuti quando frequentavamo ancora le superiori, e da lì non ci siamo più separati, anche se una parte di me crede che ci siamo persi da tempo.

"Hei" accenno un timido saluto e mi avvicino lentamente alla sua figura.
Non è tanto più alto di me, per cui riesco ad adagiarmi piano sul suo petto quando apre le braccia e mi stritola affettuosamente.
Il suo cuore batte veloce, proprio come quando ci siamo scambiati il nostro primo bacio.
Il mio invece, sembra quasi non voler più funzionare.

Mi lascia un tenero buffetto sulle guance, per poi abbassarsi leggermente e poggiare le sue labbra sulle mie in un bacio frettoloso.
Un semplice contatto, puro, che però non scaturisce in me nessuna emozione.
Nessun formicolio, nessun battito accelerato.
Nemmeno l'ombra di un desiderio latente che mi spinga a strappargli la maglia di dosso e a baciare ogni singolo centimetro del suo petto solido.

"Cosa hai cucinato di buono?" mi ritrovo invece a chiedergli, nonostante io riesca a scorgere sul ripiano in marmo della cucina il pasticcio che avevo ipotizzato quando ero entrata.
La cucina è buia ed è illuminata solo dai led dai colori ambrati sotto la cappa.
La sua figura in penombra ha un non so ché di rassicurante.
Alla fine, siamo cresciuti insieme.
Ogni volta che sono caduta durante il mio percorso di vita, lui c'era.
Era sempre lì, pronto a tendermi una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi e a baciare ogni singola sbucciatura per affievolire il dolore che provocavano.

Non posso, non posso davvero.
Ormai ho imparato a convivere con questa sensazione ingombrante di incompletezza che provo da quando quella notte di sette anni fa il ragazzo sconosciuto ha messo sottosopra la mia testa, facendomela perdere per i suoi grandi occhi color nocciola e facendomi capitolare in un burrone senza fondo.

"Il pasticcio che ti piace tanto" dice intanto lui, facendomi risvegliare dal mio stato di trance.

"Oh, grazie" rispondo timidamente.
Mi sento tremendamente in colpa.
Lui ha preparato il mio piatto preferito e io penso a un altro.
Uno di cui non so nemmeno il nome.

"Madame" si allontana all'improvviso lasciandomi addosso il suo profumo dolce -troppo dolce, per i miei gusti- e sposta la sedia per farmi accomodare al tavolo, ma uno stridio acuto rende la scena -che dovrebbe essere schifosamente romantica e sdolcinata- nel mio peggior incubo.
La trovo smielata, anche fin troppo.
Artificiosa, meccanica.
Non gradita.

Mangiamo nel silenzio più totale, lanciandoci ogni tanto sguardi di sottecchi.
I suoi sono colmi d'amore, i miei di velato dispiacere.

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