6- Un weekend introspettivo

Sono le 15 di sabato pomeriggio, apro gli occhi ancora rossi dalle lacrime e mi siedo sul lato del letto guardando intorno a me il buio della camera.
Poco dopo scendo al piano di sotto:

-Papà ci sei?- non c'è nessuno, poi penso: ah già è sabato, fa orario continuato fino alle venti.

Apro il frigo, prendo il latte e lo metto in una tazza con dei cereali: è il mio pranzo ma quasi non vorrei neanche quello.
Switcho il blocco schermo e vado alla rubrica, vorrei chiamare Carlo. Sì davvero avrei bisogno di lui, il migliore amico di sempre. So di averlo allontanato e so di non meritarmi le belle parole che mi ha detto la mattina al bar. Mentre fisso il telefono arriva un messaggio di Stefano:

-Ehy bitch che fai? Stasera siamo da Boris, vieni? Ti passo a prendere alle 18.

Il messaggio è molto chiaro ma non ho voglia di passare un'altra serata a casa di Boris e di scopare, non stasera, non è la giusta serata. Rispondo:

-Stasera no, non mi sento bene.

-Cazzo dici stronza, dai, ma ieri sera non ti sei divertita? Passo più tardi - risponde credendo fosse il mio solito gioco .

-Ma cazzo insisti, ho detto NO.

A quel punto spengo il telefono e risalgo in camera.
Appena entro mi fermo davanti la libreria e la osservo attentamente. Inizio a scorrere con l'indice i titoli dei vari libri e mi fermo sul "Bisogna sempre dire la verità?" di Kant. Lo sfilo e mi stendo sul letto. Per la prima volta dopo tanti anni inizio a chiedermi quale sia la mia verità, chi sono realmente? La studentessa dai voti eccellenti o la ragazza che si distrugge con canne e birra? La ragazza chiusa in camera senza luce o la stronza che si concede da anni senza alcun sentimento?

Ricordo quando a 8 anni la mamma mi portava al Lago "Parco del Loto", a Lugo, vicino Piangipane. Passavamo interi pomeriggi a passeggiare lungo le sponde, a guardare la calma dell'acqua: era immobile, a volte sembrava dipinta. La mamma mi raccontava storie fantastiche di sirene che abitavano il lago e controllavano la vita delle persone, allontanando da loro le paure così da farli vivere sempre felici.

Alzo gli occhi verso la libreria e vedo sull'ultimo ripiano la sirena del lago, la bambola che la mamma mi ha regalato a 9 anni. L'ho nascosta dietro il libro di Schopenhauer "Il mondo come volontà e rappresentazione" perché non volevo vederla mai più. Non l'ho mai buttata, non ho mai avuto il coraggio.

Prendo la bambola e la stringo forte a me, quasi a romperla. Mi stendo di nuovo sul letto e sento una lacrima che scende silenziosamente.

Il suono del campanello mi riporta alla realtà.
Mi avvicino silenziosamente alla finestra e sposto leggermente la tenda scura, non vedo chi è alla porta perché c'è la pensilina a coprire la vista ma vedo la macchina di Stefano. Chiudo la tenda immediatamente. Resto immobile affianco la finestra, come se lui potesse sentire il mio respiro. Stefano continua a suonare e dice urlando:

-Apri Amy, lo so che sei in casa.

Non mi muovo da dietro la tenda e non gli rispondo.
Dopo 10 minuti va via e mentre si avvicina alla macchina sento dalla finestra un messaggio che mi lascia in segreteria :

-Non so che cazzo hai fatto o per quale cazzo di motivo ora fai cosi. Malo sai che sei una stronza psicopatica, vaffanculo.- Entra in macchina sbattendo lo sportello e corre via.

Sono ormai le 18. Torno sul letto e riprendo la mia bambola stringendola forte.
Piango, piango tantissimo come non ho mai fatto in 6 anni.
E' la prima volta che mi lascio sopraffare dai sentimenti, è la prima volta che non trattengo le lacrime, la prima volta che realizzo di aver trascinato la mia vita nello schifo che è diventata. Tutto grazie a Carlo che mi ha ricordato chi sono sempre stata.

Il mio weekend trascorre così, chiusa in camera a piangere con la mia bambola. Ho ripreso vecchie fotografie di mamma. Eravamo sempre sorridenti, sempre felici, sempre insieme. Era il mio faro, sapeva cosa dire quando ero triste o arrabbiata, sapeva quando avevo bisogno del mio spazio. Era praticamente perfetta.
E ora, cosa sono? Chi sono?
Sono diventata un persona orribile, sono la preda di miei stessi pensieri.
Non ho neanche il coraggio di guardare il mio volto allo specchio perché quello che vedo non è chi sono realmente.
Che illusa sono stata ad avere la presunzione di poter decidere razionalmente chi essere.

Arriva il lunedì mattina. Come sempre prendo il bus per Ravenna e arrivata alla stazione mi avvio verso il liceo.
Non ho acceso il telefono fino a quel momento, non volevo sentire nessuno .
Appena lo accendo una raffica di messaggi whatsapp mi intasano il telefono, trenta messaggi da Betty, quindici da Stefano e un paio da Boris. Non leggo nulla e non ascolto i messaggi.

Mentre percorro la strada verso scuola, passo di fronte il bar dove avevo incontrato quel ragazzo giorni prima. Lo cerco con gli occhi senza girare la testa per paura che lui possa essere lì e accorgersi di me. Non c'è o io non lo vedo e proseguo verso la mia direzione: occhiali da sole e sguardo basso.
Ad un certo punto sento un colpo sulla spalla, ho preso un palo, penso, e invece alzo lo sguardo e vedo lui, il bel ragazzo che mi ha rapito i pensieri.

-Scusami non ti avevo visto, andavo di corsa- dice lui, non riconoscendomi.

Tolgo gli occhiali da sole, i nostri occhi si fissano per un solo istante, quanto basta affinché mi riconosca.

-Oh guarda, la ragazza gentile del bar.

Non so davvero cosa rispondere. Dopo due giorni trascorsi in una tempesta emotiva che lui ha scaturito, è finalmente lì davanti ame.

-Scusa? Ci conosciamo?- dico fingendo.

-Beh, indubbiamente non so come ti chiami ma so che sei davvero scortese. Ricordi? Al bar la scorsa settimana.

-Ah ma certo, tu sei il ragazzo sbadato. Ho ancora lo zaino maleodorante.

-Si sono proprio io. Ma ci siamo visti anche all'Officina l'altra sera? E' possibile?

-Non ricordo a dire il vero, ma sì è possibile, ero lì venerdì sera.

-Come mai ti vedo passare spesso di qui?

-Non credo ti interessi il motivo per cui passo qui, sto solo camminando. Cosa c'entra sapere dove vado.

Non ce la faccio. La barriera che ho innalzato è troppo alta per cadere. Provo ad essere scortese ma non posso rimanere indifferente alla sua bellezza. Oggi è splendido: è vestito in maniera perfetta, giacca di pelle, camicia bianca e jeans color azzurro mare. Ai piedi sneakers a tinta col pantalone e capelli molto curati, probabilmente con un gel che tiene i meravigliosi ricci immobili.
Non sembra eccessivamente irritato dalla mia risposta, anzi.
Risponde incrociando le braccia:

-Wow, confermi davvero tutte le mie aspettative ma non capisco se ti comporti cosi perché te la tiri e ti senti la bellissima del mondo, ose sei semplicemente una stronza.

-Oh cazzo sei davvero un gentiluomo, l'altro giorno mi hai definito "miss simpatia" ed oggi dici che sono stronza. Sei una persona davvero sorprendente. Vabbè ti saluto, mi hai già rovinato la giornata.

Allungo il passo e vado via.
Non riesco a credere di essere stata così stronza ma ormai sono abituata a questo enorme muro, non mi meraviglio più.
Ciò che mi lascia perplessa è che davvero non riesco ad essere gentile nonostante lui mi susciti strane emozioni. Forse è proprio per questo che mi comporto così, il cambiamento terrorizza e io non so come reagire al fatto che ho provato una vera emozione guardandolo.

Presa dalle mie riflessioni, non mi accorgo di essere arrivata fuori scuola. Ecco Betty che si avvicina furiosa:

-Ma che cazzo di fine hai fatto Amy? Ti ho cercata per due giorni. E' venuto anche Stefano a casa tua ma non gli hai aperto, è successo qualcosa? Ti ha fatto incazzare? Parla porca puttana.

Resto in silenzio, wow che aggressione verbale.
Mi domando se sia davvero preoccupata o sia solamente infastidita perché sabato non sono andata da Boris.

-Non sono stata bene, forse mi sono raffreddata venerdì notte e sabato ero febbricitante. Sono crollata appena tornata a casa e non mi sono accorta del cellulare scarico.

-Ma che cazzo dici Amy, due giorni col cellulare scarico?

-Sì, sabato stavo male e domenica ho trascorso la giornata con mio padre e non ci ho pensato.

A quel punto Betty non insiste più, ha capito che non le dirò niente e in fondo non le interessa davvero sapere cosa sia successo.

-Vabbè dai non fa niente. Oh ma ti devo raccontare di Luca venerdì sera, non puoi capire.

-Dai sì mi devi raccontare- rispondo fingendo interesse.

E ci avviamo in classe.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top