30. SAPEVO CHE YODA MI AVREBBE DATO LA FORZA ★
SAPEVO CHE YODA MI AVREBBE DATO LA FORZA
Questo capitolo contiene contenuti per adulti con scene un po' esplicite.
Se preferite passare oltre, capirete quando inizierà a farsi un po' più "compromettente la situazione" e potete passare al capitolo successivo, non prima di leggere le note autore in fondo al capitolo!
Grazie per la lettura, potete proseguire!
Iniziai a riflettere su quanto fosse ridicolo il mio comportamento, sentendo un brivido di autoironia attraversarmi.
Lo so, lo so, pensai tra me e me, mentre osservavo Kayla, la mia mente affollata da un misto di ammirazione e preoccupazione.
So di essermi lamentato di non avere tempo per studiare e che, nonostante questo, ho deciso di invitarla a uscire. So di essere ipocrita e anche egoista, ma non vedevo altra occasione per vederla al di fuori di questo contesto ospedaliero, dove il nostro tempo insieme era sempre filtrato dalla fragilità della vita. La verità era che mi sentivo confuso, come se il mio rapporto con Kayla fosse un delicato equilibrio, mutevole come il tempo in San Francisco, dove la nebbia può avvolgere il sole in un attimo, offuscando i contorni e rendendo ogni cosa incerta e sfuggente.
Desideravo imparare a conoscerla meglio, a esplorare il mistero che avvolgeva la nostra connessione. Non riuscivo a spiegarmi perché provassi questa attrazione così forte nei suoi confronti. Avrei potuto cercarmi una ragazza sana, con cui divertirti, una tipica ragazza americana, magari una che sapesse apprezzare il mio fascino. Avrei potuto conquistare San Francisco con il mio sorriso e il mio charme, eppure ero rimasto intrappolato negli occhi di Kayla, nella loro profondità magnetica, e nella sua incredibile forza, anche nelle sue fragilità, che la rendevano incredibilmente umana e autentica.
Finalmente, il giorno dell'incontro arrivò. Decidemmo di trovarci davanti all'ospedale e che l'avrei accompagnata nel luogo scelto. Prendemmo i mezzi pubblici, e il viaggio si rivelò un'avventura in sé, con Kayla sempre più curiosa di capire dove volessi dirigermi, il suo entusiasmo contagiava l'aria intorno a noi, creando un'atmosfera frizzante di aspettativa. Le sue domande si mescolavano con le chiacchiere dei passeggeri, però io ero più interessato a rubare attimi in cui potessi scrutare il suo viso, a cercare di capire quali pensieri le attraversassero la mente.
Dopo un'ora abbondante, finalmente arrivammo: la Fontana di Yoda, presso la sede della Lucasfilm. Nonostante l'emozione, sentivo un nodo nello stomaco, un misto di ansia e anticipazione che si era accumulato mentre ci avvicinavamo a quella scultura iconica. Non era un posto usuale dove andare; in verità era la prima volta in cui mi recavo lì, e avevo usato la scusa di andare in quel posto per rubarle un sorriso, per farla ridere e, in qualche modo, per creare un legame più profondo tra noi.
Quando mi fermai lì davanti, la osservai assorta nei suoi pensieri, con un'espressione che oscillava tra l'incertezza e il «ma dove stracazzo mi ha portata?». Il suo sguardo si fece allibito quando i suoi occhi incontrarono la figura di Yoda, e nello stesso tempo c'era un velo di incomprensione.
«Mi vuoi spiegare come questo», indicò la statua, scrutandola con una certa incredulità. «Possa essere il punto di estrema riflessione della vita? A un'ora da Berkeley? Trovare il respiro e la riflessione qui... davanti a un personaggio inventato? Oltretutto sono sorpresa che esista ancora gente che veda Star Wars.»
Le sue parole risuonarono nell'aria come un eco. La Fontana di Yoda, con la sua postura saggia e il volto sereno, sembrava richiamare la sua attenzione, ma non riusciva a coglierne il significato profondo. In quel momento, sentii un impulso irrefrenabile a spiegare il mio punto di vista, a farle vedere la bellezza di quel monumento, non solo come un'opera d'arte, ma come un simbolo di ispirazione e di crescita.
Sorrisi, sentendo il cuore battere più forte. «Innanzitutto Star Wars è opera, altro che Shakespeare. E inoltre, non è soltanto una statua», risposi, avvicinandomi. «Yoda è molto più di questo. È un simbolo di saggezza e forza, di perseveranza. Sai, nei film, Yoda è uno dei personaggi più affascinanti, non solo per il suo modo di combattere, ma per la sua capacità di vedere oltre il presente. Quando lo guardi, ti ricordi che non è mai troppo tardi per imparare e crescere, che anche nei momenti più bui ci sono sempre opportunità di luce. La sua frase più celebre, 'Fai o non fare, non c'è provare', è un promemoria per affrontare le sfide con determinazione. E poi, c'è una sorta di tranquillità nella sua presenza. Ogni volta che mi sento sopraffatto, venire qui e contemplare la sua figura mi ricorda di prendere un respiro profondo e di non lasciare che le difficoltà mi schiaccino.»
Kayla mi guardò con uno sguardo misto di stupore e incredulità. «Mi stai dicendo che veramente ti fai tutta sta strada per venire a vedere la statua?» Le sue sopracciglia si alzarono incredibilmente, come se avesse appena sentito una rivelazione incredibile.
Imbronciai il viso. «No. Mi hai scoperto. Era una scusa per farci visita, ma questo non cambia il mio pensiero su Yoda.» Il vento leggero soffiava tra di noi, portando con sé l'aroma della vegetazione circostante e il suono in lontananza dell'acqua che zampillava dalla fontana. Un momento di silenzio si instaurò, carico di tensione. Per un attimo, pensai che Kayla potesse piantarmi lì, davanti alla statua, senza lasciare spiegazioni sul fatto che potesse andarsene da sola sulla strada di ritorno, senza rivolgermi mai più la parola.
Invece mi stupii: rise. Rise con gusto, un suono autentico e cristallino che riempì l'aria attorno a noi. Rideva di quella che ai suoi occhi doveva sembrare un'assurdità. Era come se avesse scoperto un lato comico della situazione, e il suo sorriso si allargò, illuminando il suo volto pallido e stanco.
«Scusami, ma non avevo mai pensato a Yoda in questo modo», ammise, mentre si teneva la pancia, ridendo in un modo così contagioso che non potei fare a meno di unirmi a lei.
Venne anche a me da sorridere, sentendomi sia vulnerabile sia estremamente felice di averle rubato un sorriso. Era inspiegabile questa connessione che si stava creando tra noi, e non volli mollarla al vento. «La scusa di portarti qua in verità era per farti capire che Yoda rappresenta un ideale. Anche io, come lui, voglio trovare il modo di affrontare le mie paure e di imparare, e magari anche di aiutare gli altri a farlo. È un po' come il tuo modo di affrontare la vita, no?»
La sua espressione si fece pensierosa, come se stesse riflettendo su quanto avessi appena detto. I suoi occhi scrutavano la statua, ma la sua mente sembrava vagare in un altro luogo, lontano dalle mura dell'ospedale e dai pensieri pesanti che normalmente la occupavano. E in quel momento, mentre osservavamo insieme la Fontana Yoda, sentii che stavo facendo un passo avanti, non solo verso di lei, ma anche verso me stesso.
Kayla si voltò verso di me, il suo sguardo penetrante e inquisitivo. «Cosa pensi di Yoda, allora? Oltre alla sua saggezza, intendo. C'è qualcosa che ti colpisce di più di lui?» La domanda era semplice, ma mi costrinse a scavare più a fondo nei miei pensieri.
«Penso che Yoda rappresenti la perseveranza», risposi, mentre il sole cominciava a calare, tingendo il cielo di sfumature dorate. «È piccolo, ma ha una forza immensa. E il modo in cui insegna agli altri è davvero inspirante. Ecco, non si tratta solo di insegnare, ma di ispirare. E a volte, mi sembra che ci sia così tanto da imparare, sia da lui che da chi ci circonda. È una lezione che vale per tutti noi.»
Kayla annuì, e nel suo sguardo c'era una sorta di riconoscimento, come se le mie parole avessero toccato una parte di lei che stava cercando di esprimere da tempo. «Non avevo mai visto Yoda in questo modo.» Si ripeté. «Per me è solo un personaggio, un alieno verde di una saga di fantascienza. Ma tu... tu riesci a vederlo come una guida, come qualcuno da cui trarre insegnamento. È... affascinante.»
In quel momento, la Fontana di Yoda sembrava più di una semplice statua; era diventata un simbolo del nostro dialogo, un luogo di connessione. Kayla si avvicinò, avvolta in un pensiero profondo, e io non potevo fare a meno di meravigliarmi di quanto fosse bella in quel momento, con la luce che si rifletteva sui suoi tratti delicati.
Il cuore prese a battere. La sua vicinanza, voluta da lei, era quasi come un segnale per me. Un avvicinamento, voluto da lei. Non c'era soddisfazione maggiore che potesse darmi.
«Vedi?» continuai, un sorriso sul volto. «Yoda non è solo una statua. È un modo di affrontare le sfide della vita, un promemoria che anche nei momenti bui possiamo trovare la luce. E come nel tuo caso, Kayla, non importa quanto sia difficile la situazione, c'è sempre una possibilità di speranza.»
«Credo che avrei bisogno di un po' di quella speranza,» rispose lei, il suo tono un po' più serio. «La vita è così incerta, e spesso mi sento sopraffatta. Ma questo... questo mi fa pensare che ci sia ancora tanto da scoprire e da vivere.»
La nostra conversazione si stava trasformando in un momento di vulnerabilità reciproca, un'opportunità per connetterci su un livello più profondo. Sapevo che era solo l'inizio, però il legame che stava nascendo tra noi sembrava forte, come se avessimo trovato un rifugio nel cuore pulsante di San Francisco, in un luogo dove anche le statue possono insegnare lezioni preziose sulla vita.
Allora mi spinsi oltre, cercando di non spaventarla. Accorciai ancora di più le distanze e le presi una mano, la sua pelle calda e delicata contro la mia. L'organo prese ad accelerare, un tamburo impazzito nel mio petto che rimbombava in un ritmo frenetico. Non ci capii più nulla, volendo soltanto osservare le sfumature del suo viso cangiare: gli occhi che brillavano come due stelle al crepuscolo, il leggero arrossire delle sue guance, il modo in cui le labbra si piegavano in un sorriso timido e incerto. Memorizzai ogni minimo dettaglio, come se volessi archiviare quella scena nel profondo della mia mente, un ricordo da custodire gelosamente.
Kayla sembrava sorpresa, ma non si ritirò. Anzi, il suo sguardo si fece più intenso, come se stesse cercando di decifrare ogni emozione che fluttuava tra di noi. «Samuel... cosa stai facendo?» chiese, la sua voce un sussurro che sembrava quasi impaziente.
«Non lo so,» risposi, la sincerità delle mie parole sorprendendomi. «Sento solo che questo momento è importante, e non voglio perderlo. Non voglio che rimanga solo un'idea, un semplice ricordo sfocato. Voglio viverlo con te, qui e ora.»
Lei abbassò lo sguardo, fissando le nostre mani unite, e un sorriso impercettibile si fece strada sul suo volto. Era come se le mie parole avessero aperto una porta, permettendo a una nuova connessione di fluire tra noi. «È strano, vero?» disse, sollevando lo sguardo per incrociare il mio. «Essere qui, insieme, mentre tutto il resto sembra così lontano... come se fossimo nel nostro piccolo mondo.»
«Sì, è strano,» convenni, il cuore ancora in tumulto. «Ma in un modo bello. Come se il resto non avesse importanza. In questo momento, mi sento... libero.»
La sua espressione si fece seria, tuttavia nei suoi occhi si leggeva un mix di curiosità e vulnerabilità. «Non voglio che tu pensi che questo possa risolvere tutto. Ci sono cose che sono complicate, e non so se sono pronta...»
«Non sto cercando di risolvere nulla, Kayla. Volevo solo che tu sapessi che ci sono momenti in cui si può scegliere di lasciarsi andare, anche solo per un attimo. E io voglio essere qui con te in questo momento.»
Mentre parlavo, le dita si strinsero più forte attorno alla sua mano, e lei non si oppose. Anzi, quel contatto sembrava dare vita a una sorta di intesa tacita, come se entrambi sapessimo di essere su un territorio fragile ma prezioso.
«Credo che sia giusto. Vivere questi momenti, anche se non sappiamo a cosa porteranno.» Kayla lasciò che la sua mano si facesse stringere dalla mia, e il mondo esterno cominciò a svanire, lasciando solo il suono dell'acqua che zampillava e il battito dei nostri cuori, che sembrava sincronizzarsi.
Improvvisamente, la mia mente si colmò di pensieri su cosa potesse significare quel momento. Kayla, con la sua forza e la sua fragilità, mi ispirava a essere una versione migliore di me stesso. Era come se il suo coraggio, nonostante le avversità, illuminasse un cammino che non avevo mai considerato. «Sei davvero speciale, Kayla. Hai una luce che brilla, anche nei giorni più bui.»
Le parole fluirono come una melodia, e per un attimo mi sentii vulnerabile, ma anche potente. La sua espressione cambiò, un mix di sorpresa e dolcezza, mentre mi studiava come se stesse cercando di scoprire la verità dietro il mio sguardo. Le sue gote presero a colorarsi e non seppi se quel tremolio che ebbe alla mano fosse dato dal suo morbo oppure dal sentimento.
«Grazie, Samuel. Ma non dimenticare che anche tu hai il tuo fascino. È qualcosa che ho notato fin dal primo giorno. Spero solo che non ti faccia sentire obbligato a fare di più di quello che vuoi realmente fare.
La mia mente si affollò di immagini di noi due, di tutte le possibilità che si aprivano davanti a noi. Forse, solo forse, stavamo iniziando a costruire qualcosa di significativo. «Non mi sento obbligato. Mi sento... ispirato,» dissi, cercando di esprimere ciò che provavo, lasciando trasparire un po' di quell'orgoglio che iniziava a crescere in me. «E comunque, non pensavo che ti piacessi. Potevi dirmelo prima che non facessi tutti questi sforzi!»
La mia affermazione fece scoppiare Kayla in una risata contagiosa, una risata che mi avvolse e mi fece sentire un po' più leggero. Sì, quel momento era un'occasione perfetta per pavoneggiarsi, con la mia audacia e il mio spirito libero. Non c'era niente di meglio che vedere il suo viso illuminarsi, e il modo in cui le mie parole sembravano colpirla.
Preso dall'euforia del momento, mi piegai in avanti e posai le mie labbra sulle sue. Fu come se il mondo si fosse bloccato attorno a noi. La sorpresa nei suoi occhi era inebriante, e in un attimo, il mio cuore esplose di adrenalina. Era un bacio che non avrei mai potuto immaginare, soprattutto il suo ricambio, un gesto dal gusto audace, che sembrava confermare la nostra connessione.
Kayla rimase sorpresa, i suoi occhi si spalancarono e, per un momento, non sembrava sapere come reagire. «Okay...» sussurrò, il suo viso illuminato da una miscela di meraviglia e incredulità. L'espressione che si dipinse sul suo volto era un mix di sorpresa e un'emozione che sembrava fluttuare nell'aria tra di noi. E in quel momento, mentre il suo sguardo cercava di decifrare ciò che era appena accaduto, mi sentii come il protagonista di un film romantico, il cui colpo di scena fa battere il cuore. «Io direi che ci siamo spinti anche fin troppo.»
«Spinti fin troppo? Mi hai infilato la lingua in bocca, a me non sembrava.»
Kayla arrossì, il suo viso divenne di un caldo rosato mentre cercava di trattenere un sorriso divertito. «Non è che mi aspettassi un discorso formale prima di un bacio,» rispose, cercando di mascherare l'imbarazzo con un tono scherzoso. Gli occhi le brillavano di sorpresa e di una certa eccitazione che non riusciva a nascondere.
«Sei un po' audace, lo sai?» aggiunse, abbassando lo sguardo, come se le parole stessero danzando tra di noi, creando un'aria di intimità e vulnerabilità. Ma non sembrava infastidita; al contrario, la sua risata leggera sembrava dire che la provocazione le era piaciuta.
«Magari, ma a chi importa?» risposi, cercando di mantenere il tono di leggerezza. «Il mondo è pieno di formalità, e questo bacio è il modo migliore per rompere gli schemi, giusto?»
Kayla esitò un momento, ma poi, con un sorriso più deciso, disse: «Sì, Giusto. Però vorrei solo che fossimo un po' più cauti. Non voglio correre troppo. Non in queste condizioni.»
Le labbra presero la forma di una linea. Non sapevo cosa rispondere con esattezza, tuttavia dovevo sbilanciarmi. «Un po' mi hai conosciuto e puoi capire che la cautela non fa molto parte del mio modo d'essere...» mi sincerai grattandomi la nuca. «Posso essere sincero con te?»
«Quando mai non lo sei stato?» affermò, facendomi sorridere.
«Non puoi nascondere le tue emozioni per i tuoi problemi di salute. Io posso immaginare perché lo fai, non vuoi affezionarti e non vuoi che la gente si affezioni a te. Ma, Kayla... questo è inevitabile. Non sarebbe vita. Fatti conoscere e fatti accarezzare.» Osai nello sfiorarle una guancia con il dorso della mano e quasi si perse al tatto. Mi fece sentire più sicuro, mi stava mostrando anche la sua volontà di aprirsi a me. «Non è male ricevere affetto... anzi. Ti può aiutare.»
In quel momento, sentii che ci stavamo avvicinando a un'intesa, e l'aria attorno a noi sembrava vibrante di possibilità.
In quel momento, con la Fontana di Yoda che zampillava alle nostre spalle, capii che eravamo entrambi su un viaggio, un percorso in cui avremmo potuto scoprire chi eravamo davvero, insieme.
In quel momento, capii che lei accettava di farsi accompagnare.
*
Attraversammo la città come due fuggitivi di un piano improvvisato. Kayla mi trascinava con una determinazione che non le avevo mai visto prima, le dita intrecciate alle mie, il pollice che sfiorava la mia pelle in un contatto leggero ma elettrico. Aveva preso la mia mano come se fosse la cosa più naturale del mondo, e io l'avevo seguita senza fare domande, senza chiedermi dove stessimo andando davvero.
Dopo quel discorso davanti alla statua di Yoda, qualcosa tra di noi era mutato – o forse, semplicemente, si era acceso. Il peso delle parole si era trasformato in un impulso silenzioso, un'intesa che non aveva bisogno di essere spiegata. Il cuore che batteva all'impazzata mentre salimmo su un tram, osservando le luci di San Francisco scivolare sui finestrini, riflettendosi nelle sue iridi che risultavano di mille colori diversi talmente erano eccitati dall'improvvisazione. Era bellissima, persa e al contempo determinata nei suoi pensieri, le labbra socchiuse come se stesse per dire qualcosa ma senza ottenere risultati. Forse non esistevano parole per descrivere ciò che le stava passando per la testa.
Ogni volta che il tram sobbalzava sui binari, il suo corpo si avvicinava al mio. Il contatto era casuale, ma non del tutto. Il suo fianco contro il mio, la spalla che sfiorava la mia, la sua gamba che premeva leggermente contro il mio ginocchio, il suo soffio caldo che carezzava la pelle ricordando attimi proibiti. Era un gioco silenzioso, una tensione che cresceva con ogni fermata, con ogni minuto che passava.
Quando scendemmo, l'aria della sera mi parve più calda, o forse ero io a bruciare sotto la pelle. Nuovamente, i suoi polpastrelli strinsero i miei con determinazione, cominciando a trascinarmi. Camminammo veloci, quasi correndo, come se l'idea stessa di fermarsi potesse spezzare l'incantesimo che si stava formulando.
Si fermò sotto il portico di un'abitazione leggermente in pendenza, rammentando quelle famose vie della città che si vedevano su internet data la famosa morfologia del territorio. Estrasse le chiavi con le dita un po' tremanti, ma senza perdere la determinazione. Compresi fosse casa sua e l'intenzione possibile che le frullava per la testa.
Tuttavia non dissi nulla. Volevo che fossero i suoi gesti a farmi intendere fin dove voleva spingersi, che fosse lei a indicarmi la strada. Per la prima volta, ero coscienzioso di volermi far guidare da una donna in questi istinti, anziché istigarla per ottenere.
Sembrava tutto così nuovo eppure nel mio cervello cominciarono a susseguirsi una serie di scenari già vissuti che accelerarono il battito cardiaco, scombussolando il regolare passaggio del sangue, colpendo le zone erogene.
Le mani di Kayla si mossero senza esitazione: una spinta leggera sulla porta, un rapido sguardo alle stanze vuote e il sorriso della vittoria: la conferma che i suoi genitori erano ancora al lavoro. Senza attendere istruzioni, mi inoltrai nel salotto senza però guardarne i particolari. Non mi interessava ispezionare la casa, bensì capire cosa voleva farmi conoscere.
Richiuse l'ingresso dietro di sé con un gesto lento, quasi ipnotico. Il suono della serratura che scattava parve sigillare non solo la casa, ma anche l'aria tesa che ci circondava. Il respiro mi si fermò in gola per un istante. Il battito martellava contro le costole, scandendo il ritmo dell'eccitazione e dell'incertezza.
Lei non si voltò subito. Si fermò qualche secondo, con la testa leggermente inclinata di lato, come se assaporasse il momento, come se volesse darmi il tempo di capire. Il tempo di rendermi conto che non c'era nulla di banale in ciò che stava accadendo.
Poi si girò.
Le sue iridi brillavano di quella luce febbrile che avevo già intravisto nel riflesso del tram, ma ora erano più scure, più profonde, come se mi stessero inghiottendo. Sapevo che avrei potuto dire qualcosa, fare una battuta, spezzare la tensione. Ma non ci riuscivo. Tutto in me era concentrato sul modo in cui le sue dita si muovevano con incertezza sui lembi della sua felpa, sulle maniche che arrotolava per un istante solo per lasciarle ricadere. Un gesto minimo, ma che raccontava più di mille parole.
Lei fece un passo avanti. Io non mi mossi.
La distanza tra noi si accorciò fino a diventare inesistente, finché il suo petto sfiorò il mio con un'incredibile delicatezza. Il calore della sua pelle trapassava il tessuto sottile della mia maglietta, sciogliendomi come cera sotto il sole. Il suo profumo, un misto di vaniglia e qualcosa di più fresco, mi avvolse come una nebbia sottile, insinuandosi nei polmoni, nelle vene, in ogni angolo di razionalità che ancora tentavo di conservare.
Il primo contatto fu un soffio. Il suo naso che sfiorava il mio, le sue labbra che danzavano appena sopra le mie senza toccarle del tutto. Una carezza impalpabile, che non era un bacio e al tempo stesso lo conteneva già in potenza.
Poi, con un respiro quasi tremante, si arrese.
Le sue mani risalirono lungo le mie braccia, lente, avide, leggere come una promessa sussurrata. E quando si aggrapparono alle mie spalle, ogni pensiero svanì. Non era più un gioco, non era più un'idea improvvisa o una fuga dal quotidiano.
Era Kayla, era me, era il battito scomposto dei nostri cuori, il fuoco che ci stava consumando dall'interno.
E io non volevo più scappare.
I palmi scivolarono dal collo al petto, scostandomi di poco, quel giusto per rendermi schiavo della prossima azione. L'avrei accontentata di qualsiasi desiderio fosse affamata. «Andiamo di sopra».
Unì nuovamente le nostre dita e mi trascinò per le scale. Le suole che battevano sul piano liscio andavano a ritmo con i battiti cardiaci, regalando una sinfonia che si poteva ascoltare non solo con l'orecchio, ma anche con il corpo.
Ridacchiò come una quindicenne che stava per fare la sua prima bravata con il ragazzo che le piaceva, eppure sapevo che non era così. Sapeva cosa stava facendo, era sicura di volerlo e di coinvolgermi in questa pazzia. Avrei tanto voluto cosa l'avesse spinta a ciò, fino a quel giorno mi aveva attirato in un gioco dove dovevo comprendere le sue regole, i suoi gesti, i suoi sguardi. Tuttavia, quel giorno era lei ad averli cambiati, a essersi avvicinata a me. Era un ragionamento che non riuscivo a spiegare, né tanto meno a terminare siccome, varcata la soglia di quella che poteva essere la sua stanza, mi fece tornare alla realtà.
Chiuse la porta e ci fissammo per un attimo, il respiro corto. Avevo pensato che fosse una scappatella, un momento di pura follia che sarebbe finito nel giro di pochi istanti. Ma non era così. Il modo in cui le sue dita si posarono sulla mia nuca, il modo in cui mi avvicinò a sé, il modo in cui il suo respiro si mescolò al mio... non era più solo un gioco.
Era qualcosa di più grande, qualcosa che ci stava travolgendo e scaldando fino alle ossa. I battiti nel petto mi martellavano come se il tempo stesso fosse impazzito. E mentre le sue mani tracciavano linee di fuoco sulla mia pelle, capii che non c'era più nulla di improvvisato. Solo noi due, in quell'istante che avrebbe cambiato tutto.
L'afferrai dalle cosce e si avvinghiò a me come un koala, prendendomi il volto e divorandomi le labbra. La sua lingua chiedeva di farsi spazio per toccare la mia e per qualche ragione strana mi ritrovai a riflettere su una battuta che aveva fatto Earl un giorno in cui si era scaldato con quella Beyoncé dei bassi fondi: «Arrivai addirittura a ispezionarle le tonsille talmente».
Mi scappò un risolino senza però abbattere quella voglia e quel ritmo. La posai sulle lenzuola e le sue dita celeri andarono sulla mia cintura. Sogghignò quando fu il turno della lampo. «Qui qualcuno ha bisogno di respirare».
«Vedo che hai già compreso i suoi voleri senza aver mai fatto la sua conoscenza, direi che è un buon inizio».
La feci sorridere ed era così genuino che mi portò per un istante indietro nel tempo. Non mi capitava tutti i giorni di vederne uno, anzi, l'ultimo che avevo visto era sulle labbra della mia cuginetta, che a sua volta mi rammentava quello della mia vicina di casa.
Celere mi tolsi la maglia, traducendo quel gesto come voler cambiare pensieri; non potevo pensare a Scarlett, così pura e ingenua, in un momento del genere. Per quanto fosse bello il suo ricordo, dovevo concentrarmi.
Kayla mi abbassò i pantaloni e con essi una porzione di boxer. L'eccitazione era così evidente che la fece sorridere maggiormente. «Dimmi che gli hai dato un nome come fanno tutti i ragazzi con cui sono uscita».
Mi misi a ridere e l'aiutai a spogliarsi, a mostrare tutte le sue fragilità. Non si vergognò appena i miei occhi caddero sul suo esile corpo. Non era abbondante di seno, come non era illibata da cicatrici. Gliene sfiorai una sul bacino, segno di appendicite. Mi feci serio, sapendo cosa avrebbe potuto comportare in una donna e compresi quel suo scherzare sullo sfarfallare che aveva caratterizzato una parte della sua vita.
«Anche in quell'occasione volevo scappare dai miei problemi» confessò. «Un po' come fate voi maschietti».
Deglutii un lotto di saliva e presi a massaggiarle il fianco, non volendo interrompere quell'attimo di euforia che ci stava avvolgendo, impaurito del fatto che potesse cambiare idea da un momento all'altro. Sembrava una tipica giornata di Melbourne, dove le quattro stagioni si mescolavano in un arco di ventiquattro ore. E lei era esattamente così. «Non ci trovo alcun problema in questo» mi feci più prossimo alle sue labbra, soffiandoci appena con uno sguardo ammaliatore. «Anzi, significa che sai cosa posso desiderare».
Le scappò un verso, come se stesse attendendo la mia prossima mossa e facendomi intuire che potevo farmi avanti. Con la mano le accarezzai la coscia e intercettando il moto verso l'interno, aprì maggiormente le gambe, accomodandosi meglio sul materasso. I polpastrelli si fecero avanti nella zona erogena, intuendo l'eccitamento che le stavo provocando. Ansimò nuovamente, rilassandosi e lasciandosi trasportare dal movimento circolare sempre più deciso. Mi abbassai per aiutarmi con la lingua, a renderla più vorace. Volevo che arrivasse al momento in cui mi avrebbe pregato di inoltrarmi in lei.
Mi sdraiai al suo fianco senza spostare la mano destra, ma concentrandomi sul seno. Le sue gambe tese si allargarono maggiormente, un invito a osare che non mi feci scappare. Le dita sfiorarono il membro e ci giocò, facendomi maledire per non aver usato prima la carta di Yoda. Lo l'avevo detto che era un maestro, dovevo soltanto capire prima come metterlo in campo.
Il suo cuore batteva incessantemente assieme il mio, le sue dita presero a tremare a causa di quel moto e dovevo ammettere che rendeva unico quel momento. Mi lasciai sopraffare dai sensi di piacere, lasciandole modo di lusingarmi con le sue labbra.
Quanto adoravamo questo momento noi maschietti, questo non me lo diceva?
Quando si stufò di giocarmi, dedussi fosse giunto il momento atteso, mettendosi a cavalcioni e la lasciai guidarmi dal suo ritmo. Una sfilza di pensieri impuri mi sfiorò la mente, forse non riuscii nemmeno a trattenere le parole vedendola soddisfatta della mia reazione. Le permisi di guidare i miei palmi dove desiderasse e mi concessi come non mi era mai successo in vita mia.
Ero letteralmente stregato da quel suo modo di osare che per non esplodere del tutto cominciai a pensare ad altro, come la piscina, la spiaggia. Eppure era dannatamente difficile. Riflettere sulla stagione umida di Darwin, nonostante i coccodrilli che avevo visto girare anni fa in una di quelle rotonde invase dall'acqua tropicale, non aiutava certo in quel momento.
I suoi occhi cercarono i miei durante il trambusto che mi governava il cervello, e in quello sguardo lessi tutto ciò che non avevamo detto fino a ora. Oramai nessuna esitazione ci avrebbe potuti fermare, come nessun ripensamento. Percepivamo soltanto il desiderio crudo e palpitante di essere esattamente lì, in quel preciso istante, senza rimorsi e senza paura.
Il battito del mio cuore sembrava un tamburo lontano, il sangue pulsava nelle tempie - e non solo -, la pelle vibrava sotto il tocco delle sue dita che esploravano in continuazione il mio addome. Non ero mai stato così consapevole del mio stesso corpo, della mia stessa esistenza e della compagnia che mi regalava in quel momento a dir poco speciale.
Lei sorrise, il riflesso di qualcosa di più profondo, più autentico. Un sorriso che mi spogliò di ogni difesa, che mi fece capire che non c'era più nulla da trattenere.
Il mondo esterno si dissolse. La città, i tram, le luci di San Francisco... tutto si ridusse a un'eco lontana. C'era solo il silenzio ovattato della stanza, il calore soffuso che ci avvolgeva, il respiro che si intrecciava come fili invisibili tra di noi.
Poi, senza più parole, senza più spazio per alcun dubbio, ci lasciammo andare.
E niente fu più lo stesso.
*
NOTE AUTORE
Questa parte è dedicata a tutti, anche a coloro che hanno voluto saltare l'ultimo pezzo :)
Qui è dove Samuel, in IMPREVEDIBILE, sosteneva di aver già fatto l'amore con un'altra ragazza... per aiutarvi a ricordare e un po' a ridere, poco dopo aveva preso l'idea di tornare a riverginarsi 😂
*Non ridiamo, alla fine l'ha fatto per far sentire un po' più a suo agio Scarlett*
Nel prossimo capitolo, vedrete maggiormente come il rapporto di Samuel e Kayla si evolve in maniera ancora più coinvolgente per il nostro protagonista, cominciando a comporre i pezzi della sua confusione e del motivo per cui non ha voluto in Australia parlare di lei.
Ci sarebbe una questione sulla quale vorrei chiarire dei punti, ma per non spoilerare la storia che verrà, ve ne parlerò alla fine del romanzo!
Grazie per la comprensione e per la lettura e al prossimo capitolo!
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