28. DUDES' NIGHT

DUDES' NIGHT

















Il Capodanno a San Francisco era arrivato. Sembrava strano pensare a come stavo chiudendo l'anno: lontano da casa, lontano dai miei familiari e dagli amici di sempre. Eppure, sentivo che questo era il posto dove dovevo essere. Mi chiesi come mai mi sentissi così. In fondo, quando ero partito, non avevo immaginato di trovarmi così tanto a mio agio qui. Avevo sempre immaginato che qui avrei fatto le classiche americanate da film: festicciole a casa degli altri mentre i genitori erano fuori città, ubriacarsi con quei bicchieri rossi con la quale si giocava anche con la pallina da ping pong a chi fosse più bravo a centrare il centro del bicchiere, più utopisticamente riflettermi nella NASA a fare lo stage, un sogno che renderebbe la mia realtà più appagante. Ma adesso... adesso era diverso.

Non potevo immaginare che potessi legarmi a un'attività di cui l'obiettivo principale era far sorridere. Quella gioia che riuscivo a vedere negli occhi dei bambini in ospedale, anche in mezzo a tante difficoltà, mi ricordava moltissimo Scarlett, quando mi osservava con quegli occhioni da cerbiatta e tanta ammirazione.

Loro mi ricordavano lei. Lei che fu la prima alla quale mi promisi di farla sorridere per renderla felice. Era una sensazione indescrivibile quella che provavo ogni volta che riuscivo a strappare una risata, come se ogni alzata di labbra riuscisse a dissolvere un po' della mia malinconia. O forse, semplicemente, erano i piccoli traguardi che avevo raggiunto in questi mesi: il riuscire a gestire un'intera giornata lontano dai miei punti di riferimento, imparare a cavarmela da solo, capire che potevo essere utile per qualcun altro.

Nel pomeriggio, Evelyn mi aveva proposto qualcosa di diverso: passare qualche ora con i bambini in un centro d'accoglienza, portando un po' di allegria e lasciando che anche loro avessero un motivo per sorridere nell'attesa del nuovo anno. Accettai senza esitazione, anche se sentivo che quella proposta era per lei importante almeno quanto per me. Evelyn era così: sapeva sempre come far sentire ogni cosa speciale, e capii che aveva organizzato tutto nei minimi dettagli.

In quel piccolo centro, non c'era lo sfarzo delle feste di Capodanno che si vedeva in giro per la città, ma c'era una scintilla. I bambini si scaldavano le mani stringendo bicchieri di cioccolata calda, e un paio di loro mi si aggrappò alle braccia, insistendo perché li aiutassi a creare qualcosa di "magico". Così improvvisai: piegai fogli di carta colorata come se fossero cappelli di carta e, tra un trucco alla MacGyver e qualche battuta, il pomeriggio volò in un turbinio di risate.

Evelyn mi guardava divertita e, quando mi sedetti accanto a lei per fare una pausa, mi accorsi che anche io mi stavo davvero divertendo.

La serata però era tutta per i ragazzi.

Adesso che Earl e Jared erano tornati in città, avevamo deciso di festeggiare il Capodanno in grande. Così, verso le otto, mi diressi verso il loft che avevamo affittato per la serata. La vista era incredibile: le luci di San Francisco si riflettevano sulla baia, e in lontananza già vedevo qualche fuoco d'artificio che si accendeva qua e là.

Dentro, l'atmosfera era in pieno stile "Dudes' Night". Jared stava preparando i soliti snack – patatine, salse di ogni tipo che soltanto da lui ho visto fare, e qualche altra schifezza – mentre Earl sistemava le casse per assicurarsi che la musica fosse pronta al momento giusto. Mi sentivo come se fossi tornato a casa. Con quei due, l'allegria era una costante, e con i bicchieri in mano e le risate che riempivano la stanza, iniziammo a raccontarci aneddoti e sogni per l'anno nuovo.

Avevamo deciso di fare le cose in grande e invitare tutti i ragazzi del dormitorio. Ognuno aveva portato qualcosa da mangiare o da bere, e ben presto l'appartamento si era riempito di ogni tipo di porcheria: patatine, snack dolci, bibite. Earl girava sottobraccio con la sua boccia di burro di arachidi, specialmente avendo paura che sarebbero tornati i suoi gemelli per fargli una sorpresa poco gradita.

Era chiaro che non ci sarebbe stata una cena equilibrata quella sera.

La musica riempiva la stanza, messa su da Scott che aveva preso possesso del computer, creando una playlist a tutto volume che andava dal rock classico agli ultimi pezzi da ballare. C'era un'energia contagiosa, quella tipica di un gruppo di studenti che ha messo da parte lo stress degli esami per una sera. Alcuni dei ragazzi avevano proposto di allargare ancora di più l'invito: se qualcuno aveva amici o conoscenti fuori dal dormitorio, poteva portarli, a patto che contribuissero con qualcosa. Così, a turni, un paio di noi restavano vicino alla porta, quasi come guardie, per assicurarci che chi entrava avesse davvero qualcosa in mano. Non avremmo tollerato approfittatori, almeno non questa sera.

A un certo punto iniziarono ad arrivare anche delle ragazze, cosa che non era stata esattamente programmata. Non appena le vide, Earl perse completamente la testa, come mi aspettavo. «Fratellooooo,» mi sussurrò con un ghigno saltellando sul posto, «dici o non dici che il qui presente riuscirà a conquistare una bella nera, in pieno stile Earl? Scommettiamo?» La sua espressione mi fece ridere; non riuscivo a vedere Earl diversamente: sicuro di sé e al limite del ridicolo, ma con un'ironia che lo rendeva divertente. Ero curioso di vedere come avrebbe fatto.

«Bro, io non scommetto nulla, ma se te ne porti una a letto, e al dormitorio, vedi di non fare troppo chiasso che se arrivo a casa io voglio crollare nel letto e dormire come un orso in letargo.»

Rise alla Eddy Murphy e con il cucchiaio scavò nel burro, portandoselo alla bocca. «Non so se amo più le tette o gli arachidi.»

Scossi la testa, ma non potei non divertirmi alla vista e all'udito. «Vedi che ti viene un'indigestione se continui così.»

«Mmm... tranquillo,» cercò di non sporcarsi la felpa quando si accorse di avere la bocca sporca e con il burro a penzoloni. «Sono nato con questo alimento e morirò con esso.»

Mi guardai intorno, mentre la gente applaudiva e rideva, e notai che l'appartamento era ormai un vero e proprio caos: bicchieri ovunque, gente che ballava stretta tra i mobili, Scott che armeggiava con la musica, di cui volume aumentava sempre più in un mix di generazioni allo scopo di trovare la canzone perfetta e con un unico obiettivo finale: non farci smettere di ballare. Ogni canzone sembrava più azzeccata della precedente, e la gente cominciava a muoversi a tempo, creando una sorta di pista improvvisata proprio in mezzo al salotto.

Anche Jared sembrava essersi lasciato andare, iniziando finalmente a ballare un po' in mezzo a quella folla colorata, mentre Earl si era lanciato a fare conversazione con una delle ragazze che lo ascoltava, divertita, mentre lui esibiva tutta la sua sicurezza e il suo fascino "spontaneo". La serata stava prendendo una piega ancora più vivace e selvaggia di quanto avessi immaginato, ed ero grato di farne parte.

Intanto, il countdown per la mezzanotte si avvicinava, e qualcuno propose di andare tutti sul tetto a vedere i fuochi d'artificio. Così, mentre il vento gelido di dicembre ci sferzava il viso, ci appostammo sul terrazzo, con lo sguardo rivolto verso l'orizzonte.

Il countdown iniziò: dieci, nove, otto...

Mentre guardavo quella lucentezza distante della città, sentii che era davvero il momento di chiudere un capitolo della mia vita e iniziare un nuovo anno con la stessa energia e voglia di fare qualcosa di bello, sia per me sia per gli altri. Che sarei stato meno egoista e che avrei dato una parte di me a chiunque mi circondasse con un po' di bene.

Tre, due, uno...

Le luci colorate esplosero nel cielo, riflettendosi nella baia. Accanto a me, tutti i miei amici esultavano, brindavano e si abbracciavano. Non potevo chiedere di meglio: per la prima volta, capii davvero cosa significava trovarsi al posto giusto al momento giusto.

Era l'inizio di un nuovo anno, e io ero pronto a viverlo appieno.

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