15. SAMUEL IL MAGNIFICO
SAMUEL IL MAGNIFICO
Finalmente avevo cominciato il mio percorso al dipartimento di astronomia a Berkeley e dire che ero soddisfatto era veramente poco, mancava solo Stephen Hawking a spiegare i buchi neri e potevo morire felice. Se il mio obiettivo era quello di andare alla NASA, beh, con questi corsi ci sarei andato di sicuro. Per di più a meno di un'ora c'era l'Ames Research Center nella Silicon Valley californiana, era grandioso. Dovevo informarmi se con gli studi ci avremmo fatto un salto, perché sennò ci sarei andato da solo senza problemi.
«Ehi, Sam, vai in dormitorio?» riconobbi la voce di Bradley, quello della reflex.
Avevo scoperto che frequentavamo lo stesso corso il giorno stesso in cui avevamo iniziato le lezioni ed ero contento di conoscere qualcuno che mi poteva comprendere se schizzavo per cose che riguardavano l'astronomia.
Annuii e ci avviammo insieme.
«ARC, eh?» riflesse ad alta voce. «Sai che non so? Però non sarebbe male farci un salto.»
«Non sarebbe male?» ripetei incredulo. «Sarebbe atomico! Insomma, quante possibilità ci sono di trovarsi uno dei dieci maggiori centri della National Aeronautics and Space Administration dietro casa?»
Si mise a ridere scuotendo con una mano i suoi ricci mori. «Va bene, avere una sede della NASA a cinquanta minuti da qui è favoloso, ma non saprei proprio...»
In quel momento mi suonò il cellulare con Rock You Like A Hurricane degli Scorpions e risposi. «Qui è l'agente Sampson. Jefferson, hai qualche problema?»
Feci ridacchiare contemporaneamente il mio compagno di corsi e il mio coinquilino. «Stronzate a parte, passeresti a prendere il bagnoschiuma?»
Aggrottai la fronte non capendo e non sentendo il suo solito fratello. «Il bagnoschiuma?»
Scocciato schioccò la lingua. «Giuro che me la pagano.» sibilò tra i denti. «I soliti deficienti hanno usato tutto il bagnoschiuma. Tutto!»
«E perché il tuo?»
«Avevano bisogno di un prodotto per pulire il cesso e invece di prendere quello, ovviamente hanno preso il bagnoschiuma. Praticamente hanno creato così tanta schiuma usando lo scopettone, che ci si potrebbe immedesimare di nuotare tra le nuvole.»
«Ma quale persona al mondo confonderebbe il bagnoschiuma con l'acido muriatico per i cessi?» chiesi incredulo. Brad nel mentre mi fissava sconcertato.
«Non lo so! Non puoi immaginare il casino che hanno fatto. Quando sono andato a controllare se fosse tutto apposto, sai cosa mi hanno detto? "Ah, vabbè dai, oramai è finito". Era stato a malapena usato! Non so davvero come abbiano fatto a finito tutto... Forse è per questo che studio chirurgia, un giorno sarò destinato a trovarmeli come pazienti, sicuro.»
Mi era davvero difficoltoso trattenermi dagli spasmi. «Fossi in te manderei i loro cervelli a uno scienziato per vedere di quali problemi soffrono, a meno che non vuoi attendere il decesso, altro che curarli.»
Scoppiò a ridere e, immaginando la sua espressione, non resistetti a seguirlo, insieme a Brad che aveva cercato di trattenersi tutto il tempo nel seguire il discorso. Quella famiglia era tutta strana. «Comunque va bene, vedrò di andarlo a prendere.»
«Grazie, fratello. Mi hai salvato. Ah, e ricorda di prenderlo al cioccolato.»
«Ricevuto. Bianco o fondente?»
Ed ecco di nuovo la risata alla Eddie Murphy. «Il più nero che c'è. Devo farmi mangiare dalle ragazze, ma non posso essere troppo dolce, se no si stufano.»
Risi di gusto, era veramente fuori dal comune. «D'accordo, Earl. Ci vediamo più tardi.» e finalmente staccai la chiamata.
E cioccolato fondente sia.
«Mi sa che devi andare.» sorrise Brad facendo le sue conclusioni.
Buttai gli occhi al cielo e scossi il capo. «Ma te lo immagini? Bagnoschiuma al posto dell'acido muriatico. Avessero lo stesso odore capirei...»
Ridemmo ed entrambi andammo per le nostre strade, io ovviamente con la musica alle cuffie mi persi ad ascoltare Rock Of Ages dei Def Leppard. Amavo troppo il mio indirizzo musicale ed ero fiero di essere nella terra di band favolose. Ad esempio i Green Day erano nati proprio a Berkeley. Chissà se li avrei incontrati... Si vede che mi piace sognare.
E mentre camminavo cominciai a osservarmi attorno, tra edifici e alberi, finché la mia attenzione venne catturata da una ragazza davanti a me. Magra e slanciata, capelli mossi e mori, con indosso un vestito floreale senza maniche che le arrivava fin sopra al ginocchio e una borsa beige le penzolava dalla spalla. A poco a poco la vidi rallentare di passo, fino a quando non alzò un braccio portandosi una mano sulla testa e a quel punto crollò.
Mi precipitai ad aiutarla e fortunatamente la presi al volo dato che mi cadde addosso a peso morto. Portai un braccio dietro alla sua schiena e l'altro alle ginocchia, sollevandola e portandola alla prima panchina che trovai. La prima cosa che notai di lei era che sembrava di tenere tra le braccia una piuma. Anche Laretta lo sarebbe stato, se non fosse per quella quinta enorme. O era perché erano enormi che condizionavano il mio cervello al pensare che pesasse di più?
Scossi la testa ritenendolo un pensiero fuori luogo e le studiai il viso. Tratti delicati, un po' pallida, delle lunghe ciglia e labbra che oserei definire leggermente carnose, ma ai miei occhi parevano quasi la perfezione. L'appoggiai sulla panca facendo attenzione e adocchiai la collanina semplice e in oro che portava al collo, per successivamente pensare che forse era buona cosa alzarle le gambe per far arrivare il sangue alla testa invece di rimanere fermo a fare l'ispezione del giorno.
«Ma guarda che mi tocca fare.» bisbigliai, ma poi ne approfittai per vederle le mutandine e da lì me ne stetti zitto.
Come se il destino volesse che venissi accontentato, subito dopo aver constatato che erano bianche, la percepii svegliarsi e, distraendomi da quello che facevo, mi avvicinai piegando le ginocchia e arrivando faccia a faccia. «Svieni spesso o hai percepito la mia presenza?» chiesi con un largo sorriso sul volto.
Con una mano sugli occhi sospirò, abbozzando in più un sorrisetto. «Con tutta questa modestia, finirai per abbagliare il sole.» sembrò leggermente divertita nell'avermi sentito. «Sempre se non l'hai già fatto.»
Spostò il capo verso di me facendo incrociare nostri sguardi, mostrandomi così i suoi occhi di un grigio particolare che quasi tendeva al bluastro e rimasi incantato da tanta particolarità. In quel momento capii cosa provassero le ragazze nel perdersi nei miei e mi sentii patetico nel non riuscire a distogliere le mie iridi dalle sue. Erano due calamite.
Assottigliò di poco le palpebre e inarcò un sopracciglio. «Ehi, ci sei?» indagò e mi sollevai subito passandomi una mano fra i capelli, porgendogliela subito dopo.
Ma che cazzo stavo facendo?
Lei sembrò titubante alla cosa, ma volendo una mano non si fece pregare e, afferrandomela con delicatezza, si tirò su, sedendosi sul posto a sedere.
Senza farmelo dire, mi misi al suo fianco per accertarmi che non svenisse ancora e mi cadde l'occhio sulle sue mani che un po' le tremavano. «Non sei di queste parti, vero?» mi distrasse.
Alzai gli occhi e potei incontrare il suo sguardo sicuro. In parte mi sorpresi. «Tu dici? Secondo te di dove sono?» la sfidai.
«Mmm.» cominciò a riflettere, volgendo gli occhi al cielo prima di riposarli su me. «Australiano, la regina ha un accento più pulito.»
«Mi stai dicendo che non so parlare? Guarda che ho un perfetto accento britannico.» tentai di imitare, ma forse sì, la mia cadenza era troppo marcata.
«Questo era un pessimo tentativo.» e cercò di non ridere, ma dovevo ammettere che quel sorriso era davvero bello da vedere.
«E allora sentiamo, perché non mi hai dato dell'americano?»
Inarcando un sopracciglio notai la sua incredulità alla domanda, poi fece una smorfia scuotendo la testa. «Prova a dire acqua.»
«Acqua?»
«Vedi! Tendi a chiudere le vocali, non puoi essere americano.» cercò la ragione.
Schioccai la lingua facendo finta di essere scocciato, ma effettivamente aveva ragione ed era un filo divertente. «Va bene, mi arrendo, sono australiano.» e così facendo ridacchiò.
«L'australiano è davvero un misto tra inglese e americano.» constatò e dovevo ammettere che era vero. La nostra pronuncia era un po' particolare. «Com'è che dite McDonald's? Macca's?»
Rise e la seguii. «Macca's, sì, accorciamo molto. Ad esempio, un vero aussie non dice Sandwich, ma Sanga.»
Talmente rideva che si asciugò una lacrima. «Oddio, vero, voi vi definite aussie, non australiani.»
«Ma è la stessa cosa.» bisbigliai, buttando la testa in avanti con un sorriso e lasciandomi prendere in giro.
Non era la prima volta che capitava, era successo ogni tanto con Lara che, abituata a vedere le notizie della BBC, faceva caso al mio modo di pronunciare le parole. Mi sentivo un pagliaccio, ma adoravo far sorridere le persone, specialmente se mi erano care.
Ad un tratto un suo dito mi toccò la guancia proprio dove stava la fossetta e istintivamente mi voltai serio in volto prendendole la mano ricordandomi di Scarlett e, davvero, per un attimo mi era sembrato di vedere lei al posto di questa ragazza dagli occhi grigi.
Allarmata ritrasse la mano e si alzò in piedi con un sorriso tirato. Ecco, in qualche modo dovevo rovinare le cose, ma non mi stupivo, qualcosa la sbagliavo sempre.
«Scusami, non volevo.» le dissi a disagio e non sapendo come rimediare.
«Probabilmente non dovevo.» mi giustificò bagnandosi le labbra con un tocco fugace della lingua. «Comunque ti ringrazio per l'aiuto, avrei potuto rompermi la testa se non ci fossi stato tu.» scherzò, spostandosi una ciocca di capelli dal viso.
«Figurati.» le sorrisi debolmente, osservandola. Era davvero una bella ragazza.
Ricambiando si avviò, ma senza pensarci riottenni le sue attenzioni chiamandola. Lei si girò e mi guardò aspettando che parlassi. «Posso sapere come ti chiami?»
«Kayla. E tu?»
Kayla, riflettei. «Samuel.»
Annuendo tornò sui suoi passi. «Ci si vede, Sammy.»
A quel soprannome mi venne un colpo al cuore e strinsi la maglietta al suo livello. Era così strano sentirmi chiamare in quel modo, lo avevano fatto solo Scar e Lara fino a quel giorno oltre a Xavier, e in parte mi dava fastidio. Mi passai le mani fra i capelli e appoggiai le braccia alle ginocchia, osservando il suolo.
Quel soprannome era un segno, solo che non capivo se questo potesse essere un bene o un male.
*
Tornai in appartamento ancora con quel suono nella testa. Mi aveva chiamato Sammy e fino a quel giorno avevo impedito a chiunque di pronunciare quel soprannome a parte Lara. Era così strano sentirlo con la voce di altre persone e un po' mi irritava, però forse stavo esagerando, alla fine era un soprannome... no, non era solo quello, poteva sembrare stupido, ma era molto più di un semplice nomignolo. Sammy era il simbolo della mia infanzia e sentirlo uscire dalla bocca di gente che d'altronde non conoscevo, era come se venisse calpestato il mio passato, i miei vicini, Xavier e Scarlett. Se solo a mia cugina avevo permesso di chiamarmi in quel modo c'era un motivo, non era a caso. Quindi perché con questa Kayla le cose suonavano diversamente? Perché non mi ero incazzato come avrei fatto nel mese prima?
«Ehi, Sam.» mi salutò Earl appena varcai la soglia. «Trovato?»
Annuii e gli porsi la busta, avviandomi nella mia stanza.
«Fratello, ti senti bene?» indagò e gli risposi con un sorriso.
«Non preoccuparti, non è nulla.»
«Sarà. Vado a docciarmi, per colpa di quegli imbecilli ho tardato il mio trattamento di bellezza.»
Risi. «Credevo di stare in stanza con un uomo, non con una donna.»
«Sì, prendi pure per il culo, poi vediamo stasera chi catturerà più Pokémon.»
«Anche stasera al pub? Di questo passo finirò i soldi.» gli feci notare appoggiandomi allo stipite.
Lui sbucò dalla sua stanza con un asciugamano sulla spalla e sorrise a modo suo. «Jared viene con noi.»
Spalancai gli occhi e emisi una leggera risata. «Non ci credo.»
«Fratello, devi. Mentre parlavamo in corridoio lo ha chiamato suo fratello, ho sentito il discorso e l'ho convinto ad andare.»
Scossi la testa, reputandolo il miglior persuasore che abbia mai conosciuto. «Sei una bestia.»
«Me lo dicono tante donne.» e mi fece l'occhiolino.
Scossi la testa e con un cenno gli indicai la porta scorrevole del bagno. «Va sotto l'acqua che poi ci vado io.»
E come programmato, dopo aver fatto una cena a base italiana con degli spaghetti non scotti col ragù che avevo preparato, stavamo per uscire dal dormitorio, quando ad un certo punto non venimmo fermati dai fratelli Jefferson.
Scocciato lanciai uno sguardo al maggiore dei tre che provvide a risolvere la questione. «Siete dei dissennatori, cosa volete adesso?»
«Volevamo venire da voi, abbiamo un compagno di stanza noioso.» rispose Doug.
«E dovete venire a rompere i coglioni a noi?»
«Voi siete più fighi, anche perché avete quello stallone.» e con questo André indicò Jared che aggrottò la fronte.
«Credo che a lui piacciano le donne.» commentai cercando di non ridere, cosa che invece non fece Douglas.
«Piccoli dissennatori che portano via felicità a me e ai miei coinquilini, andate a fare amicizia con quel nerd che vi siete ritrovati e la finiamo qua, d'accordo?»
Praticamente nella testa di Earl, Jared era già nel nostro appartamento e la cosa forse si sarebbe realizzata se avesse continuato ad importunarlo.
«Prova tu a farci amicizia e poi lo faremo noi.» lo sfidarono, incrociando le braccia al petto.
Roteando gli occhi si arrese e li seguì in camera, automaticamente anche noi non demmo opposizione ed entrammo. Altro che nerd, sembrava un piccolo hacker con quei tre pc accesi uno vicino all'altro. Speravo solo che non stava organizzando un attentato alla Casa Bianca.
«Hai visite, zombie.» annunciò André.
«Sii più cordiale.» lo sgridò Earl dandogli uno scappellotto in testa, facendo lamentare il gemello.
Girandosi dalla nostra parte, capii chi avevo di fronte. Nerd uscito con la lode, amante dei computer e dell'elettronica in generale, scarso senso del sarcasmo e come ciliegina sulla torta veniva definito sfigato o una cosa del genere a scuola. Per di più quella maglietta di Star Wars confermava parte delle mie ipotesi e aggiungere alla lista "amante di fumetti", il che gli dava un punto in più dato che li leggevo pure io.
«Chi siete?» domandò spaesato.
Mi feci avanti e feci finta di prendere un documento alla tasca con sguardo serio e agghiacciante. «Siamo dell'FBI, abbiamo ricevuto un segnale che proveniva da questa stanza. Tu, ragazzo, sei in guai seri, verrai scortato e interrogato.»
Spalancò occhi e bocca preoccupandosi all'instante. «Non stavo facendo niente, lo giuro! Non ho violato nessun criptaggio, non ho usato alcuni codici per estrarre chiavi private, sto solo creando un videogioco!»
A quel punto scoppiai a ridere e gli mostrai il passaporto. «E tu credevi veramente che fossi dell'FBI?»
«Potresti fare l'attore, secondo me saresti meglio di Thomas Gibson.» disse Earl facendo riferimenti puramente casuali a Criminal Minds.
«Modestia a parte...» mi diedi arie. «Comunque qua che dobbiamo fare?»
«Se questo che hai appena messo in atto era un tentativo per fare amicizia, sappi che equivale a una presa per i fondelli, e mi chiedo come tu abbia degli amici, signor capitano della prossima squadra di popolari della scuola.» il ragazzetto che cercava penosamente di bacchettarmi si sistemò meglio gli occhiali sul naso.
Lo guardai incuriosito per poi avvicinarmi, posando le mani sui braccioli della sua sedia e guardandolo dritto negli occhi. «E tu com'è che fai amicizia se preferisci un computer a un essere umano? Ti inventerai una donna robotica per passare il tempo per caso?»
Deglutì a questa mia domanda, ma a parlare fu Jared. «Sam, così lo spaventi e basta.»
Mi sollevai e gli tesi la mano. «Facciamo una sfida. Vieni al pub con noi e vediamo chi è più bravo.»
Guardando la mia mano sembrò declinare l'offerta, ma poi me la strinse e provò a sembrare sicuro di sé. Lo avevo colpito nell'orgoglio, e dovevo ammettere che mi veniva piuttosto facile.
«Dimmi il tuo nome.»
«Z-Zeppelin Dewman.» se la stava facendo addosso, oh sacramento.
«Perfetto, Zeppy, il tuo avversario si chiama Samuel il Magnifico.» e sorrisi dando una piccola dimostrazione al mio soprannome.
«Hai già perso, amico.» commentò Earl facendo una falsa tosse e stupito mi voltai.
«Niente fratello?»
«Nah, troppo piccoletto e diverso. Comunque, ragazzino, cambiati che così sembri essere uscito da un convegno di fumetto.» disse facendomi ridere come un matto.
Ce ne saranno di belle, avevo già in mente un piano di idee per farlo imbarazzare.
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