14. MACGYVER, IL GENIO DELLA CHIMICA

MACGYVER, IL GENIO DELLA CHIMICA

















Mi svegliai con la gola secca e con un mal di testa allucinante, portandomi le mani sul viso cercando di farmelo passare massaggiandomelo. Nulla, quel maledetto rimaneva lì inchiodato e avrebbe rotto per ore.

La sera prima avevo bevuto così tanto da ricordarmi solo alcuni sprazzi, ma non mi stupii, non era di certo la prima volta. In Italia tramite la compagnia era così usuale che non mi imbarazzavo più se mi svegliavo su un divano che non conoscevo. Questo letto per lo meno era più familiare.

L'unica mia speranza era di non alzarmi col bisogno di urinare e ritrovarmi come Alan faccia a faccia con la tigre di Mike Tyson. Seppure avevo riso da matti davanti a Una notte da leoni, non mi auguravo tale disagio.

Mi grattai la pancia, per poi abbassare il livello della mano e constatare che ero messo come mamma mi aveva fatto. Di bene in meglio...

Mi sollevai al rallentatore dal materasso e mi sentivo come se avessi un trapano in testa. «Ma che cazzo è successo ieri sera?» bofonchiai con la voce impastata dal sonno.

Perfetto, voce più rauca del solito. Cercai almeno di mettere a fuoco la vista dato che sembrava tutto come se stessi nella nebbia, ma mi ridussi a lasciare le palpebre socchiuse per capirci qualcosa. La luce che entrava dalla finestra per di più era troppo intensa, avrei dovuto chiuderla del tutto, mi stava accecando.

Appena riuscii a vederci meglio, notai che i miei vestiti erano posati per terra, sparsi qua e là per il pavimento e anche mezza coperta era accasciata al suolo.

«Earl!» urlai dalla mia stanza per poi schiarirmi la voce tra un colpo di tosse e l'altro, e come risposta sentii un tonfo con in successione un grugnito.

Alzai le sopracciglia con sorpresa, non aspettandomi quella sottospecie di responso. Mi strofinai la chioma e ancora assonnato mi misi in piedi, raggiungendo in pochi passi il mio armadio. Presi l'asciugamano sospirando, me lo legai alla vita e raccattai successivamente boxer, shampoo, bagnoschiuma, un pantalone di una tuta e una canotta, il tutto preso a caso. Chiusi l'armadio facendo uno sbadiglio e guardai per terra con stanchezza. Mi stropicciai gli occhi e appena li riaprii notai ai miei piedi un preservativo. Quindi avevo fatto "Gotta catch 'em all" come Ash Ketchum.
Che pensieri del cazzo che fai la mattina, e non ha nemmeno senso.

Scossi la testa e lasciai perdere. «Fantastico,» sbuffai fissandolo schifato, «ricordarmi il nome sarebbe il minimo.»

Mi incamminai verso il bagno, tuttavia prima di arrivarci mi soffermai alla soglia della stanza del mio coinquilino per capire da cosa era derivato quel rumore, immaginandomelo in parte. Earl era per metà a terra, le gambe invece stavano ancora sul letto, in aggiunta era mezzo arrotolato fra le coperte e nel mentre una figura femminile si stava vestendo con disinvoltura, senza nemmeno accorgersi della mia presenza. Mi voltai di scatto ancora più sorpreso nell'averla notata.

«Oh mio Dio.» bisbigliai, ridacchiando leggermente e facendo finta di non aver visto niente mi rifugiai in bagno, chiudendomi dentro.





*





Quando finii di fare la doccia, con l'asciugamano mi tamponai per bene il crine, poi me lo legai in vita. Serviva davvero, grazie all'acqua fresca mi ero svegliato, anche se il giramento di testa persisteva. Presi il phone e, scuotendomi i capelli con la mano libera, li asciugai più velocemente. Modestia a parte, ma in ordine o in disordine ero comunque affascinante.

«Sam.» mi sentii chiamare dal corridoio, accompagnato da una serie di battiti.

Aprii la porta e vidi Earl con la faccia ancora assonnata. «Ehi, amico, ho notato che hai avuto ospiti. Ma dimmi, che diavolo mi hai messo ieri sera nel bicchiere?» finii di chiedere, ridendo.

Lui mi guardò allargando un enorme sorriso sul volto. «Niente, fratello, però ti posso solo dire che quella sventola mi ha lasciato il suo numero. Sai come si chiama?» cercò di non ridermi in faccia.

Scossi la testa non capendo dove volesse andare a parare.

«Beyoncé!» affermò ridendo. «Capisco che non è l'originale, ma fratello, ci sa fare eccome.» e dal suo sguardo si poteva intuire che si ricordava perfettamente la baldoria che aveva fatto.

Cominciai a ridere con lui. Fortunato che si ricordava. «Io l'unico indizio di ieri sera che ho trovato è stato un preservativo.»

Sghignazzò. «Ma almeno era gnocca?»

Mi misi a riflettere nonostante le tempie mi pulsassero. «Era mora... occhi chiari, la tonalità mi è ancora ignota, merda» brontolai facendolo ridere. «Comunque devo andare a buttarlo, mi fa schifo avercelo in camera.»

«Guarda che lo hai messo tu, Sam, non dovresti schifarti più di tanto.» mi disse, alzando le mani verso l'alto come per giustificare qualcosa.

Gli feci una smorfia e chiusi nuovamente la porta per potermi vestire in pace. Chissà che faccia avesse, mi chiesi, ma vabbè, meglio non curarsene dato che mi ero ripromesso di non legare con nessuna ragazza.





*





«Sam, andiamo a fare rifornimento?» mi domandò mentre stavo dando un'occhiata a Instagram.

Xavier aveva fatto delle stories dove stava riprendendo la meravigliosa spiaggia di Darwin, e ad un certo punto erano spuntate la sua ragazza Danielle e Scarlett. Quest'ultima salutò il fratello e fece un'espressione buffa mentre passava, facendomi sorridere. Fortunatamente negli anni non le si era spento quel bel sorriso caldo.

Ad essere onesto avevo provato a cercare se fosse sui social, ma nemmeno l'ombra. L'unico modo per vederla era tramite il mio migliore amico, ma andava bene così. Sarebbe stato fin troppo imbarazzante e stupido se l'avessi seguita e spiato le storie senza scriverle nemmeno dopo tutti questi anni di silenzio.

Mi sentii in colpa al solo pensiero.

Al richiamo del mio coinquilino, alzai celermente la testa per confermargli, dopodiché cestinai tutte le caselle aperte del telefono, cacciandolo in tasca insieme al portafogli.

Mi sollevai e mi indirizzai alla porta, e subito dopo averla spalancata, udii Earl salutare qualcuno, incuiriosendomi. «Ehi, Jad! Come ti va la vita?»

Chiusi l'adito a chiave e mi voltai, trovandomi davanti a un ragazzo più alto di me di minimo dieci centimetri, ben messo con dei capelli mori e scalati, davanti lunghi fino al taglio degli occhi e dietro per poco non raggiungevano le spalle. La sua camicia a quadri lo rassomigliava a un boscaiolo, ma abbinata a quei jeans leggermente strappati lo riportavano tra gli studenti. «Che piacere vederti, Earl. Nuovo coinquilino?» domandò volgendo lo sguardo su di me.

«Oh, giusto. Lui è il nostro vicino.» mi spiegò in breve e io tesi la mano.

«Piacere, Samuel Sampson.»

Avvicinandosi maggiormente, mi fece notare i suoi occhi grigi con delle striature verdi, e stringendomi la mano abbozzò un sorriso che mise in evidenza le sue fossette. Accalappiava anche lui con tutto quel bel vedere, ne ero certo, ormai avevo l'occhio per scovare nuovi talenti. «Jared Watson, lieto di fare la tua conoscenza.»

«Ma quanto sei formale.» scappò di bocca ad Earl. «Comunque noi dobbiamo diventare il gruppo di amici più invidiato del dormitorio di Berkeley e non voglio un no come risposta.»

Mi volsi verso il mio coinquilino e portai un angolo della bocca verso l'alto, beffardo. «Faremo strage per San Francisco in questo modo, non voglio morti sulla coscienza.» pronunciai con ironia. Era il passatempo migliore mettersi alla prova con altri accalappiatori.

«Ed è un problema?» e posando gli occhi sullo spilungone, unì le mani. «Dai, Jad. Vieni di là con noi, c'è una stanza libera.»

«Grazie per l'invito, ma al momento sto bene anche dove sono.»

«Uffa, quanto sei noioso.» sbottò deluso e con Jared ridacchiai. «Prossima volta mi dirai sì, ci scommetto il burro d'arachidi.» e lo indicò come per lanciargli una sfida.

Il ragazzone aggrottò la fronte non capendolo, dunque mi proposi a delucidargli la sua fissazione.

«Adesso è tutto più chiaro. Comunque ora sono un po' di fretta, devo andare dal meccanico.»

«Ti si è rotta la macchina?» chiese Earl.

«No, mio fratello fa il meccanico, vado a dargli una mano e non mi piace essere in ritardo.» spiegò mostrando un sorriso tirato.

«Che bravo fratello, i miei sono degli stronzi patentati.» e una smorfia poco contenta mi fece scoppiare a ridere.

«Dai, andiamo che così lo lasciamo libero. È stato un piacere conoscerti, Jad.»

«A presto allora.» e sorridendoci, si avviò prima di noi verso gli ascensori col telefono posato all'orecchio.

Mi domandai se con Anthony avrei potuto avere un legame migliore di quello che si era rivelato. Chissà se, nel caso in cui mi fossi ritrovato ad aver bisogno di una mano, lui sarebbe venuto ad aiutarmi. Questi legami fraterni li invidiavo. Avrei desiderato anche io una vera famiglia alle spalle, invece mi sentivo come se la stessi cercando... però in qualche modo mi era andata bene comunque. Ero stato più un Willoughby che un Sampson nella mia infanzia, con dei fratelli fantastici, e mi sentivo amato più tra le braccia di Lara e dei suoi nonni che dai miei veri familiari. In qualche modo avevo ricevuto dell'affetto.

«Oi, tutto bene, fratello?» mi domandò Earl, posando una sua mano sulla mia spalla.

Mi voltai di scatto e sorrisi a malapena. «Certo, una meraviglia. Andiamo anche noi?»

Mi fece un cenno col capo e arrivando in strada, ci incamminammo per le vie della contea. L'avevo visitata di notte, con le sue insegne al neon e i locali pieni zeppi di giovani. Mi ritrovai in un ambiente caotico che in parte mi ricordò per un impercettibile istante Milano, con i suoi tempi veloci, ed era proprio in queste occasioni che mi perdevo nei rammenti. Mi mancavano i tempi australiani, dove nel mio vecchio quartiere si riusciva a vivere con tranquillità e spensieratezza. Forse era perché ero un bambino, e tutto quello che mi stava attorno mi sembrava pacato, ma non mi importava. Quella serenità era davvero nostalgica.

Entrammo in uno shop e, ovviamente, Earl doveva fare la sua scorta di burro d'arachidi, ormai questa sua passione era stata scoperta. Invece io, appena adocchiai una Cherry Pie, la presi come se fosse l'ultima cosa che avrei fatto nella vita, venerandola e bramando il momento in cui l'avrei assaporata. Già sentivo le papille gustative andare in estasi.

Forse avevamo qualcosa in comune io e quel pazzo che mi ero ritrovato in stanza.

«Sam, dobbiamo prendere un sacco di schifezze e soprattutto birra.» mi disse guardando il listino prezzi.

Aggrottai la fronte e mi avvicinai a lui. «Ma qua in America non dovresti avere ventun anni per prendere gli alcolici?»

«Ma io ho ventun anni.» e tirando fuori dal portafogli la sua carta d'identità, c'era scritto effettivamente ventuno.

Assottigliai lo sguardo e mostrai un sorriso sghembo. «Noto con piacere che la pensiamo allo stesso modo.» e tirando fuori la mia di ID, c'era appunto scritto che avevo due anni in più rispetto a quelli che realmente avevo.

«Oh, fratello, io lo sapevo che tra noi c'era della chimica!» mi alzò la mano per farsi battere il cinque e lo accontentai, guardandolo stranito mentre riponevo in tasta il documento.

«Fratello, suona malissimo.»

Ridendo alla Eddie Murphy, mi diede una pacca facendomi cenno di seguirlo e dopo aver svaligiato buona parte del negozio, tornammo con le nostre care birre e snack vari in appartamento, ma non prima di comprarmi il numero americano e salvare il primo contatto nella rubrica, che si salvò come Earl il Nero. Credevo di aver superato la fase idioti dopo Cristian e Raffaello, ma a quanto sembrava non potevo fare a meno di circondarmi da gente fuori dal normale.

«Va a chiamare Jad.» mi comunicò Earl, mettendo le patatine nella ciotola con della buona musica già avviata nelle casse.

Mi incamminai oltre la stanza e posizionandomi all'ingresso di fronte bussai. «Jared!» lo chiamai e cercai di non fare come Sheldon. Era davvero difficile, era una vita che sognavo di farlo, accidenti.

Poco dopo mi aprì e sembrava essere un po' stanco. «Ciao, Samuel, serve qualcosa?»

Gli specificai di chiamarmi pure Sam essendo vicini. «In verità Earl voleva fare una serata insieme, tu ci stai?»

Sorpreso alla notizia alzò le sopracciglia e si guardò un secondo alle spalle. «Oh, volentieri, dammi solo qualche minuto che finisco.»

Spostai l'occhio verso l'interno e mi venne da sorridere. «C'è una ragazza? Che se no ti lasciamo fare, non ti preoccupare.»

Aggrottando la fronte piegò leggermente il capo, poi connesse l'allusione e fece un mezzo sorriso imbarazzato. «Oh no, devo aggiustare la cucina, una tubatura è intasata.»

«Vuoi una mano?» mi proposi e alla mia offerta annuì facendomi entrare.

Un po' me ne intendevo, zio Tore mi aveva trasmesso quella sua passione di aggiustare le cose, dalle auto ai lavoretti banali, quindi nel mischiare questo alla mia piccola passione per la chimica, capitava che spesso creassi cose fatte da me e fuori dal comune. Con Alessio una volta stavamo rischiando di ammazzarci solo perché, per tagliare dell'acciaio, avevamo preso un paletto, aggiunto del magnesio, della ruggine e fatto infuocare, ottenendo così una sorta di lancia termica. Cose da non fare e provare, e non volevo nemmeno ricordare le sgridate dello zio; se non fossi corso via come un ghepardo, me le avrebbe date di santa ragione.

Sorrisi a quel ricordo passandomi una mano fra i capelli, mentre Jared si avviò sotto al lavello della cucina e riprese a smanettare con gli attrezzi.





*





Una volta finito di aiutarlo, mi preoccupai a pulirmi le mani; quelle tubature erano intasate come lo potevano essere poche cose, ci credevo eccome se l'acqua non andava più giù.

«Sei bravo a smanettare, come hai imparato?» gli domandai appoggiandomi al muro.

«Da mio fratello e da nostro zio, hanno una passione per le macchine che non puoi immaginare. E poi c'è la curiosità, non è la prima volta che faccio lavoretti del genere.» mi spiegò, mettendo al proprio posto gli attrezzi.

«Vivi da solo?» gli chiesi ancora curioso. Era un mio piccolo difetto, amavo sapere le cose e non riuscivo a farmi i cazzi miei.

Lui mi guardò corrugando di poco la fronte, e constatai che lo faceva spesso prima di rispondere ad una domanda. «Ehm, sì. Sono solo, ma non mi dispiace a essere sincero.»

«Beh, quando vuoi puoi sempre venire di là con me e Earl, ci farebbe comodo averti con noi, almeno sappiamo da chi farci aiutare se abbiamo problemi ad aggiustare qualcosa.» celiai ridacchiando, successivamente mi avviai all'uscio.

«Ci sarò comunque, sono di fronte a voi. Però al momento sto bene qui, ogni tanto stare in solitudine non è un male.» disse abbozzando un riso e uscendo finalmente fuori dalla sua camera.

«Ehi, ragazzi, dov'è la festa?» mentre davanti a noi passava un coetaneo del dormitorio tutto entusiasta, arrestò per poter ricevere responso, con un pacco di birre in braccio e dall'altra un grosso sacchetto di pop corn.

Spalancai le palpebre credendo che quella che dovevamo passare dovesse essere una serata tranquilla. Titubante indicai il mio appartamento e tutto contento cercò di aprire la porta, quindi mi preoccupai a dargli una mano prima di ritrovarmi l'ingresso inzuppato di alcool. Dovevo farmi dare qualche spiegazione al mio coinquilino.

Appena spalancai la porta, ecco che là dentro comparve il delirio. C'erano sì e no altri quindici ragazzi che facevano confusione, tra cui i fratelli Jefferson. Non che mi dispiacessero le feste, ma sarebbe stato gradevole essere informati se una di queste avveniva in casa tua.

«Erano programmate tutte queste persone?» mi domandò Jad e senza riflettere scossi la testa.

«Fratelli!» ed ecco che Mr. Magoo comparve. Anche se non era miope, calvo e tozzo, era in ogni caso un combinaguai di prima categoria.

«Mi vuoi spiegare che ci fa qua tutta questa gente?» lo interrogai indicando il festino, ma a tradirmi era un sorriso sornione a pennellarmi il viso da una guancia all'altra.

«Ecco, vedi, erano entrati i miei fratelli, hanno visto bibite e snack, e di conseguenza la voce si è sparsa.» spiegò brevemente, poi ci prese per le spalle e guardò lo spilungone. «Che bello, sei venuto!»

Roteai gli occhi per il doppio senso, però rimasi zitto.

«Già-»

«Questa festa sarà uno sballo!» e in quel momento entrò un ragazzo con il galleggiante a forma di fenicottero, al che scoppiai in una fragorosa risata.

Andava bene tutto, ma di certo non mi aspettavo qualcuno che confondesse un appartamento di un dormitorio in una spiaggia pubblica.

Gli occhiali a forma di ananas erano posati sul suo naso, enfatizzando in qualche maniera quel riso abbagliante che trascinò fino alla sala, poi lo abbandono per fare spazio a un urlo di battaglia. Posò per terra il fenicottero e come se avesse già bevuto le sue dosi di birra, cominciò a cavalcarlo gridando frasi che riconobbi provenire da alcuni sketch di American Pie.

«Avanti, buttiamoci nella mischia!» un altro scatenato ululò buttandosi letteralmente sugli amici seduti sul divano, rubando una lattina e bevendola in una posizione alquanto scomoda.

Ero gasato per come stava iniziando e non vedevo l'ora di scoprire come sarebbe proseguita la serata.

Di punto in bianco mi soffermai a orecchiare e constatai che questa musica non andava bene; amavo davvero i Bob Marley, ma era più da fattoni che da festa.

Senza pensarci due volte mi diressi alla stazione musicale, ovvero il portatile di Earl, e digitai quella che era la canzone da festa. Ed ecco che Sweet Dreams degli Eurythmics pompò nelle casse.

Jared mi guardò divertito e avvicinandomi a lui, presi due birre porgendogliene poi una. «Questa canzone è la mia canzone da festa. Se non c'è non posso dare il mio massimo.»

«E cosa vorresti fare?» domandò.

Mi guardai attorno e purtroppo c'erano solo ragazzi, ma non importava. Bevvi un lungo sorso e mi diressi nella mischia. Alcuni si erano messi a giocare alla Play Station di Earl, altri facevano a gara di chi beveva di più, altri ancora ballavano sconnessi dalla realtà.

Scandagliai i volti e con un urlo riuscii a ottenere l'attenzione totale. «RAGAZZI!» qualcuno abbassò persino la musica per poter ascoltare meglio, «che festa è se non c'è del fumo?»

E mentre alcuni esultarono, Earl mi venne incontro serio. «Scusa fratello, sei passato dallo spaccio senza chiedermi quanta erba volessi?»

Scoppiai a ridere, un po' pentito per non conoscere qualcuno che la vendesse, e scossi la testa. «Non intendo quel fumo, prossima volta però dovresti pensarci.» e dirigendomi sotto al lavello, trovai i prodotti domestici. Lessi le etichette e agguantai quello che mi serviva, poi andai a raccattare la carta stagnola.

In tutto questo Earl mi seguiva allo sbaraglio. «Ma ti devi mettere a pulire adesso?»

Non capiva proprio, ma a breve gli avrei spiegato tutto. Perciò presi l'ultimo ingrediente che mi serviva e raccattai un secchio da un mobiletto. «Earl, hai mai fatto chimica a scuola?»

Confuso corrugò la fronte insieme a Jared e ad altri mentre mi posizionai al centro della sala. «Certo, ma questo che c'entra?»

Nel secchio aggiunsi i prodotti e da qui diedi il via all'esperimento. «Allora dovresti sapere che unendo ammoniaca, acido muriatico e carta stagnola, l'effetto che si ottiene è il fumo.» e buttando la pallina di alluminio, ecco che cominciò a fuori uscire il soggetto dell'esperimento. Forte, vero?

Tutti esultarono ed Earl mi batté il cinque. «Cazzo, oltre ad essere un bel vedere sei anche un nerd!»

Lo guardai sbigottito per le definizioni che mi aveva dato. «Di manzo ci sono, ma non accetto la definizione di nerd. Ero uno che si annoiava e per passare il tempo creavo queste cose. Chi è che non lo fa?»

E se vi dicessi che gran parte di quelli che mi ascoltavano si stavano impressionando dalle mie parole, ci credereste? Credo proprio di sì, ma mi conoscete, fuori di testa è la mia definizione.

«Scusami tanto, ma quale persona normale fa ste cose al posto di prendere una mazza e giocare a baseball?» intervenne un terzo alla conversazione e voltandomi forse lo avevo già visto.

«Io.» risposi con ovvietà, facendolo ridere. «Avanti, la scienza e la chimica sono le cose più interessanti al mondo dopo l'astronomia.» ma così alimentai solo una risata generale e questo mi alterava i neuroni.

Buttando un braccio sulle mie spalle, il ragazzo cercò di tenersi in piedi. «Amico, sei uno spasso. Io sono Travis.»

«E io Sam.» dissi con noncuranza.

«Per me sarai il genio della chimica, anzi no. Ti chiamerò MacGyver!»

Effettivamente non suonava male, quella serie tv spaccava di brutto e il protagonista era davvero un idolo, ma ad un tratto cominciai a vedere a tratti per via del mio esperimento e prima che scattasse l'allarme antincendio, mi avviai ad aprire la finestra. Okay, questa era stata una pessima idea. Da segnare che questo tipo di attività non si deve assolutamente attuare in un ambiente chiuso nonostante non avrebbe creato effetti collaterali salutari.

Cercammo di buttare tutto il fumo fuori dalla finestra dando aria con libri e quaderni, sperando che il direttore non venisse a chiedere cosa fosse successo. Nel caso fosse successo, ero preparato, bastava far bruciare qualcosa in pentola e dare la colpa a questo. Un genio.

«Ehi, raga, che fate?» domandò curioso André.

«Cos'è questo fumo?» si aggiunse Doug e quei due, in questo momento, non ci volevano proprio.

«Oddio, nostro fratello si sta drogando!» si portò le mani sulla testa.

«Avanti, sgancia la Maria.» disse serio l'altro, porgendo la mano per avere uno spinello.

«Non abbiamo nessuna erba, ma avete mai sentito l'odore di marijuana?» domandai e fortunatamente morire in un ambiente affumicato era programmato per un'altra serata dato che, per fortuna, il fumo cominciò a uscire.

Quei due si scambiarono un'occhiata e fecero spallucce. «No, non ci siamo mai drogati, ma se l'abbiamo provata eravamo fatti.»

Rimasi per un secondo interdetto, poi lasciai stare. Avevo capito che non si poteva fare un ragionamento logico con quei due.

«Vi siete fatti di stronzate, ecco di cosa vi siete fatti.» li riprese il mio coinquilino. «È possibile che avete un arachide al posto del cervello?»

«Senti chi parla, campione mondiale di abbuffata di burro agli arachidi.» sbottarono in contemporanea e questa cosa non l'avevo mai sopportata; ogni tato capitava anche a Xavier e Scarlett.

Ad ogni modo, tra una birra e l'altra mi persi in chiacchiere e cretinate, e nonostante non ci fossero gazzelle nei paraggi, la prima festicciola in casa l'avevo fatta e con un grande successo. Si poteva dire che avevamo stretto amicizia con quelli del piano.

«MacGyver, dobbiamo immortalare questa festa.» si preoccupò Travis, prendendomi per il braccio e tirandomi con sé.

Uno dei ragazzi aveva portato una reflex e l'aveva messa sull'isolotto, pronto per far partire il conto alla rovescia. «Foto di gruppo!»

Da qui cominciarono a farsi sentire schiamazzi a destra e a manca per riunirci in sala, fino a quando non formammo una corazzata insieme al fenicottero.

«Brad, fa partire!» gli gridò Trav e, venendoci incontro, ci mettemmo in posizione tra una cazzata e l'altra.

«Al dormitorio Berkeley!» dissi puntando la birra verso l'alto e tutti esultarono nel momento stesso in cui la macchina fotografica scatto il flash, imprimendo nella pellicola quella pazza serata di settembre.

Allo scattare della mezzanotte compiei diciannove anni.

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