Successo (participio passato)
STORIA PACCHETTO N°2
"Ogni suicidio è diverso, e privato. E' l'unico modo per scegliere: perché le cose cruciali della vita, l'amore e la morte, non si scelgono; tu non scegli di nascere, né di amare, né di morire. Il suicidio è l'unico, arrogante modo dato all'uomo per decidere di sé."
(G. Paoli)
SUCCESSO
Era metà pomeriggio e Fabio, il ragazzo prostrato sul divano del negozio all'angolo, aspettava l'uscita della sua ragazza. Osservando la figura con più attenzione si poteva vedere che il suo sguardo non era rivolto in direzione dei tendaggi damascati con ROSE BLU, bensì fisso sulla vetrata opposta. In verità ignorava le voci attorno e sperava che la sua fidanzata si trattenesse all'interno dei camerini altri quindici minuti circa, giusto il tempo di vedere almeno la fine del primo tempo di Milan-Roma. Da quando conviveva con Francesca le scappatelle con gli amici si erano dimezzate per non parlare dei pomeriggi allo stadio, un'utopia, quel tempo goliardico era stato sostituito da passeggiate mano nella mano, cene romantiche e uscite dedite allo shopping compulsivo: fra lui e gli amici la sua ragazza aveva messo un MURO. Mentre pensava tutto questo, alzò lo sguardo dal pavimento di nuovo verso il grande schermo cinquanta pollici posto sulla parete del bar di fronte proprio nel momento esatto in cui Olivier Giroud assestò un destro nell'incrocio dei pali cogliendo il portiere di sorpresa, Fabio stava per sollevarsi in piedi colmo di gioia quando vide, schiantarsi al suolo, un sacco nero.
Le connessioni nervose del suo cervello non furono sufficientemente rapide nel chiedersi se fosse davvero un sacco della spazzatura, e chi, fra i lussuosi palazzi di via Monte Napoleone potesse aver osato lanciarlo dal terrazzo. Il rumore fu forte da destare l'attenzione dei pochi passanti, chiaro segnale di qualcosa che non doveva succedere ma che invece era appena successo, e quella cosa adesso si trovava lì, buttata sul marciapiede a meno di dieci metri da lui, nel centro di Milano, nel cuore della Milano bene. Sentì alle sue spalle Francesca chiedere: Cos'è stato? E allora Fabio oltrepassò le persone trasformatesi, complice la paura, in statue di sale, uscì sgomitando dal negozio urtando un enorme POSACENERE in coccio, ma vide davanti a sé solo passanti più lesti di lui che gli impedivano la vista, e poi qualcuno gridare oddio, e ancora teste sporte da balconi e finestre con il volto coperto dalle mani.
E poi, facendosi strada tra la folla, finalmente vide.
Era successo. Era successo, come participio passato.
PRIMA CHE SUCCEDESSE
Dissimulare il mio vero stato d'animo è la mia più grande peculiarità. Sorrido in modo autentico mentre il male oscuro mi logora dentro. Chi avrebbe potuto indovinare quanto sta per accadere? Cosa ne sapete voi? Cosa potete saperne?
Al mondo non esiste una sola persona in grado di capirmi, di aiutarmi, bé, di fare qualcosa.
Prof. L. Pinessi
Specialista in disturbi post traumatici
e bipolarismo.
Il tono dell'umore è disforico con alternanza di tratti di eccitamento e di angoscia. Sono presenti turbamenti psichici e ansia. La paziente alterna fasi di irrequietezza a fasi di astenia.
Si rileva una lieve ostilità a livello sociale, sottesa da forte irascibilità ansiosa.
Nelle situazioni di gruppo la paziente è aggressiva e poco duttile al controllo di sé: i rapporti sociali sono scarsi e rifiutati a priori.
Dato il forte impatto sociale del suo personaggio pubblico tende a considerare sé stessa in modo eccessivo e sproporzionato, ma oscilla tra lampi di ipervalutazione a momenti di grave dubbio sulle proprie capacità. (Genio e nullità).
Nei rapporti interpersonali propende a mostrarsi compiacente tendendo ad assecondare le aspettative percepite nell'altro.
I meccanismi di controllo e di difesa appaiono strutturati in maniera appena sufficiente e poco equilibrata con tendenza a peggiorare nelle condizioni di forte stress. Labilità emotiva, tensione, astenia e scarsa capacità di concentrazione sono da considerarsi connotazioni in linea con il disturbo bipolare di tipo due.
Prof.
L. Pinessi
POCO PRIMA CHE SUCCEDESSE
Arriva sempre, nella vita di ognuno di noi, il momento in cui ci rendiamo conto che ciò che credevamo di volere ardentemente non accadrà mai. Tutti i sogni sul lieto fine e la stramaledetta staccionata bianca si erano volatilizzati fra le mie mani come se stessi cercando di tenere stretta una nuvola di fumo: gesto assurdo, inutile.
Avevo imparato a mie spese che la realtà è una fredda e durissima stronza senz'anima. Non aveva lasciato che mi abituassi pian piano alla malattia. Troppo presto è comparsa. Punto. Nessuna dolce spintarella che mi facesse spalancare gli occhioni VIOLA per vedere la verità davanti a me.
Cazzo, mi aveva proprio buttato giù dal dirupo.
E mentre scendevo sempre più in basso avevo sbattuto contro la realtà come se mi fossi tuffata di testa nell'acqua gelida. Quell'acqua non anestetizzava, al contrario amplificava il dolore, facendolo penetrare nelle ossa con fitte costanti e sorde.
Il male è diventato una parte di me, è tangibile, vero, e quando penso che la morsa nella mia testa si stia allentando un po' e finalmente tiro un lungo sospiro di sollievo, la realtà mi ricorda chi comanda schiacciandomi di nuovo con la stessa facilità della prima volta.
Eppure, quel giorno, scappando di casa, non mi sarei mai aspettata di arrivare a questo punto. Quando ci ripenso, non sono del tutto sicura di come sia successo.
Se avessi fatto delle scelte diverse. Se fossi riuscita a dire no. Se il mondo attorno non mi avesse amata così tanto ma in modo così superficiale. Se lui non fosse piombato nella mia vita.
Il desiderio di autodistruzione sarebbe arrivato lo stesso?
Da mesi valuto se i cinque piani che separano il mio balcone dal suolo saranno sufficienti o meno a garantirmi la morte: in questo la mia laurea in ingegneria meccanica è stata di grande aiuto nel calcolare la forza d'impatto al suolo. Ancora il mio cervello è la chiave per la fine. Una misurazione complicata e non del tutto esatta, ma utile a constatare che fortunatamente non avrei scampo.
In questo momento il rumore delle auto è una musica lontana, il cielo sopra Milano è stranamente limpido. Mi affaccio guardandomi intorno e poggio un fianco sull'acciaio freddo del corrimano. Il mio sangue viene pompato con più forza e il peso che sento opprimermi ogni giorno si alleggerisce man mano che quel pensiero diventa nitido. La testa si schiarisce. Niente potrà fermarmi. È un giorno perfetto per saltare. Inizio a sentirmi di nuovo viva ed è un sentimento piuttosto discrepante dal tipico concetto di vita con cui veniamo cresciuti sin da piccoli. Morire non mi fa paura, ma vivere mi terrorizza e l'angoscia di quanto potrà accadermi non supera quella di quanto già mi è accaduto.
Nessuno capisce la donna che sono diventata. Non ci riesce lo psichiatra, profumatamente pagato tre volte la settimana, figuriamoci i presunti amici che dovrebbero provarci senza scopo di lucro.
Ho un pessimo carattere ma le situazioni sfavorevoli che nel corso della vita si sono concatenate fra loro hanno giocato un ruolo determinante nell'aggravare il mio disagio psichico.
Ero una bambina ribelle che si è trasformata in un'adolescente problematica, divenuta poi un'adulta depressa e squilibrata.
E se io non fossi aggiustabile?
Dal bipolarismo non si guarisce, si migliora e si annaspa tra alti e bassi, questo è la prima regola che ho imparato a mie spese durante gli anni. Il medico asserisce convinto che io mi nutra del mio dolore e provi una sorta di perverso piacere a vivere nel buio.
Se potessi parlare alla me adolescente le direi di farla finita subito: ricordo ancora il giorno in cui mi sono chiusa in bagno e ho stretto forte il rasoio in mano. Non dovevo piangere sopraffatta dalla gravità dei miei pensieri, bensì agire perché la malattia mentale ha condizionato tutta la mia vita.
Non sarei mai stata una persona libera.
Questo è il momento di andare, perché desidero più morire che vivere.
Poi, come sempre quando ricerchi ossessivamente la perfezione, quando programmi le mosse al millesimo, le cose vanno diversamente.
In sottofondo il telefono squilla. Non mi muovo. Continua. Il sollievo di sentirsi dispensata dal rispondere, già con un piede nella fossa mi esonera dal presumere di richiamare più tardi.
Più tardi quando?
Il più tardi non esiste l'ho ripudiato.
Questa è la mia segreteria telefonica. Non ti rispondo, perché non voglio rotture di coglioni.
Li conosco bene quei dieci secondi incisi in digitale, e mai avrei immaginato potessero essere l'anticamera di un'inattesa sorpresa, ho tutto ciò che mi serve: un balcone, il vuoto e la fervida volontà del non volere.
«... senti, non possiamo continuare a distruggerci così».
E questo è solo l'inizio del suo monologo.
È che io non sono capace di ascoltare, le parole degli altri mi hanno sempre ruotato attorno ma non mi sono mai curata del loro significato; con le voci lotto ogni giorno, prendono decisioni per me, conosco a memoria tono e cacofonia, l'umore e il carattere: ecco cos'è la malattia mentale. Un mare tempestoso e sconosciuto che non vale la pena acquietare. La bufera è inestinguibile.
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