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Ho dormito un’oretta, ma sono stata molto agitata.
Un pensiero ricorrente mi veniva ripresentato come un’immagine terribile nel mio sogno.
Non starò a ripensarci perché, come i sogni belli non si avverano, non si avvererà nemmeno questo.
Mi alzo e, per rimettermi di buon umore, decido di vestirmi da vera donna.
Mi ripeto che sono mesi che indosso pantaloni comodi e magliette di due taglie più grandi per stare in tenuta ospedaliera.
Ma oggi voglio indossare qualcosa di carino, qualcosa che mi permetta di vedermi come una donna in carriera.
Nel cuore, però, sentivo che il motivo era un altro.
“Ragazzina” è un nomignolo che non sopporto, soprattutto detto da lui, che mi fa sentire inopportuna, non alla sua altezza, non abbastanza.
Ricordo ancora come truccarmi, anche se nemmeno prima dell’ospedale lo usavo molto.
Ma oggi diventerò una professionista del make-up grazie al web.
Per il mio nuovo lavoro, qualche giorno fa ho comprato tanti abiti carini nei negozi vicino alla clinica, ma poi la mia timidezza mi ha fatto optare per la semplicità.
Ma stasera quel vestitino di pizzo nero credo che faccia bene al mio disperato bisogno di dimostrarmi adulta.
Lo indosso sperando che mamma non faccia qualche osservazione, visto che come scollatura forse è davvero troppo per il mio modo di essere.
Non ho mai osato così.
Ma di follie credo che nella mia vita non ne abbia mai fatte e ora sarebbe giusto prendermi qualche rivincita con me stessa e la mia improponibile situazione.
Trucco e vestito sono fatti e quando esco dal bagno mamma ne è entusiasta.
Forse nella mia vita non credo di ricordare di aver avuto più apprezzamenti di questa sera, probabilmente nemmeno quando ho portato il massimo dei voti per la tesi.
La saluto anche se è ancora presto, ma in bagno mentre mi preparavo mi è venuta un’idea: voglio fare un regalino a Filippo e credo di aver visto nei negozi vicino alla clinica esattamente ciò che gli voglio prendere.
Le faccio promettere che deve chiamarmi per ogni cosa, tanto io sto solo al piano superiore.
Ma lei mi fa promettere che non vuole che questa sera pensi a lei, perché sta bene.
Vado anche se per un attimo, vedendola tanto sola, mi sento in colpa.
Ma so che le farei più male se rinunciassi per colpa sua.
Arrivo al negozio con moltissimo imbarazzo, visto che sembrava che tutti gli esseri viventi di sesso maschile fossero interessati a me.
Il giubbotto copre quasi tutto il mio corpo, ma basta un po’ di rossetto rosso e una matita nera che allunga lo sguardo e l’uomo non ha più giudizio.
Per un attimo mi soffermo a pensare se Filippo avrà la stessa reazione, ma vengo riportata alla realtà: lui mi vede come una ragazzina, e non sarà il trucco a cambiare la sua testa dura.
Per fortuna il regalo che volevo prendere è ancora lì.
Me lo faccio incartare con una carta da regalo color azzurro.
Credo che gli piaccia come colore perché spesso porta magliette di quella tonalità
Un sorriso appare sul mio viso.
Adesso faccio attenzione anche a cosa indossa, devo essere proprio una stonata.
Mi rendo conto che è davvero tardi, quindi avanzo verso la clinica e salgo in ascensore per fare prima.
Davanti alla sua porta mi fermo un attimo per riprendere fiato, o semplicemente ritrovare il coraggio che mi ha spinto a vestirmi così.
Perché se prima mi sembrava una buona idea, ora ero molto imbarazzata.
Mi giro per andare a cambiarmi, quando sento la porta aprirsi. “Come sempre devi aspettare 15 minuti prima di bussare alla mia porta.”
Ecco, mi ha beccato di nuovo.
Deve avere telecamere anche qui.
“Ciao,” dico imbarazzata.
“Vieni, accomodati, ragazzina.”
Perfetto, trucco e vestito non sono serviti a farmi vedere come un’adulta.
Il suo appartamento, come al solito, è in perfetto ordine, e dalla cucina si sentono degli odori buonissimi.
“Questo è per te,” e gli do il pensiero che ho preso per lui.
Come un vero signore, poggia il regalo sul divano rosso e mi aiuta a togliere il giubbotto.
Preferivo tenerlo, in qualche modo mi copriva e mi faceva sentire meno intimidita, ma con Filippo non si possono prendere decisioni che non vadano d’accordo con le sue idee.
“Ma come? Hai reso questo vestito così meraviglioso indossandolo, e ora lo vuoi tenere coperto?”
Il furfante lo aveva notato, pensa la mia testa.
“Non prenderti gioco di me.”
“Non gioco,” dice in maniera decisa, lasciandomi sospesa nelle mie mille paranoie.
“Prima di andare di là voglio aprire il regalo.
Lo sai che senza sapere hai scelto la carta del mio colore preferito?”
“Ma davvero, che coincidenza.” (Certo, non posso dirti che ti osservo, altrimenti potresti fraintendere.)
“Spero che ti piaccia anche se è solo un piccolo pensiero.
Guardandomi attorno ho visto che non hai una foto, e ho pensato di prenderti un portafoto per metterci dei ricordi.”
“Grazie, Alessandra, davvero un’ottima osservatrice.
Ma ora devo scattarti una foto, per ricordare questa magnifica sera e incorniciarla sul mio muro.”
“Non ci pensare proprio.”
“Non discutere, tanto sai che vinco sempre io.”
E mentre cerco di darmi una sistemata ai capelli, ecco che prende il cellulare e la foto è scattata, proprio come ha detto
E mentre cerco di darmi una sistemata ai capelli, ecco che prende il cellulare e la foto è scattata, proprio come ha detto.
“Vieni, ragazzina, la cena è pronta.
Ti ho preparato tante cose buone.”
“Ragazzina, perché continui a chiamarmi con questo nomignolo? Non ti piace il mio nome?”
"Il rossetto e il vestito sexy non ti rendono diversa dalla ragazzina stupenda con gli occhi da cerbiatta che ho conosciuto nel parcheggio della clinica, arrabbiata perché la volevo difendere.
So perfettamente che sei una donna, lo sa il mio corpo e la mia testa, ma immediatamente quando me lo ripeto, il mio cuore ti vede come una ragazzina che ha bisogno di me, delle mie attenzioni e della mia cura.
Questa sensazione mi piace molto, mi fa sentire utile.
Posso prendermi cura finalmente di qualcuno, cosa che non ho potuto fare con mia madre.
Quindi ti prego, Alessandra, permettimi di chiamarti con questo nomignolo che al mio cuore piace molto."
Sfacciatamente onesto, ed è questa sua sincerità che mi mette a nudo, niente maschere, niente trucco.
Anche lui è un ragazzo che deve combattere con i rimorsi, ma lo fa onestamente, senza nascondersi.
L’istinto primordiale, quello della sopravvivenza, mi spinge ad allungare la mia mano per toccare la sua.
Non sono imbarazzata né ho vergogna di quello che può pensare, ho solo voglia di sentire il calore del suo corpo.
“Puoi chiamarmi così,” dico semplicemente.
Una serata che è iniziata nel miglior modo possibile. Le nostre anime sono nude, pronte per conoscersi nel profondo.
Iniziamo entrambi a fare domande a cui daremo risposte dolorose, ma forse è solo attraverso il dolore che si percepisce il vissuto dell’altro.
Filippo mi parla dei suoi e della perdita atroce che da ragazzo ha dovuto affrontare, ed io gli parlo di papà e delle quattro bellezze di Napoli, della malattia e del dolore di mamma.
Ma il discorso poi va verso la luce che entrambi abbiamo incontrato e che ci ha rialzato, ci ha sospinti verso la rinascita.
Mi accorgo che entrambi avevamo bisogno di non nasconderci più, ma sono certa che anche lui se ne sia accorto, perché ora le parole vanno da sole, come due fiumi che scorrono inesorabili verso il mare.
E quel mare per noi rappresenta la libertà di essere felici.
Ad un tratto mi accorgo che è tardissimo, sono le 2:00 passate.
So che non mi devo preoccupare per mamma, ma devo scendere.
Il mio Filippo mi riaccompagna anche se leggo dai suoi occhi che si dispiace. Come l’altra sera, blocca le porte dell’ascensore per non farle chiudere, ma la nostra reazione al mio passaggio questa volta è decisamente diversa. Entrambi, senza che ce ne rendessimo conto, finiamo in un abbraccio.
Un abbraccio diverso da quelli che ci siamo dati tante volte, un abbraccio che sapeva di parole dolci, di momenti unici, ma soprattutto un abbraccio che prometteva ad entrambi che ci saremmo sempre stati per fasciare i nostri dolori e per sorridere dei nostri successi.
Dopo non so esattamente quanti minuti, i nostri corpi si sono staccati, ma so esattamente che lui ha lasciato qualcosa di suo a me, ed io ho ricambiato la stessa cosa a lui.
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