Capitolo V


Non riesco ad abbassare lo sguardo.
L'affresco sul soffitto del corridoio principale del campus attira la mia attenzione per la sua maestosità. E' curato al punto di sembrare nuovo, è come se mi stesse permettendo di tornare indietro di secoli e avere il privilegio di essere la prima persona al mondo a vederlo.
Due ragazze praticamente identiche mi squadrano, con le loro minigonne nere e due sigarette, sottili come loro, trattenute tra indice e medio. Ovviamente, sono troppo preso da altro per degnarle di troppe attenzioni.
Passo davanti al bar dell'università, un cubo pieno di vetrate gigantesche e pareti rosse. Ricorda vagamente una tavola calda anni '50, e mi basta intravedere il cartellone dei prezzi per rassicurarmi che sono ancora fuori posto in questo Paese delle Meraviglie della giovane élite zaricciana.
Continuo a ignorare il telefono, che vibra da mezz'ora.
Quando noto davanti a me una bacheca di annunci, mi avvicino. La superficie in legno è tutta rovinata, con diversi fogli mossi dal vento al punto di stropicciarli, se non addirittura strapparli. Numeri di telefono ovunque, pubblicità di eventi e di stanze in affitto a prezzi stratosferici... mi passa per la testa l'idea di lasciare un'implorazione scritta riguardante il mio desiderio di lavorare a Zaricci, ma per una ragione o per l'altra sento come se fossi già stato umiliato abbastanza per oggi.
Una lampadina preme ogni parte del mio cervello, facendomi spalancare gli occhi.
Faccio un mezzo metro indietreggiando e afferrando una copia del mio curriculum dallo zaino.
Mentre entro nel bar, mi accorgo subito dell'aria condizionata destinata a farmi venire un'impressionante pelle d'oca e le diverse televisioni sintonizzate su un programma di musica pop contemporanea. Seppur il pavimento a scacchi nero e bianco e le sedie rosse mi avevano portato all'ipotesi si trattasse di un American Diner, rimango deluso nel notare che è un semplice bar, a dirla tutta abbastanza generico e anonimo, un po' vintage e un po' futuristico. Un casino stilistico, si potrebbe dire.
Una signora di mezza età dietro al bancone mi squadra man mano che mi avvicino a lei. Sopra la sua testa si trova una lampadina neon viola, intenta a donarle un'aria piuttosto raccapricciante. Sembra studiare attentamente ogni tremolio delle mie dita, intente a tenere fermo il più possibile questo foglio a colori con una patetica lista di esperienze lavorative che mi sono inventato di sana pianta solo per avere più probabilità di accaparrarmi un colloquio.
A quanto pare ho fatto ripetizioni ai bambini delle elementari e sono catechista da oltre tre anni. Ora come ora mi sembrano due stupidissime e inutili bugie da scrivere su un curriculum, ma sono le uniche posizioni che non mi creerebbero problemi nel caso qualcuno provasse ad indagare sulla veridicità del mio CV. Voglio dire, tutti mentono sul curriculum, anche solo per piccole cose.
Saluto la signora, che grugnisce in modo spazientito, e abbandono il foglio sotto il suo naso. Lo afferra con le sue dita enormi, unte. Vedo degli aloni trasparenti rovinare i bordi della mia candidatura, ma penso sia già buono che questa donna si sia presa la briga di leggerlo.
La ringrazio, e lei appare confusa. Non dice niente. Mi accorgo che non ha ancora parlato da quando sono entrato, e non capisco se è muta o semplicemente maleducata.
Mi giro sui talloni e mi dirigo verso la porta, giusto in tempo per capire che sto arrossendo come un bambino che si è pisciato addosso sullo scuolabus.
Sbircio un'ultima volta dalla vetrata del bar, e noto la signora intenta a servire un ragazzo altissimo con una giacca blu e uno zaino in pelle bianco. Penso a quanto possa essere geneticamente perfetto per non essere inondato dal sudore anche vestito così, e mi sento ancora più minuscolo e insignificante quando vedo che la signora non ha più il mio CV tra le mani.
Forse si è accorta che ho scritto un uragano di stronzate.
Si ingigantisce tutto nei curriculum, però, o così mi ha detto Sami. E, man mano, tutto ciò che hai ingrandito e reso sfarzoso perde di utilità perché cominci a salire di livello, proprio grazie a quelle piccole bugie bianche che ti elevano dalle altre candidature. Eventualmente, sempre secondo Sami, si arriva a un punto in cui non serve più mentire sulla resumee per ottenere il lavoro che si desidera da anni.
Non ne so molto di curriculum e lavoretti vari. Come potrei saperlo, d'altronde? Se si vuole proprio lavorare a Cordello bisogna essere il figlio del macellaio o una ragazza a cui va bene fare la cameriera in nero per dieci ore al giorno ed essere spogliata con gli occhi dagli ubriaconi del bar di paese.
Giuditta lavorava part-time in una pizzeria poco distante da Cordello prima che sua madre, rimasta vedova già da anni, sposasse il signor Moschella, cognome famoso per essere storico nell'élite del nostro paesino. E' una verità scomoda quel pettegolezzo che girava, ossia che molto probabilmente i genitori stessi avevano vietato a Giuditta di continuare a lavorare mentre studiava per non far apparire l'intero nucleo famigliare meno agiato rispetto agli altri splendidi del quartiere.
I ricchi di Cordello non sono neanche così ricchi se paragonati ai pesci grossi di Zaricci, ma hanno le stesse venature presuntuose, elitarie ed aristocratiche molto impostate che caratterizzano qualsiasi stereotipo riguardante i cittadini benestanti. Essermi fidanzato con uno di loro mi ha proprio fatto sbattere il naso contro il muro che ci sarà sempre tra queste auto-proclamate divinità ultramoderne e i comuni mortali con una Panda del 2004 e un braccialetto in legno attorno al polso invece che un Rolex. Non penso che Sami faccia apposta a farmelo pesare, ma la differenza di background tra noi due è sempre stata un problema. Non amo mi offra le cene o mi regali vacanze, perché mi fa sentire come se fossi un toy-boy. Mi ha fatto sentire più volte come una collana eccentrica che indossa per mostrarsi alle feste dei suoi amici. Mi ha sempre fatto percepire questo mio dovere a sentirmi riconoscente, come se senza di lui finirei ancora nel baratro. A volte mi vedo come il nuovo souvenir dell'occidentale benestante dopo la sua ennesima esperienza di turismo sessuale.
Mi sento esagerato quando il mio cervello canalizza le sue attenzioni su questo fiume di negatività e mancanza di fiducia nell'umanità, ma se c'è una cosa che ho capito dei ricchi che non si sentono abbastanza ricchi è che devono sbattere in faccia a tutti quante belle cose hanno nella loro vita.
Se da una parte sono sempre stato stuzzicato dalle cronache luccicanti de "Gli schifosamente benestanti di Cordello", è anche vero che l'unico desiderio che ho nello stare in mezzo a loro è potermi permettere di vivere in maniera spensierata, senza sentirmi in colpa per essere andato al McDonald's per merenda o per comprarmi venti euro di erba dallo spacciatore in stazione ogni settimana.
Vorrei avere più risorse, ma sento di non avere mai i mezzi per ottenerle. I miei genitori mi supportano come possono, ma è difficile quando anche dare venti euro al tuo unico figlio sono una faticaccia.
Ho risparmiato i soldi per le sigarette e le canne per pagarmi la patente, ma che senso ha quando si usa una macchina in tre e non facciamo un pieno da due anni?
Sono colpito da una maledizione che mi tiene fermo a Cordello, le mie gambe si stanno trasformando pian piano in radici e non importa quanto mi dimeni per scappare o urli per farmi aiutare, rimango bloccato nella mia mutazione. Ho passato anni di sacrifici per essere il ragazzino sprovveduto con un curriculum farlocco che vuole essere qualcun altro, ma che non ci riesce.
Sono il ragazzino che non capisce se Sami lo vede come un partner o come una via di fuga, un escamotage dal mio futuro, troppo misero se bilanciato alle mie ambizioni.
Non siamo mai stati veramente felici, io e lui. Ci ho messo mesi e mesi per capirlo, ma non siamo mai stati veramente felici.
E sento le lacrime corrodermi le gote come se fossero acido, perché capisco che sono soltanto un disperato che gira attorno ai suoi problemi a trecentosessanta gradi ma non riesce a muovere un passo per tuffarcisi dentro e risolverli. Sami, sotto sotto, è sempre stata la dimostrazione che mi serviva per convincermi che stavo correndo verso la luce, ma ora penso che ci sia soltanto il nulla.
Sono passato dall'essere quel bambino innocente che corre verso la speranza al ragazzo che tiene dei passanti per mano, implorando per ricevere un po' di calore.
Ma se glielo danno, ha troppo caldo.



Quando afferro il cellulare dalla tasca per controllare l'orario, mi insulto mentalmente.
Ho cercato per ore di non guardare il telefono, perché non volevo sapere niente di Sami e delle sue inutili scuse. Ha fatto un qualcosa di meschino, che in sé non è una novità, ma l'averlo fatto oggi mi crea problemi.
Lo perdono per avermi mentito, per avermi trattato come una scimmietta da circo davanti ai suoi amici di plastica, ma c'è poco da fare: più vado avanti a conoscere Sami, meno riesco a fidarmi di lui. E' affidabile solo per quel che riguarda se stesso, e se fai parte dei suoi piani bene. Altrimenti, tieniti forte perché non sai dove finirai.
Nel mio caso, sono di nuovo in stazione, che ora studio con aria maniacale. Mancano tredici minuti al mio treno, e se metà del mio cervello vuole che il desolato principe azzurro si materializzi sul suo sfarzoso cavallo bianco, l'altra muore dal mandare all'aria l'unica parte che sembra aver senso della mia vita. Quando butti via qualsiasi stabilità è quando inizi a giocare e a ricostruire. Ricostruirti, da zero.
Riguardo le otto chiamate perse di Sami, i suoi venti messaggi minatori.
E poi, come una margherita in un campo deserto, spunta una nuova notifica.

Giuditta
"Hey, scusa il ritardo, mi si era rotto il telefono!
Comunque bene, succedono un sacco di cose ogni giorno qui.
Sono un po' persa nel mio, ma per ora tutto bene."
11:27

Rileggo il messaggio innumerevoli volte, come per ricalcarlo nella mia mente fino a renderlo indelebile.
Giuditta è un orologio svizzero.

Giuditta
"Tu come stai?"
11:28

Mi guardo attorno, è tutto più luminoso.
Rimetto il telefono in tasca, emozionato come un bambino che scopre che andrà a Disneyland.
Salto sulla carrozza del treno e mi siedo, immergendomi nella carovana di pensieri dai colori caldi che si sta riversando tra le pieghe del mio cervello.


Sondaggio del 31 Maggio 2019, 12:20 PM

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top