Capitolo IX

Ho sempre guardato thriller, ma ora come ora non riesco a pensare a nulla di funzionale per tirare me e mia madre fuori da questa situazione non proprio idilliaca.

Sono in piedi, lei è dietro di me. A dieci metri, l'auto di papà, con cui ho preso in pieno un albero.

Osservo la macchina fumante, sento i singhiozzi irregolari di Morena e annuso l'odore sinistro della persona che, inerme, è spiattellata sulla strada come una mosca su un parabrezza.

Penso che se mi avvicinassi alla pozza di sangue avrei l'istinto di spostare il corpo e quindi contaminarlo, ma so anche che, nella maggioranza degli scenari possibili, quel cadavere deve essere distrutto.

Il che non è soltanto traumatico, ma una condanna a morte per mia madre. L'ansia di venire beccata, il non permettere che finisca nei casini solo io, il coprirmi ed essere la martire della famiglia Lampo... in fondo, però, che vogliamo fare? Chiamare la polizia è da escludere.

Omicidio colposo, stasera prima di tornare a casa ho bevuto pure due birre con Sami, e sono ancora neopatentato. La scenetta diverrebbe ancora più incasinata, dove mia madre reciterebbe il ruolo della vittima di violenze domestiche e mio padre quello del mostro alcolizzato. Io, l'eroico giovane disposto a tutto per cambiare le cose, ma che purtroppo si mette alla guida sotto shock e investe in toto un passante.

Ci sarebbero i vicini che hanno sentito le urla, che hanno visto papà uscire di casa dopo di me e mia mamma ricoperto di sangue.

Ma cosa succederebbe? Mio padre in prigione, palese; io pure, molto probabilmente. Mia madre si ammazzerebbe senza né me né lui. Non posso chiamare la polizia, quindi.

Che poi, cosa ci faceva questa persona in mezzo alla strada alle quattro di mattina?

Le dinamiche desertiche delle strade di Cordello sono un mio punto a favore, per una volta. Non passeranno macchine ancora per un po'.

Sento un tonfo, che mi risveglia dai miei pensieri.

Mia madre è svenuta.

Non mi giro neanche a controllare; è palese che, più dell'incidente, è la caduta del suo castello di carte ad aver causato la sua caduta letterale.

Come un robot arrugginito, faccio veramente fatica a sbloccarmi per cominciare ad agire.

Sto soffrendo di questa improvvisa sindrome della pagina bianca, dove ciò che faranno le mie mani nei prossimi minuti avrà un impatto profondo sul mio futuro, e su quello della mia famiglia. I poveri coniugi Lampo, in crisi profonda, e il povero, poverissimo figlio unico, destinato a vivere con del sangue indelebile sulle mani. Sangue non suo, tra l'altro, sangue che avrebbe potuto non essere versato, ma che una serie di sfortunati eventi ha reso sacrificabile senza troppo temporeggiamento.

Mi avvicino alla macchina a passo rapido, pensando di poter nascondere tutte le tracce possibili che possano ricondurre me o Morena all'incidente. Non sarà per niente facile, ma forse è necessario.

Non possiamo neanche scappare, e i colleghi di mio padre si accorgeranno che lui si presenterà a lavoro senza macchina. E la polizia la ritroverà qui, distrutta, con una pozza di sangue di fianco con tanto di cadavere in decomposizione allegato.

Apro le portiere davanti, controllo in diversi posti se ci sono oggetti che potrebbero tornarmi utili. La puzza di benzina mi inonda le narici come un mare in piena, ma ho così tanto dolore da gestire che a malapena me ne preoccupo.

Come potevo immaginare, l'auto non riserva niente di utile per il sottoscritto. La dea bendata non è soltanto non vedente al momento, è proprio girata di spalle.

Nel panico, mi avvicino al corpo, facendo attenzione a non sporcarmi le scarpe di sangue.

Nel momento in cui il mio sguardo analizza il corpo, mi rendo conto che nei miei incubi apparirà per sempre quel viso; il viso di un uomo spento, con sei peli lunghi e bianchi in testa. Con un barbone selvaggio, un abbigliamento trasandato e due occhiaie che sembrano indicare una depravazione di sonno profondissima.

A Cordello, così come in ogni paesino di provincia fine a se stesso, c'è anche la fortuna di conoscere qualsiasi cittadino... almeno dopo un po' di tempo che ci si abita.

In questo caso, non ho un nome per il mio nuovo incubo vivente, ma solo ricordi.

È il senzatetto che si appostava fuori dalla macelleria per fare elemosina. Ci sono varie leggende metropolitane al riguardo: c'è chi dice che se la faceva con la prima moglie del papà di Sami ed è stato vittima del giro Cucchi, che gli ha fatto perdere famiglia, casa e lavoro.

Altre storie raccontano di come lui ha sempre girovagato per la città dopo aver lasciato il liceo per spacciare. Per le dicerie di qualcuno, invece, è anche finito dentro per un paio di anni e non è più riuscito a trovare un impiego una volta fuori.

Certamente non parliamo di un chirurgo, una donna incinta o un insegnante di sostegno: forse sfodero questo improvviso cinismo per perdonare il mio delitto inconsapevole, ma le immagini di lui ubriaco alle cinque di mattina per le vie del mio quartiere rimangono fisse in testa.

Una ragazza, a una festa, mi disse che i senzatetto sono incredibilmente forti perché non hanno più nulla da perdere. D'ora in poi mi chiederò se è davvero così.

Gli avevo offerto un drum, qualche anno fa. Non era neanche rimasto lì a parlare, manco mi ringraziò per la mia gentilezza, se devo essere brutalmente sincero. Di sicuro non lo rende in automatico una persona cattiva o non degna di esistere, ma permette un mio quasi totale distacco dalla sua presenza.

Cerco, almeno nella mia mente, di trasformarlo in un manichino sporco di tempera rossa. Mi sono arreso all'idea che dovrò spostarlo dalla strada.

O lui, o la macchina.

O la persona, o la cosa.

Io e mia madre non abbiamo la forza di spostare la seconda, quindi è necessario, ahimè, rischiare di camuffare l'esistenza del primo.

Vorrei davvero chiamare qualcuno. Ma so che, nel caso in cui finissi comunque nei casini, la chiamata alle quattro di mattina sul confine di Cordello potrebbe veramente confermare che sono io il colpevole.

Prendo fiato.

Non posso solamente dire la verità alla polizia? Andrei nei casini, ma c'è anche un sacco di nebbia. Il mio errore di guida è comprensibile.

Magari il senzatetto ha un fratello ricco avvocato. Uno di quelli bravi. O magari no, è davvero senza nessuno al mondo.

E, in quel caso, nessuno però si accorgerebbe che è scomparso.

Mi riavvicino all'auto e apro il baule. Ci sono tantissime bottiglie vuote.

E, mentre distolgo lo sguardo, mi accorgo di una fiaschetta in vetro di vodka sottomarca. Si nasconde tra gli altri alcolici, come per non voler essere usata.

La afferro, percependo fin da subito quanto cazzo sia appiccicosa.

Penso a come mettere il cadavere nella giusta posizione senza contaminarlo. Alla fine, potrebbe veramente essere un senzatetto che ha rubato la vettura a me e mia madre ed è capitato addosso a un albero. Che, anatomicamente mezzo rotto, si è messo a strisciare fino alla strada, dove ha tirato l'ultimo respiro.

Spostarlo significa inquinarlo del mio DNA, ma nel mio scenario potrebbe benissimo avermi menato per rubarmi l'auto, quindi...

Ho un mazzo di carte da poker in testa, e ogni mano che mi esce sembra fare pena.

Mi accorgo che manca un quarto alle cinque.

Devo definire la mia casa delle bambole, dove tutto è messo nell'ordine che voglio io, o distruggere ogni prova, compresi macchina e cadavere, ed essere per la prima volta una trasposizione difettosa di Carrie, lo sguardo di Satana.

C'è un margine di rischio enorme in entrambe le opzioni, ma devo scegliere cosa fare.

Ho fretta, devo sbrigarmi prima che arrivi qualcuno che scelga per me.

Sondaggio: 1 Ottobre, 12:52 AM

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