Capitolo II

Apro gli occhi gradualmente, ricoperto da centinaia di coperte e vestito ancora come ieri sera.

Se il rumore della pioggia viene ovattato dalla finestra, non posso dire lo stesso per il cellulare, che vibra da ore. Mi slancio con il busto verso il comodino per afferrarlo.

Sami mi ha chiamato tre volte.

Ancora stordito e stanco, ignoro completamente tutte le sue telefonate, concentrandomi soltanto sull'ultimo messaggio che mi ha inviato. Sforzare gli occhi ora come ora mi uccide, ma si tratta di Sami, non posso evitarlo.


"Mi stai ignorando"

Sami, 15:14


Sbuffo, prima di ributtarmi all'indietro e coprirmi la testa con un cuscino.

Sapeva della festa, sapeva che sarei tornato tardi. Eppure è qui, a lamentarsi di me, con me. Sarebbe potuto venire anche lui alla festa di Giuditta se gli fosse davvero così importato parlarmi anche di mattina.


"Mi sono appena svegliato"

15:23


Ora continua a entrare e uscire da Whatsapp per sembrare impegnato a scrivere ad altre persone.

Come pensavo, cede in qualche minuto.


"Avevi detto che avremmo fatto colazione insieme"

Sami, 15:25


"Sono tornato a casa alle sette. Sono crollato poco dopo... ci vediamo stasera, se vuoi"

15:26


Mi alzo dal letto, a fatica.

Mi sento un po' stralunato, ma per il resto non è esattamente la peggior post-sbronza della mia vita.


"Christian, tu vuoi vedermi?"

Sami, 15:29


Alzo lo sguardo al soffitto, prima di concentrarmi sulla pioggia fuori dalla mia finestra. Sospiro.


"Passo a prenderti alle otto"

15:31


Qualche mese fa era facile. Non gli dovevo niente: si usciva, si parlava... c'erano molte cose da dire. Sono bastate un paio di settimane per rendere Sami un po' più indigente a livello emotivo. Ha bisogno di costante attenzione, o pensa ci sia qualcosa che non va.

Lo perdono perché è stressato: le sue scelte universitarie principali l'hanno rifiutato e ha giusto un test d'ingresso in Economia tra qualche giorno. Nel caso non passasse neanche quello, sicuramente comincerebbe a sentirsi un fallito.

Sia chiaro che Sami Martinez-Cucchi non è ciò che definirei uno studente modello. Madre argentina, padre italiano, è sempre stato molto più concentrato sul lato sociale del liceo che sui libri da studiare. E' stato eletto per quattro volte su sei come rappresentante d'Istituto, perfino l'anno in cui non si è quasi mai presentato a scuola ed è stato bocciato.

Non ha voti eccezionali, né prospettive lavorative chissà quanto ambiziose. Quello che lo rende un partito appetibile è sempre stata la sicurezza che irradia, sia da un punto di vista personale che economico. Si pone in un modo molto diretto e sicuro: è un attivista per i diritti sociali, è colto, adora la vita ed è nato in una delle famiglie storiche di Cordello. Perciò, ha già un futuro preparato apposta per lui, nel caso l'università andasse male.

I Cucchi sono i macellai del paese da generazioni ormai, di conseguenza Sami non è soltanto pieno di soldi, ma potrebbe finire a lavorare in macelleria insieme al fratello maggiore Luigi, figlio del primo matrimonio del padre.

Detto con franchezza, non riesco a immaginarmi Sami chiuso lì dentro e sono sicuro che nemmeno lui muore dalla voglia di rispettare la tradizione di famiglia.

E' un ragazzo molto magro ed è particolarmente impressionabile. Lo scorso Halloween, quando ancora non stavamo insieme, ha vomitato addosso a una ragazza vestita da zombie perché le parti in latex del trucco lo disgustavano troppo.

Sami che sclera dopo due giorni nella macelleria del padre sarebbe sicuramente una pitch interessante per una sitcom di serie B, ma nella realtà non farebbe altro che distruggere il retaggio dei Cucchi.

Provo a riaddormentarmi per qualche ora, ma il pensiero del bacio con Giuditta mi lascia un senso di angoscia che non va proprio a braccetto col tipo di persona che sono. O almeno, che cerco di essere.

Non sono mai riuscito a comprendere perché mai omettere la verità dovrebbe essere diverso dal mentire. Ora sono protagonista di una situazione in cui sono obbligato a non parlare, e penso di aver capito la differenza.

Non penso di dover confessare a Sami quello che è successo, anche perché comporterebbe ulteriore stress per un qualcosa che è nato e morto davanti al cimitero del paese da due ragazzi fatti e stralunati. Ormai Giuditta sarà già sull'aereo, è ufficialmente riuscita a scappare. Che senso avrebbe allungare la stranezza di quel momento e pagarne le conseguenze quando lei avrà già deciso al posto mio che quel bacio non significava niente?


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Mentre salgo sulla Peugeot di mio padre, mi accorgo di quanti mozziconi di sigarette sono sparsi in giro per la vettura. Cerco di raccogliere alcuni di quei piccoli pezzi giallognoli a mano, ma più ne prendo, più sembrano aumentare.

Quando noto un lungo capello rosso incastrato nel sedile posteriore sinistro, mi fermo un attimo. Nella mia testa parte una ruota della fortuna con i nomi e le facce di tutti i suoi colleghi, e nessuno rispetta l'identikit.

Decido di non fare troppe domande: Sami mi aspetta, e probabilmente mio padre ha dato un passaggio a qualche sconosciuta. Mi interesserebbe sapere come mai quel lungo filamento rosso non sia nel posto davanti, ma non penso sia il caso di chiedere.

E' già tanto che abbia lasciato la macchina a casa oggi. Capita poche volte che vada a lavoro a piedi, soprattutto ora che il vicinato sta tirando fuori dall'armadio pellicce e giacconi autunnali vari.

La radio funziona meglio del solito, e comincio a insospettirmi sul perché stasera la vita sembra volermi viziare.

Arrivo davanti a casa di Sami in pochi minuti.

Lui è lì, bellissimo. Si guarda attorno come se non sapesse che sono arrivato, giusto per farsi ammirare.

Sta finendo la sua Marlboro gold appoggiato al muretto in mattoni davanti al giardino della sua villetta. Indossa la mia felpa XXL verde smeraldo e dei jeans scuri, e ha questa smorfia in viso che mi ricorda un carlino.

Suono il clacson per trenta secondi, e con la faccia più sorpresa che uno come Sami possa assumere, mi saluta con un bel dito medio. Scoppia a ridere mentre si avvicina, alzando lo sguardo al cielo pavoneggiando involontariamente la definizione del suo pomo d'Adamo.

Apre la portiera e mi bacia, prima di sedersi di fianco e mettersi immediatamente la cintura.

Mi rollo una stizza mentre gli chiedo dove andare.

"Hai cenato?"

"No."

"Sushi?" propone, speranzoso.

Interrompo il mio rollare per guardarlo, supplicante: "Non p-"

"Offro io."

Sospiro, senza smettere di guardarlo.

"Vedilo come un modo per pagarti la benzina."

Il mio problema con Sami non è mai stato farmi offrire le cose proprio perché non avendo la patente lo porto sempre ovunque senza che mi debba pagare niente. Ma, seguendo questo ragionamento, sono sempre e comunque più costoso io di lui.

E' molto bravo a convincere le persone. Dimostrando molta sicurezza, riesce a trasmetterla anche agli altri. E, nel mio caso, ci si ritrova al buffet del ristorante asiatico sul confine di Cordello.

Non ho mai capito perché sia sempre così poco luminoso: a malapena riesco a vedere cosa sto mettendo nel piatto, e le luci violacee sicuramente non aiutano a capire se i rotoli che sto prendendo sono al salmone o al tonno.

Inoltre, mi trovo un po' disorientato anche perché i rimasugli mentali della litigata che ho avuto oggi pomeriggio con Sami continuano a ronzarmi nella testa come un'orda di mosche, e l'idea di nascondergli del bacio con Giuditta non mi fa stare molto bene, per quanto mi stia autoconvincendo che non è stato qualcosa di importante.

Dovevo staccarla dalle mie labbra, mi dico, o almeno non corrispondere. Sami può essere una piattola a volte, ma non si merita che non gli dica niente.

Il problema è che più aspetto, più questo fatto si intensifica. E' un palloncino che si gonfia, e ho paura mi possa scoppiare in faccia se aspetto troppo a lasciarlo andare.

"Come sta andando con i test?" chiedo a Sami, come per sovrastare le voci nella mia testa.

Ci siamo seduti a un tavolo vicino alla finestra, così quella poca luce naturale da fuori riesce a far sembrare il ristorante qualcosa di diverso da una darkroom.

Mentre si infila in bocca un intero involtino primavera, annuisce: "le ultime simulazioni che ho fatto oggi pomeriggio le ho passate, quindi teoricamente bene."

Non mi guarda negli occhi, come se volesse evitare il mio giudizio.

"Tu? Trovato niente?"

Le persone che in una conversazione mi passano la palla in questo modo sono sempre e comunque quelle che non vogliono parlare di qualcosa che li preoccupa.

"No."

Sami annuisce, tirandomi uno sguardo gelido. Ha delle lentiggini che mi fanno impazzire, spero rimangano anche in autunno e inverno.

"Posso chiedere ai miei se vuoi... cioè, se passo il test."

Annuisco a mia volta, ma le pause di silenzio tra i nostri interventi stanno prendendo il sopravvento.

Sento come se avessi due corvi sulle spalle.

"Scusami per oggi" gli dico: "Ero troppo stanco per venire a fare colazione, non è che non volevo vederti."

"Oh, no, no, figurati. Scusami tu se l'ho messa subito sul personale."

Abbassa la testa, tirandosi su le maniche della mia felpa: "Però ho una proposta da farti."

Inarco il sopracciglio, senza smettere di giocare con le bacchette.

"Domani. Zaricci, io e te."

"... non hai mica l'esame tra tre giorni?"

"Tra due, Christian. Ma torneremmo la sera, quindi avrei tutta la notte per ripassare."

"Ma non possiamo andare dopo il tuo test?"

Lui nega, ridendo. E' fuori di testa.

Zaricci è la mia metropoli, sono due ore e venti di treno da Cordello ed è uno di quei posti che sogno da quando ho otto anni. Ci sono andato in gita un paio di volte alle medie e superiori, ma non l'ho mai potuta scoprire per i fatti miei, o almeno evitando di visitare chiese e cattedrali varie. Sami me l'ha proposta spesso in questi mesi, ma con l'Esame di Stato e altri impegni vari da parte di entrambi non siamo mai riusciti ad avere il nostro momento di escapismo estivo nella capitale.

Zaricci è considerata la Londra italiana. Ha una rete di musei ed eventi molto ampia, una vita notturna e studentesca impressionante, una miniera di opportunità lavorative e, ovviamente, è un posto in cui non potrei permettermi di vivere neanche se vendessi tre quarti dei miei organi al mercato nero. Sami pure avrebbe dovuto fare da pendolare nel caso fosse stato ammesso nell'università privata della città. In particolare, è risaputo che Marketing sia un corso molto competitivo, quindi la lettera di rifiuto non è stata una sorpresa per nessuno.

So che se ne andrà da Cordello, prima o poi. Glielo si legge negli occhi quando una persona si sente incastrata in un posto, e non ci vuole un sesto senso o abilità paranormali per capire che Sami è un ragazzo che partirà per altri lidi da un momento all'altro, senza preavviso.

E' nella sua natura, non è statico. Penso sia il lato del suo carattere che apprezzo di più: mi fa sentire meno morto perché è sempre pieno di idee e progetti di cui mi rende partecipe.

"Sami, non lo so. Devo chiedere ai miei."

Lui sbuffa, appoggiando le bacchette al tavolo.

"Dai, digli che hai un colloquio di lavoro. O che vai a mandare curriculum in giro."

Lo guardo con tenerezza, negando con la testa. Non sarebbe una cattiva idea, ma sicuramente una bugia, quindi mi sto già mettendo in testa che stanotte la passerò a cercare posti in Zaricci dove lasciare il mio CV.

Non amo mentire, e lo sto già facendo. Eviterei di giocare con il karma.

Sondaggio: 7 Maggio 2019, 12:00 PM

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