Capitolo 3


Lisbona, novembre 1740

Il volto rubicondo del Re era teso in una smorfia rabbiosa mentre gettava la lettera sulla sua scrivania in noce dagli eleganti intarsi e puntellata di pagliuzze d'oro.

"Cattive notizie?" chiese la regina avvicinandosi alla lettera.

"Solo, cattive notizie" borbottò indicando il foglio con lo sguardo, "a quanto pare il nostro esercito continua a fallire. Le Province del Nord in India sono ancora sotto attacco dell'esercito Maratha. A quanto pare non è bastata la sconfitta navale del 1738 contro l'ammiraglio Angria e neanche quella del febbraio 1739. Direi che il loro Peshwa Bajirao, ha realmente intenzione di portarci via tutta la Colonia."

"Dovreste placare la vostra collera, Giovanni, rischiate qualche malanno."

"Vi rendete conto di quale immane tragedia sia perdere il nostro dominio in India?"

"Suvvia, troverete certamente un modo per recuperare la situazione", lo rabbonì con un sorriso, "abbiamo visto cose peggiori in Brasile, oppure avete già dimenticato?"

L'uomo aggrottò maggiormente la fronte mostrando un'espressione buffa e minacciosa al tempo stesso. "Sono infastidito, Anna" ammise sedendosi sulla sua ampia sedia dallo schienale alto, "voglio che il nostro Regno venga ricordato per le conquiste, non per le perdite."

"Quel che è certo, è che voi verrete ricordato per essere un gran brontolone" sorrise, prendendo posto dinanzi a lui.

Giovanni accennò un sorriso prima di chiedere: "Cosa dovrei fare, lasciare che si prendano tutto e non batter ciglio?"

"La guerra pone vincoli e sconfitte, mio caro, dunque, se siamo troppo deboli per resistere prendiamone atto e mandiamo un Diplomatico che sappia trattare con loro. Di sicuro, a muovere i loro passi sarà stato il desiderio di indipendenza, ma quel che conta è sapere a cos'altro ambiscono."

L'uomo sospirò prima di massaggiarsi il doppio mento e guardarla con ammirazione, quella la riservava solo alla sua regina.

"Come sempre, avete ragione."

"Lo so, difficilmente sbaglio anzi, non sbaglio mai."

Sorrisero entrambi.

Era vero, nel lontano Oriente vi erano uomini che stavano combattendo una guerra per il loro Regno, ma i coniugi reali erano troppo lontani per percepirne il tormento.

"L'altra lettera, invece, chi la manda?" domandò la donna, indicando il vassoio in argento con una missiva ancora sigillata.

L'uomo si sporse sulla scrivania per afferrarla e notare lo stemma.

"Asburgo", disse ruotandola di poco, "direi che è per voi."

"Chi scrive?"

"Lo ignoro."

La donna osservò il blasone e la grafia elegante e non ne riconobbe il tratto così, celere, ruppe il sigillo e cominciò a leggere:

Illustre Regina consorte del Portogallo,
mi duole scrivervi per un sì fatto triste evento, ma l'Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo VI ci ha lasciati, lo scorso 20 ottobre, con un enorme vuoto difficile da colmare.
Tanto vi dovevo
M.T. D'Asburgo

La regina sollevò lo sguardo sul volto del marito prima di emettere un lungo sospiro.

"Cattive notizie?" le chiese serio, aveva notato che gli occhi le si erano scuriti.

"Mio fratello, l'Imperatore, è morto."

"Quando? Come?"

"Non lo dice."

"Come vi sentite?" chiese, guardandola con apprensione.

"Non sono distrutta dal dolore, se è questo, quello che temete", ammise candidamente, "certo mi duole sapere che se ne sia andato, ma i nostri rapporti erano così freddi, che piangerlo sarebbe come fargli un torto."

L'uomo annuì per nulla sorpreso. La lontananza era capace di rendere più fievoli alcuni sentimenti.

"Chi vi ha scritto?"

"Mia nipote", rispose dopo aver ricontrollato la firma, "o forse, sarebbe più corretto per me dire: l'Arciduchessa."

"Noto del sarcasmo o sbaglio?"

"Non prendetevi gioco di me, Giovanni. Sapete bene quanto abbia detestato la scelta di Carlo di abrogare il volere di nostro padre."

"Egli ha pensato alle sue figlie, come biasimarlo?"

"Suvvia..."

La porta dello studio si aprì piano, catturando la loro attenzione e facendo apparire dallo spiraglio il volto della loro piccola nipote. Gli occhietti vispi si appuntarono sulla coppia rigidamente seduta e, non appena notarono i loro volti seri, ella fu colta da un senso di apprensione.

Con il cuore in gola rimase ferma ad aspettare. Non aveva dato il tempo all'usciere di annunciarla e si era dimenticata di bussare. In quel momento temeva di ricevere una sonora ramanzina reale.

"Entra pure, Maria Francesca" l'autorizzò il nonno ammorbidendo i lineamenti del volto con un sorriso.

"Perdonatemi" si mortificò avanzando a piccoli passi con il volto rivolto al pavimento, mentre alle sue spalle il valletto richiudeva la porta.

"La fretta non è adatta a una Principessa" l'ammonì la nonna.

"Ne sono consapevole, Vostra Grazia" precisò mordendosi l'interno del labbro in modo contrito.

La nonna trattenne a stento un sorriso, ma non cedette all'ilarità della scena, perché vi erano fattori di notevole importanza che non potevano attendere.

La vita era troppo labile e, il tempo loro concesso, non era eterno.

"È di notevole importanza che tu sappia esattamente qual è il tuo ruolo nel mondo" seguitò seria.

"Maria Anna..." intervenne il Re, ma la donna lo fulminò con uno sguardo talmente intenso, che lo fece tremare al posto della bambina e, comprese, che quello era il momento di tacere.

"Guardami" le intimò autorevole.

La bambina sollevò i suoi occhioni scuri velati di lacrime, ma si trattenne dal liberarle e la nonna fu intimamente orgogliosa per quello.

"Tu sei la principessa di Beira, sai questo cosa significa?"

La piccola sospirò un no con voce roca e attese.

"Significa che se i tuoi genitori non avranno un figlio maschio, alla morte di tuo padre, tu diventerai Regina. La prima Regina regnante nella storia del nostro Regno. Capisci, l'importanza della tua persona?"

"Sì, Vostra Grazia."

La nonna avrebbe voluto ammorbidire il tono, ma quelle poche parole scritte dall'Arciduchessa, le risuonavano nella mente come un monito.

"Ho appena ricevuto una lettera da mia nipote" iniziò, indicandole con il braccio la poltroncina al suo fianco.

Maria Francesca prese posto con le manine strette in grembo e attese che continuasse.

"Mia nipote è Maria Teresa D'Asburgo, figlia dell'Imperatore Carlo VI e, dalla morte del padre, è diventata la prima Arciduchessa regnante d'Austria e Regina di Boemia."

La Regina si guardò le mani in modo pensieroso.

"Come ti dicevo, tu potresti diventare la prima Regina regnante del Portogallo e, credo, che sia arrivato il momento di istruirti nell'eventualità che questo accada."

La bambina annuì irrigidendo la mascella per non cedere al pianto.

"Ha ragione tua nonna" ingiunse il Re, come se fino a quel momento non avesse minimamente preso in considerazione l'idea. "Forse, abbiamo tutti peccato di superficialità in questo caso."

"Posso porvi una domanda?" chiese intimidita la principessa.

"Certo."

"Come è possibile che una donna salga sul trono come regnante e non consorte?"

La nonna sorrise prima di rispondere: "L'Imperatore Leopoldo I, mio padre, il 12 settembre del 1703 stilò in segreto il Pactum Mutuae Successionis, che modificava i termini di successione d'Austria, concedendo il trono anche alle eredi femmine. Secondo quella legge, il trono sarebbe spettato alla primogenita del fratello mio maggiore, Giuseppe. Ovviamente, Carlo, per preservare la propria figlia, nel 1713 promulgò la Prammatica Sanzione che abrogava quanto deciso da mio padre e, con questo suo nuovo ordinamento, ha garantito la successione alla figlia."

Maria Francesca annuì, avrebbe voluto chiedere se era per la stessa ragione che lei poteva ambire al trono del Portogallo, ma si vergognò della propria ignoranza e preferì tacere.

"Da domani ti assegneremo un nuovo Precettore che affiancherà l'attuale istitutrice, affinché ti insegni tutto quello che c'è da sapere sulla politica e sulla gestione di un Regno" aggiunse il Re, abbozzando un sorriso.

Non riusciva a sostenere quell'espressione triste nel volto della nipote per lungo tempo.

"Come desiderate, Vostra Grazia!"

La nonna aggiunse con tenerezza: "Non temere, vedrai che se fosse, tu sarai pronta."

La piccola annuì, prima di chiedere la possibilità di congedarsi. Non appena fu all'esterno dello studio e sola nel lungo corridoio, fece scivolare due sole lacrime dagli occhi mentre pregava, con tutto il cuore, che suo padre non morisse mai.


#Mio spazietto#
Pian pianino entriamo nella Storia :-D
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