Capitolo 11


Lisbona, giugno 1751

Gli occhi di lord Exeter erano puntati sul giardino sottostante dove le nobildonne passeggiavano, discorrendo delle loro faccende con eleganti gesti e timidi sorrisi.

La principessa era lì, ne scorgeva la lunga chioma corvina che si muoveva insieme all'abito con il soffio del vento.

Rideva. Sentiva il suono della sua risata cristallina risalire i muri e fondersi nell'aria per conquistarlo, come se davvero ce ne fosse bisogno.

La vide sollevare il volto nella sua direzione e, anche se a dividerli vi erano tre piani, gli sembrò di perdersi in quelle iridi scure. Gli fece un cenno del capo, quasi impercettibile e tornò ai suoi affari come se nulla fosse ed egli non esistesse.

Il cuore si incrinò a tale visibile freddezza. Era consapevole che avevano rischiato più volte di far scoprire il loro sentimento, ma quella precauzione lo relegava in un angolo, come un uomo qualunque a cui non era concesso niente.

"Lord Exeter!" una voce femminile e dalle note incerte lo distrasse da quel momentaneo smarrimento.

Si volse e con sorpresa scorse andargli incontro la figlia del conte di Veiles.

"Giuseppa, come mai non siete insieme alle signore?" domandò guardandosi intorno con evidente disagio.

Non apprezzava l'idea di stare da solo con una giovane che non fosse Maria Francesca, le malelingue erano sempre in agguato e pronte a rovinare la vita di chiunque.

"Il Sole", cinguettò facendosi aria con un piccolo ventaglio, "mi ha causato un mancamento."

"Sarà meglio che vi ritiriate nelle vostre stanze, allora" replicò senza la benché minima galanteria.

"Fuggite da me, lord Exeter?" domandò avanzando ancora.

"Non da voi, ma dalle vostre intenzioni", rispose secco, "vi conosco abbastanza bene da sapere i vostri proponimenti."

"Siete arrogante", ribatté indietreggiando offesa, "e presuntuoso, se pensate di conoscere i miei propositi."

"Dunque, potete confermarmi che non nutrite interesse alcuno per la mia persona?"

La giovane abbassò gli occhi azzurri fino a fissare i di lui stivali e, dopo alcuni attimi rispose, "No. Non posso."

Quello sguardo avvilito smosse l'austero riserbo dell'uomo che ammorbidì il tono, "Mi dispiace, Giuseppa, ma i miei sentimenti per voi sono gli stessi di quando eravamo bambini."

La fanciulla lo affiancò e guardò da quella stessa finestra per fissare da basso e vedere cosa quegl'occhi verdi stessero ammirando.

"Non potete averla", decretò dopo alcuni momenti di silenzio, "ella è troppo per voi..."

"Non capisco di cosa stiate parlando" la interruppe con un fremito a stento trattenuto.

Se anche una ragazzina di quattordici anni aveva notato i suoi sentimenti, quanto ci sarebbe voluto, prima che la verità giungesse alle orecchie del Re?

"È visibile il vostro sentimento, ma è vano e sbagliato", si volse a guardarlo da quella breve vicinanza e fu costretta a tirare indietro la testa per guardarlo negli occhi e seguitare, "io posso amarvi con tutta l'anima, essere vostra moglie e seguirvi ovunque desideriate andare."

Una risata amara deformò il bel volto dell'inglese, non di derisione per la giovane, ma di tristezza per la verità di quelle parole.

"Se anche fosse, accettereste un uomo innamorato di un'altra?"

"L'amore a volte non c'entra", rispose la ragazza lanciando uno sguardo alle di lui spalle, "a volte, bisogna fare solo quello che deve essere fatto."

Chiuse così il discorso e con una rapida riverenza si dileguò svanendo oltre l'angolo del corridoio.

Pochi istanti dopo, Exeter si sentì chiamare.

"Franklin!"

La voce era melodiosa, anche se venata di fastidio.

"Vostra Grazia!" salutò con un ossequioso inchino e si stupì nel vederla sola. "Dov'è mia sorella?"

"Poco più dietro, avevo bisogno di vedervi."

"Non bisogno, Vostra Grazia", la redarguì deglutendo, "dimenticate che io..."

"Vi prego, basta" lo interruppe posando una mano sul di lui petto.

Quel lieve contatto, anche attraverso il tessuto, riuscì a farli fremere entrambi e, d'istinto, Franklin la strinse tenendola ferma sul petto, mentre gli occhi fissavano quelli di lei in una muta e straziante preghiera.

"Cosa voleva Giuseppa?" domandò, avvicinandosi di un passo.

La voce ferma e lo sguardo attento.

"Ricordarmi quanto il mio sentimento per voi sia sbagliato" ammise per la prima volta con lei.

"Sentimento?" ripeté con un sorriso che, in vero, non avrebbe dovuto avere.

"Non lo avete notato?" domandò con voce bassa. "È talmente grande che stento a contenerlo."

"Non ho osato sperare tanto", sussurrò avvicinandosi a lui, "voi siete così... così... così inglese" terminò con un ampio sorriso.

"Ma è un sentimento sbagliato", ripeté lui con voce spezzata, "noi non potremo mai stare insieme e voi non sarete mai mia moglie."

"Non dite così", lo supplicò carezzandogli i capelli, "non posso pensare a questo."

Un sospiro affranto uscì dalle di lui labbra mentre poggiava la fronte su quella di lei, "Però è la verità, Francesca e la mia presenza sta solo peggiorando le cose."

"Non dite così" mormorò lei a fior di labbra, sapeva bene che aveva ragione, ma ascoltare quelle parole da lui rendeva tutto più difficile e definitivo.

"Francesca" fremé piano prima di scendere sulle sue labbra.

Le sfiorò piano percependo tutta la loro morbidezza. Era come tuffarsi su una nuvola di piume e quando ella le schiuse per permettere alla propria lingua libero accesso, provò un'emozione del tutto nuova e corroborante.

Le mani di Francesca s'intrecciarono sulla di lui nuca, si sentiva debole e la pressione di quel corpo muscoloso sul suo le toglieva il respiro. Avvertiva la necessità di aumentare il contatto e ansimò quando il giovane strinse la presa sui fianchi per attirarla a sé. Il dolce sapore del Porto divenne miele nella sua bocca, si avvinghiò maggiormente a lui e un altro gemito uscì dalle sue labbra e si unì a quello di lui quando percepirono il reciproco desiderio.

Con un notevole sforzo il giovane riuscì a fermarsi. "Aspettate, non possiamo" dichiarò con il fiato corto e il cuore in tumulto. Aveva giocato con il fuoco e adesso si sentiva ardere fin dentro le viscere, ma non poteva lasciare che quella fiamma bruciasse anche lei. Lui era un uomo e un lord, ma lei era una donna e una futura regina, una giovane e splendida donna che doveva ancora trovare un consorte e, quel marito, non sarebbe mai stato lui quindi, doveva lasciarla andare. E quello sarebbe stato il suo atto d'amore.

"Vi prego", lo supplicò lei con voce tremante, "non privatemi di questo."

Exeter indietreggiò tornando a una distanza di sicurezza e le prese le mani con un affetto che andava oltre ogni previsione.

"Vi prego", disse lui con dolcezza, "non rendetemi più difficile fare la cosa giusta."

"Non voglio rinunciare a voi", ammise la principessa, "rinuncerò al trono pur di avervi."

"Non potete", replicò stringendo ancor più la presa, "voi diventerete regina e sarete una grande sovrana. Perdonatemi" mormorò fuggendo da lei, con lunghe falcate e il cuore incrinato perché, mai come in quel momento, gli era chiaro cosa non avrebbe mai potuto avere: il vero amore.

Ferma, accanto alla finestra, la principessa tremava per le emozioni scatenate da quell'inatteso contatto e per quell'ammissione così sconvolgente che ora la stava distruggendo dentro.

Come avrebbe potuto ancora guardarlo negli occhi senza desiderare di essere nuovamente baciata?

*Tre giorni dopo*

La principessa se ne stava seduta in biblioteca, un libro posato in grembo e gli occhi persi sul filo di quelle righe. Era distratta, lo era da quel pomeriggio in cui si era ritrovata tra le braccia di Exeter e non riusciva più a pensare lucidamente.

Riusciva solo a pensare a quelle sensazioni avvolgenti che non aveva avuto più modo di replicare, in vero, da quel dì non lo aveva più visto.

Il cigolio dell'apertura di una delle alte porte catturò la sua attenzione facendola balzare in piedi, mentre il libro rovinava al suono con un rumore sordo.

Il cuore le salì in gola per l'aspettativa, ma ogni fremito evaporò quando riconobbe la propria dama.

"Margarethe, dove siete stata?"

La giovane abbassò lo sguardo con evidente disagio e questo allarmò la principessa che le corse incontro.

"Cosa non vuoi dirmi?" incalzò con voce stridula.

Odiava essere tenuta all'oscuro, lo detestava fortemente.

"Mi dispiace", asserì la dama con lo sguardo ancora basso, "mi ha obbligato a non dirvelo."

"A non dirmi cosa? Chi?"

"Se ne è andato."

"Chi, se ne andato?" chiese con un nodo in gola, la risposta le era chiara anche senza bisogno di sentirla.

"Mio fratello."

Il muscolo nel petto della principessa scricchiolò e le parve di sentire la crepa ivi presente ingigantirsi, "Dove?"

"È tornato a casa."

"Perché è scappato via senza nemmeno salutare?"

"È stato obbligato ad andarsene", spiegò Margarethe avvicinandosi alla finestra, "il re, vostro padre, lo ha costretto a partire."

"Per quale ragione?" incalzò afferrandole un braccio per costringerla a guardarla.

"Vi hanno visto?"

"Cosa?" mormorò piano, il dubbio che parlasse di quel bacio le creava una funesta pena.

"Lo sapete", replicò la dama continuando a guardare dalla finestra, "Sua Altezza è stato chiaro: non dovrà più mettere piede a Lisbona e deve assolutamente dimenticarvi."

"Potevate dirmelo", protestò la giovane con un groppo in gola, "almeno avrei potuto dirgli addio."

"Ho esaudito il desiderio di mio fratello. Non voleva vedervi. È doloroso per lui quanto lo è per voi questo distacco."

"Dunque", sospirò Maria Francesca, "cosa mi rimane da fare?"

"Vi resta di vivere."

Al suono di quelle parole, gli occhi di ossidiana della principessa si velarono di pianto, mentre lacrime silenziose e amare come il fiele le rigavano il viso. Era bastato un solo errore per venire scoperti e perdere tutto.

Dopo un tempo indefinito si asciugò le lacrime dal volto e le chiese: "Vi ha lasciato qualcosa per me?"

"Niente, Vostra Grazia. La sua unica aspirazione è quella di dimenticarvi" mentì magistralmente, mentre percepiva nella tasca dell'abito la lettera pulsare al ritmo del proprio cuore.

Amava il fratello e ancor più adorava la principessa, ma erano stati sciocchi e avventati decidendo di seguire quel irrealizzabile sentimento. Doveva essere grata al Re e al Signore Iddio, che le cose non fossero precipitate ulteriormente, in quel momento il suo compito era quello preservare il benessere di Maria Francesca ad ogni costo.

Era meglio che soffrisse per un suo malefico congedo, piuttosto che continuasse ad alimentare il suo cuore con quell'inapplicabile follia.

Per una giovane del suo rango non vi era spazio per l'amore, ma solo per la Ragion di Stato e prima lo intendeva e meglio sarebbe stato per tutti.

"Capisco" sospirò la principessa lasciandosi cadere su una poltrona di velluto, stremata da quella bieca tristezza che le aveva colmato l'anima, "per favore lasciami sola."

"Ma, Vostra Grazia..."

"Andatevene Margarethe, vedere il vostro viso ora mi crea solo dispiacere" la interruppe lanciandole uno sguardo serio.

La dama si allontanò senza proferir parola.

Quando finalmente si ritrovò sola, la principessa non poté fare altro che scoppiare nuovamente in lacrime, riversando sul tessuto dell'abito tutto il proprio struggimento. Soffriva, il suo animo piangeva di rimpianti perché si era lasciata andare nonostante sapesse quanto fosse sbagliato. Aveva agito d'istinto, quando sapeva bene che a una come lei non era concesso e in quel mentre, percepiva con estrema chiarezza che una parte di lei, quella felice, era salpata e ormai, era persa per sempre.


*Mio spazietto*
Spero non vi foste troppo affezionati a Franklin. 0_0  Cosa ne pensate di Margarethe?
Ve lo aspettavate?
A presto!

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