Il nuovo studio - Una storia nonsense

Sua madre gli aveva spesso ripetuto che la vita andava vista come un quadro di Signac. Se lo guardi da vicino, sembra solo un insieme confuso di pennellate di varie colori. Ma se lo guardi da lontano, l'intera scena assume un significato differente e acquisisce un senso.

E così aveva fatto anche in quella situazione. Peccato che, da qualunque distanza e angolazione la analizzasse, una sola osservazione si faceva strada nella sua mente.

Dove. Diavolo. Era. Finito.

Era iniziato tutto in modo normale – sempre che svegliarsi alla cinque del mattino in preda a un dolore lancinante alla mandibola possa essere definito "normale" – con una normale chiamata per fissare un appuntamento per il giorno seguente e una normale risposta di conferma. La segretaria aveva poi aggiunto del cambio di indirizzo dello studio, procedendo pochi minuti dopo nell'inviare il nuovo recapito, con allegate istruzioni per arrivarvi.

Aveva seguito le indicazioni e ora si trovava davanti all'entrata principale. Di un castello uscito direttamente da un romanzo di Lovecraft. Sorvegliato da due cosplayer di World of Warcraft. Dotati di due alabarde dall'aria decisamente realistica.

Dove. Diavolo. Era. Finito.

Anche suo cugino era un dentista. Poteva andare da lui. Ma no, tuo cugino è parente di tuo padre, e quel lato della famiglia è malvagio. Doveva smetterla di ascoltare sua madre.

Nel caso non ne fosse uscito vivo, un bel te l'avevo detto, mamma sulla lapide non gliel'avrebbe tolto nessuno.

Il sorriso involontario a quel pensiero lo riportò dolorosamente alla realtà, decidendo quindi di ripescare il ghiaccio istantaneo che aveva lasciato sul sedile e di avvicinarsi al portone.

Con un sospiro mal celato decise di rivolgersi all'individuo – Wrestler? Suddito di David Bowie? – di destra. Doveva ammettere che quei costumi erano decisamente ben fatti, se li avessero usati in un qualche film, i costumisti avrebbero certamente vinto qualche premio.

«Buongiorno, non vorrei disturbarla, ma avrei bisogno di una informazione...». Gli morirono le parole in bocca non appena lo sguardo del goblin – o forse era un orco? – gli si posò addosso. Quel tipo era decisamente alto. O un mago sui trampoli. In ogni caso, non si sentiva a suo agio mentre l'altro lo squadrava con due piccoli occhi giallognoli.

«Umano... Cosa vai cercando?». Gli rispose, con tono fin troppo serio e cavernoso. Non era orgoglioso al punto da negare di aver sentito un brivido. Dannazione, quel tipo riusciva a vendere la parte decisamente bene, qualsiasi cifra lo pagassero era guadagnata.

«Io... io starei cercando uno studio odontoiatrico. Ho telefonato ieri e mi hanno dato questo indirizzo, ma sono sicuro di aver sbagliato strada, arrivederci!». Cercò di defilarsela, non appena vide il bestione a sinistra avvicinarsi. Si rigirava l'arma fra le mani, come se pesasse quanto una piuma, ma da rumore della lama contro il vento, quello era decisamente metallo.

No. La sua carie non valeva quella situazione. Al diavolo sua madre, sarebbe corso da suo cugino col rischio di diventare sdentato. Almeno quello aveva uno studio in un normale centro medico.

«Lui vuole vedere il Dentista». Intervenne quello di sinistra, con uno strano ghigno sul volto. Posò la base dell'alabarda a terra, con un rumore secco. La curva della bocca si continuava ad alzare, a ogni segno di paura che gli stava provocando.

«Il Dentista...». Replicò l'altro, con un tono quasi solenne. Come se fosse un titolo altolocato.

Assistendo a quella interazione, prese un altro sospiro. Dopo aver indietreggiato di un paio di passi, tanto per avere un minimo di vantaggio nel caso avesse dovuto correre.

Ghiaccio premuto sulla guancia, foglietto fra l'indice e il medio, mentre l'altra mano cercava le chiavi della macchina in tasca. Sempre la stessa domanda che gli rimbombava nel cervello.

Dove. Diavolo. Era. Finito.

Un pensiero cupo gli balenò all'improvviso. E se il dottor Moschella si fosse unito a una di quelle sette segrete e inquietanti? Come i massoni, o i rettiliani... O peggio ancora, i tagliapietre?

No, il dottore era un uomo di scienza. E gli uomini di scienza non approvavano quelle cose.

«Esattamente, il "Dentista"». Decise di assecondarli per il momento. Non avevano ancora fatto niente che potesse sembrare lontanamente pericoloso – alabarde a parte –, ma questo non significava che non lo potessero diventare. Specialmente se si fossero sentiti presi in giro.

Fu mentre si preoccupava per la sua imminente salute, che decise di essere sotto qualche effetto secondario degli antidolorifici. Il tipo a sinistra, quello col ghigno, aveva sbadigliato. E quelli... quelli non erano denti umani.

Quella non era una maschera.

Dove. Diavolo. Era. Finito.

«Spero che qualcuno possa vere pietà della tua anima». Se non fosse stato terrorizzato dall'improvvisa comparsa dalla mano della creatura sulla sua spalla, avrebbe prestato meglio attenzione alle parole pronunciatogli.

Con il cuore in gola, guardò un ultima volta le due guardie, il foglietto con le indicazioni, e poi entrò nel portone che i due gli stavano aprendo. Anche una volta richiuso alle sue spalle, potè sentire le risatine dei due.

Perché gli stava venendo da piangere?

Forse era tutto un esperimento psicologico. Uno di quelli subdoli, che fanno per testare la resistenza di una persona. O forse era un sogno strano elaborato dal suo cervello in una vena creativa.

Peccato che il suo picco di creatività si fosse già manifestato al liceo, in un tema in cui aveva argomentato come fosse fisiologicamente impossibile che il motore a gatto-imburrato potesse funzionare.

Decisamente un esperimento psicologico.

Con questo pensiero poco rassicurante, si fece strada nel corridoio interno, il quale era stranamente normale. Familiare quasi.

Era la copia identica dell'entrata del vecchio studio del dentista. Stesse pareti bianche, stesso tappetino per pulirsi i piedi, stesso appendiabiti e persino stessa minuscola crepa in alto sulla parete di destra.

O il suo dentista era affetto da qualche tipo maniacale di OCD o quella era una strana coincidenza.

Avanzò fino alla porta dello studio. Una semplice lastra di legno con una targhetta laccata in ottone, recante la scritta "Dott. Moschella - Medico Specialista in Odontoiatria".

Abbassò la maniglia, sbirciando all'interno. Anche la sala di attesa era identica all'ultima volta in cui vi era stato.

Forse era stato tutto un equivoco. Forse il due tizi fuori erano dipendenti del vecchio proprietario dell'edificio. Forse in precedenza il posto ospitava qualche tipo di parco divertimenti. Doveva decisamente essere così.

Con una tranquillità e una sicurezza mancanti fino a un istante prima, entrò e si diresse verso il bancone della segretaria. Una donna sulla cinquantina, dotata di occhiali e che gli consigliava da sempre i migliori video divertenti di gattini contro neonati.

«Signora Giulia, sono contento di vederla!». Sussultò nuovamente. Forse doveva smetterla di muovere la mandibola troppo bruscamente. Gli antidolorifici e il ghiaccio non facevano miracoli, dopotutto. Solo strane allucinazioni, gli sussurrò il suo cervello traditore, che da quando aveva la voce di sua madre?

«Guarda chi c'è qui! Meno male, hai trovato lo studio. Stavo per mandare qualcuno a cercarti, magari ti eri perso nei dintorni». Ridacchiò la donna. «Ora però siediti, il dottore sarà da te fra pochi minuti. E dammi quel ghiaccio, che ormai è inutilizzabile». Le porse il sacchetto annuendo e si diresse verso le poltroncine al centro della piccola stanza.

Era tutto normale. Un sospiro. Ora l'unica cosa di cui si doveva preoccupare erano gli strumenti del dentista e i rimproveri per non aver usato il filo interdentale a sufficienza.

In fondo era solo dal dentista. Aveva tenuto l'apparecchio per anni: nulla lo spaventava più. Eccetto il doverlo rimettere per qualche motivo, ovviamente.

Come predetto, pochi minuti dopo Giulia lo fece accomodare nello studio vero e proprio, lasciandolo da solo ad accomodarsi sul lettino.

«Ecco il nostro paziente!». Riconobbe la voce gioviale del suo vecchio medico. «Chiedo scusa per il trambusto, ma ultimamente abbiamo avuto un incremento nell'attività e il vecchio studio non poteva più contenere tutti i nostri... pazienti». Aggiunse, sedendosi sullo sgabellino accanto a lui. Aveva già indosso la mascherina azzurra e i guanti. Il camice era stirato come sempre se non fosse stato per le macchie di sangue... Sangue? Lo fissò negli occhi, incorniciati da bonarie rughette.

«Oh... non badare a questi. Sono solo schizzi. Sai, i miei assistenti hanno ancora difficoltà a essere delicati mentre operano». Spiegò, ridacchiando. Tutti ridacchiavano quel giorno e la cosa stava iniziando a sembrare strana.

«Beh... magari hanno solo bisogno di fare più esperienza...?». Provò ad intervenire, anche se non sapeva realmente come continuare il discorso. Era igienico visitare un paziente con addosso il sangue di un altro?

«No, hanno sufficiente esperienza, credimi. Solo che... è come se la delicatezza fosse qualcosa a loro sconosciuto...». Gli confessò, non spiegando di fatto nulla.

«Meno male allora che io sono in cura da lei». Questa volta era il suo turno di ridacchiare. Pentendosene nell'istante successivo, ovviamente. Dannata la sua passione per i dolci.

«Oh no, caro. Tu sei uno di quelli che pagano. Non c'è bisogno di nessun trattamento speciale per te». Il brivido che gli scivolò lungo la schiena era decisamente giustificato. Uno di quelli che pagano?

«Trattamento speciale?». Non si era accorto di averlo detto a voce alta, maledizione.

«Sì, diciamo che mi sono trovato nuovi colleghi». No, non ne voleva decisamente sapere niente. Voleva solo finirla e tornare a casa. Perché continuava ad ascoltare sua madre? Doveva andare da suo cugino. Decisamente.

«Sai caro, in realtà dovrei ringraziarti. O meglio, ringraziare tutti i miei pazienti e i pazienti dei dentisti in generale». Continuò il suo medico, guardando la porta da cui era entrato. «Diffondete leggende, alcune anche carine, sulla pericolosità dei dentisti. Su come siamo crudeli e facciamo soffrire... Date tutti per scontato che chi le sente le interpreti come scherzo». Avrebbe voluto aggiungere che la parte sulla sofferenza non era decisamente uno scherzo, ma lo sguardo maniacale dell'altro uomo lo fermò. «Quando mi hanno trovato non li capivo. Avevano scoperto che ero un dentista, e mi trattavano come un dio, una sorta di leggenda». Quella storia non gli stava piacendo affatto. Magari la setta a cui si era unito era solo quella dei pastafariani. I pastafariani erano innocui, no?

A giudicare dal tonfo pesante giunto dalla stanza accanto, forse stavano attraversando una fase alla Robespierre.

«Io non... Non ho mai... Giuro...». Cercò di difendersi, ma un po' l'assurdità della situazione, un po' la difficoltà a parlare senza l'effetto anestetico del ghiaccio... Qual era quel pensiero che gli rimbombava prima in testa? Ah.

Dove. Diavolo. Era. Finito.

A quel punto preferiva i goblin dell'ingresso. O orchi. O comunque scegliessero di identificarsi.

«Ma io vi voglio ringraziare in realtà». Lo stupì il medico, con tono gioviale. Forse era il tono la parte più inquietante della situazione. Era colloquiale, da chiacchierata precedente a tutte le altre visite. «Senza tutte quelle storie, ora non sarei chi sono. Il Dentista, senti come suona bene. Il capo di una delle più temute bande di orchi della zona». La cosa che lo stupì di più in quel momento fu che il suo primo pensiero fu Allora erano orchi! e solo in un secondo momento Aspetta, cosa?!

«Orchi?». Si azzardò a chiedere. Magari era veramente un qualche tipo di esperimento psicologico. Ora sarebbe spuntato fuori un secondo dottore chiedendogli di firmare una qualche liberatoria, mentre il suo dentista sarebbe scoppiato a ridere. E questo sarebbe accaduto da un momento all'altro.

Da un momento all'alt...

«Sì, lo so. Hanno uno strano senso dell'umorismo, al quale non ci sia abitua mai. E francamente pessimi nelle più basilari conversazioni. Ma dovresti vederli giocare a poker». Non ottenne alcuna risposta, se non un frenetico battuto di ciglia. «Oh, suvvia. Il mondo è un posto strano. Se ci lasciassimo bloccare dalle barriere del credo solo a quello che vedo, saremmo ancora qui a discutere sull'esistenza dei virus e sulla effettiva sfericità del globo». Al momento gli sembrò un ragionamento sensato. Ma solo perché non si era fermato a metabolizzare quanto accaduto. Quello lo avrebbe rimandato a casa, dove avrebbe chiamato suo cugino e cambiato in definitiva dentista.

«Io sospetto di avere una carie». Fu l'unica frase che riuscì a pronunciare. Meglio basarsi sulle priorità e uscire da lì il prima possibile.

Forse ora i suoi colleghi orchi gli avevano fatto dono la capacità di annusare la paura, o forse la sua espressione era fin troppo scioccata, tanto che ottenne finalmente una notizia rassicurante.

Rassicurante, considerata la situazione. Quindi relativamente.

«Come ho già detto, tu non devi preoccuparti. Sei uno dei miei clienti regolari. Faccio ancora l'odontoiatra. Non avrei mai potuto lasciare il mio lavoro, suvvia». La sua faccia si contrasse in quello che era un effettivo sorriso. Anche con la mascherina, si poteva notare dall'espressività dei suoi occhi.

«Grazie dottore». Sussurrò, sperando di evitarsi altre sorprese e di finire in fretta. In modo da andare a casa.

«Nessun problema». Un urlo strozzato dalla stanza accanto lo interruppe, dandogli l'occasione di girarsi per afferrare i suoi strumenti. «E ora, dimmi». Continuò, afferrando una pinza e un trapano. Gli occhi che si scurivano. «Ogni quanto usi il filo interdentale?».








Ciambella198 parla a vanvera (che sta contando gli spiccioli per capire se può assoldare il Dentista ed eliminare definitivamente la causa delle sue carie):

Esattamente quanto detto nel testo. Una storia senza senso, al limite dell'assurdo che mischia elementi fantasy con la vita di tutti giorni, ma... In un modo strano.

Scritta di getto una sera. Non ha pretese, nè ambizioni. Postata su un blog ormai morto.

Non una buona premessa, lo ammetto. Nella mia idea originale avrebbe dovuto far parte di un ciclo di storie che ruotavano attorno alle vicende di una sola famiglia, quella del dentista, ma poi il progetto è morto a causa della mia poca voglia e della mole di studio sempre più imponente.

La mia speranza è che vi abbia strappato un sorriso, anche lieve.

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