Capitolo 1
DANTE
"Crescevo. Cominciarono a interessarmi i libri. Nelle avventure di Buffalo Bill, nei viaggi di Salgari, il mio spirito si andò estendendo per le regioni del sogno. I primi amori, i piú puri, si dipanavano in lettere inviate a Blanca Wilson. Questa bambina era la figlia del fabbro e uno dei ragazzi, pazzo d'amore per lei, mi chiese di scrivergli le sue lettere d'amore. Non ricordo com'erano quelle lettere, ma forse furono le mie prime opere letterarie, perché, una volta che l'incontrai, la scolara mi chiese se ero io l'autore delle lettere che il suo innamorato le portava. Non osai rinnegare le mie opere e molto turbato le risposi di sí. Allora mi diede una mela cotogna che non ebbi naturalmente il coraggio di mangiare e conservai come un tesoro. Sostituito cosí il mio compagno nel cuore della bimba, continuai a scriverle interminabili lettere d'amore e a ricevere mele cotogne."
«Ispanico, insomma. Ormai ho perso il conto di quante volte ho visto quel libro fra le tue mani», ascoltai a malapena, «Il nostro soggiorno è appena iniziato e tu già ci ignori».
Inabissato tra le pagine di carta e inchiostro, in profonda apnea, tornai lentamente a galla.
La musica elettronica, seguita dal frastuono urbano, sopraggiunsero come un'onda, infrangendo la quiete della lettura. La voce familiare di Ken mi sottrasse dal tranquillo viaggio di carta e inchiostro, costringendomi a piombare nel caos presente.
Per un lettore era complesso restare ancorati alla realtà. In fondo svelava una dolce menzogna, l'immutabile.
La brezza serale, di fine estate, mi concesse una gentile carezza sulla pelle, portando con sé l'odore acre e salmastro di salsedine. Il porto non era distante. E in lontananza, oltre la coltre di molteplici palazzi storici e grattaceli moderni, si poteva scorgere la linea sottile tra mare e cielo.
Lo spiazzo che fungeva da rifugio fortuito, era situato al di sopra del night club: Milano. Luogo di ritrovo degli amanti della notte.
Alzai il capo, mettendo a fuoco lui e il suo compagno, Cupido. Quest'ultimo, intento a maneggiare il mio cellulare: «Thor e Bollywood non rispondono. Avranno anche loro il pienone al vecchio Bianco», borbottò fra sé, a denti stretti, «Sarà un miracolo se richiameranno. Da quando hanno aperto il loro ristorante sono indaffarati allo stremo».
Assorto in profonde elucubrazioni filosofiche, preferii concentrarmi sul loro aspetto, piuttosto che sulle parole. Sfoggiavano lo stesso outfit casual e dai toni chiari, sinonimo di leggerezza.
Un tempo anch'io prediligevo vestiti simili.
Agitai il libro davanti a loro per attirarne l'attenzione: «"Confesso che ho vissuto" – di Pablo Neruda – non è un testo qualsiasi, da leggere una sola volta nella vita. La prima pubblicazione risale al 1974, e sapete quando l'autore è morto?», questionai con interesse, tralasciando i commenti futili precedenti.
«Ehm... chi se ne frega?», rispose Nico, infastidito e concentrato nel digitare qualcosa sul mio nuovo I-Phone.
Il tono risultò quasi interrogativo, ma lo trascurai ancora una volta: «Nel 1973. Sorprendente coincidenza che siano le sue memorie».
Liam sgranò lo sguardo sotto la zazzera bionda e riccioluta: «Impressionante», si meravigliò. Malgrado i suoi ventitré anni, abbondava ancora di curiosità e innocenza.
«Ma lo leggi in italiano?», domandò Nico, rivolgendomi un'occhiata in tralice.
Scrollai le spalle fasciate dalla camicia nera: «Sì, qui lo parliamo poco e non voglio dimenticarlo».
«Davvero commovente e impressionante, ma c'è un locale da portare avanti se te ne fossi dimenticato. Il tuo», blaterò, chiamando il mio responsabile della sicurezza per accertarsi che fosse tutto in ordine. Una sgradevole abitudine che ripeteva ciclicamente ogni sera, quando Barcellona si animava di turisti.
Era la solita storia: entrambi venivano a trovarmi due volte l'anno, per uno o due mesi, e assumevano parte delle mie mansioni amministrative.
«Non è suo. Non ancora perlomeno», udii alle mie spalle come la peggiore delle pugnalate.
La vasta terrazza assunse un'atmosfera desolante e funebre in un battito di ciglia, raggelando i presenti. Svestì l'aspetto di rifugio e vestì quello di una tomba.
Mi obbligai ad affrontarla, voltando il capo di trequarti «Cara Jones, che piacere», salutai monocorde.
La donna di quarant'anni, accompagnata dalla sua guardia del corpo, bloccava l'unica entrata – e uscita – con la propria presenza. Ammantata di bianco e oro, sembrava un angelo biondo. Paradossale che fosse cinica e crudele quanto il diavolo.
«Non sembra che lo sia», disse con finta innocenza.
«Infatti non lo è», costatai con un sorriso freddo, «Dopo questa tua entrata d'effetto sarò costretto a licenziare il buttafuori», annotai sarcastico.
«Mi sa proprio che è il caso di dileguarci...», udimmo il bisbiglio di Liam al proprio compagno.
«Restate pure ragazzi, non ci sono affari che non possiate ascoltare», si intromise Cara, continuando a fissarmi.
«"Affari" è un nuovo sinonimo per "tortura"?», celiai sprezzante e con smorfia forzata, «Non credere di poterti servire di me un'altra volta. Tra sei mesi avrò saldato il debito che ho con te da tre anni e non ti dovrò più niente».
Ricambiò il disprezzo reciproco con la faccia tumefatta dall'irritazione: «Non essere ridicolo. Sai bene che il debito di tre anni fa è solo l'ultimo di una lunga serie. Devo ripeterti cosa ho fatto per te dieci anni fa?».
«Che cosa vuoi da me, Cara?», le rivolsi uno sguardo gelido e ostile.
«Notizie inaspettate. Magari ho delle novità che ti interessano», sibilò come una serpe.
«Quasi ti credevo», la beffeggiai.
«Non sei per nulla curioso?», mi esortò a chiederle, tentandomi con la sua conoscenza.
«Qualsiasi cosa tu abbia da dire, non mi interessa», rimarcai lapidario, impietrendo i nostri giovani spettatori.
E, aldilà di tutte le aspettative, la vidi accingersi all'uscita: «Pazienza, vorrà dire che sarà interessante vedere come andrà a finire questa storia. Chiamami quando lo scoprirai».
Non le chiesi "Quale storia?". Attendeva solo un mio cenno di curiosità per torturarmi ancora una volta. Ma col senno di poi, forse, avrei dovuto fermarla...
Le note di High For This di The Weeknd incupivano l'atmosfera all'interno del night. Milano, per quanto affollato, si dimostrava un luogo carico di ombre e semioscurità, con bagliori dalle tinte violacee. Ideale per creature notturne.
Appollaiato su uno sgabello del banco, ricurvo su me stesso, rigiravo l'inalatore fra le dita, maledicendo la mia condizione per l'ennesima volta. L'ultimo controllo medico era stato pessimo, scatenando la mia ansia. Negli ultimi anni le crisi erano peggiorate, trasformandosi in attacchi violenti e imprevedibili. Odiavo la sensazione di incapacità respiratoria che attanagliava i polmoni ogni qual volta che mi assaliva la crisi, privandomi di prezioso ossigeno.
«Ti vedo alquanto turbato, Alejandro», affermò il mio barman. Era intento a lucidare un calice pulito, munito di canovaccio immacolato.
Il giovane uomo di ventisei anni – coetaneo di Cupido – somigliava a Hero Fiennes Tiffin, e aiutava gli affari all'interno del night.
Tornai a dedicarmi alla consumazione richiesta in precedenza, e osservai come il liquore ambrato, e dolciastro, sciabordasse all'interno del bicchiere ghiacciato quando oscillava con lentezza. Roteai ancora la mano, spargendo l'aroma dell'Amaro Montenegro. «No, nulla di cui preoccuparsi. Qui è tutto regolare, vero?», mi assicurai.
«Sì, Nico e Liam sono dei fenomeni a servire drink, ed è un grande aiuto. Inoltre nessun cliente ubriaco ha infastidito le nostre due ballerine di Pole Dance», seguì una pausa di riflessione: «Almeno per il momento», lo udii mormorare infine.
Annuii in silenzio prima che fossimo interrotti dalla mia dipendente: «Julio, posso un bicchier d'acqua?», chiese Gabriela, una delle ballerine di Milano. Si sventolò una mano in faccia: «E magari anche un fazzoletto», aggiunse con un sorriso luminoso. La carnagione glabra e abbronzata quanto la mia, ne risaltava la forma.
«Certo, Gabi», ricambiò lui.
Li guardai, notando il loro gioco di sguardi, e venni assalito dal ricordo di Edith quando le servii da bere la notte del blackout, al Bianco.
Fu un tuffo nel passato del tutto inaspettato. La mente sostituii Gabriela e Julio, raffigurando Edith e io, visti con occhi esterni.
Parve l'eclissi. Giorno e Notte. Luna e Sole.
Gravò il senso di colpa sulle spalle e una voragine si aprì al posto del cuore, come capitava quando mi opprimeva il passato.
«Gente, avete sentito la novità?», esplose Estela, piombando alle spalle della collega con espressione raggiante, dissipando l'illusione. I lunghi capelli, di un biondo scuro, ondeggiarono liberi lungo la schiena semicoperta.
Tutti noi sobbalzammo, ma solo io risposi alla domanda con un'altra domanda, scacciando la sgradevole sensazione e il senso di vuoto: «Che novità?». Nascosi il piccolo oggetto in tasca e tornai eretto.
L'ultima arrivata mi rivolse una lunga occhiata imbarazzata prima di proclamare parole che – per me – furono lapidarie: «Hanno rilasciato la notizia da poco. Domani sera si potrà vedere un eclissi lunare*, non è eccitante?».
*Angolino dell'Autrice*
* Un'eclissi lunare è un noto fenomeno ottico-astronomico, solitamente associato al sistema "Sole-Terra-Luna", durante il quale l'ombra della Terra oscura del tutto o parzialmente la Luna piena quando quest'ultima è illuminata dal Sole.
Raga, sto morendo. Non avete idea di quello che ho progettato... x) Ho un po' di cose in ballo. Attualmente ho solo un'altro capitolo pronto T.T (onestamente credevo che in due mesi ne avrei scritti almeno il doppio... singh). A ogni modo sono sempre all'opera, e aggiornerò il 24 <3
Ultimo ma non ultimo:
Gabriela Santos
Estela Garcìa
Julio Cortes
Essendo a Barcellona, i personaggi parlano spagnolo, ma a volte alcune frasi in corsivo saranno dette da loro in italiano. Lo so, faccio schifo a spiegarmi...
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P. S.
Domani e dopodomani non ci sarà un'eclissi, ma si potranno vedere le stelle cadenti (sembra quasi voluto dal destino) <3
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