Capitolo 44

EDITH

Perché il sole non ha
alcun lato oscuro.

In quel breve e labile attimo, costituito da tensione e inquietudine, il mondo intero - quello reale - scomparve, ovattato dalla presenza titanica di Cara Joels. Si percepiva una certa elettricità nell'aria... L'arredo circostante divenne sfocato, rasentando chiazze di colori violacei, mentre le luci stroboscopiche, accecavano i presenti. L'immaginazione conferì a quella donna un ruolo antagonistico, storpiando la sua immagine in un araldo fiabesco. Accomodata difronte a noi, ove la postura regale quanto composta, mi ricordava il personaggio malvagio di un famoso libro per bambini: la Regina Rossa de Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie. Sorseggiava il suo spritz Midori, nella penombra del locale, con l'aria di chi volesse mozzare teste e dipingere di rosso sangue i divanetti bianchi... Magari col mio. Il sangue di Alice.

"Tagliatele la testa!"

Adoperavo la fervida fantasia come il migliore degli scudi, distorcendo tutto ciò che mi circondava, per rinchiudermi in una bolla protettiva, impalpabile rifugio, che non possedesse fondamenta e riuscisse a schermarmi dalla crudele realtà delle cose, difendendomi con strascichi di fiabe e pezzi di libri già letti. Anestetizzavo la sofferenza con le parole, cibandomi di conforto e di una causa suprema. Non ero coraggiosa e assetata di verità quanto le protagoniste dei romanzi di cui leggevo le nobili gesta, ma avrei affrontato il nemico a viso aperto se fosse servito a proteggere il mio Biancogniglio. Bambinesca interpretazione personale dell'avvenente spogliarellista.

Un gioco maligno, il suo. Una partita a carte di cui lei, Regina di Cuori, era già vincitrice. «Come?» sussurrai con tono flebile e scioccato. La richiesta postami, oltre ad essere immorale fu anche di pessimo gusto.

Mi persi nella profondità del suo sguardo, precipitandovi dentro. Wellcum divenne il suo regno, Il paese delle Meraviglie. «Hai capito bene, Sweety. Se accetti di giocare, dovrai obbedire ai miei comandi, ed io... muoio dalla voglia di vedere come ti esibirai con lui.» sospirò con nonchalance, portandosi il bicchiere alle labbra imporporate di rossetto, e incurante del mio shock. Padrona della situazione, si permetteva persino di fumare in un luogo chiuso.

Forse è davvero una regina...

Impallidii, colta da un senso di vertigine: «Perché?». Il mio quesito si smarrii nel breve spazio che ci divideva, infranto dall'arrivo della cameriera con l'ultima ordinazione richiesta. Depose il bicchiere di vetro con cura, su cui galleggiavano uno spicchio di limone e del ghiaccio a cubetti. Canticchiava la canzone in sottofondo e parve importarsene ben poco di noi sei.

I will never sacrifice my love, not even for you.
You know I don′t play it safe.
Sometimes you have to break the rules.
Yeah, we could call it love, or we could call it nothing.

Non sacrificherò mai il mio amore, nemmeno per te. A volte devi rompere le regole. Sì, potremmo chiamarlo amore, o potremmo chiamarlo niente.

Ad un tratto, un piccolo scarabocchio attirò la mia attenzione. Il tovagliolo su cui era deposta la bevanda fresca, vi lessi: "Drink me."

Bevimi.

Sgranai gli occhi, meravigliata. «Che buffo, che buffissimo.» recitai sottovoce, ricordando la battuta di Alice. Non c'era altra definizione per sottolineare ciò che stava accadendo dentro e fuori alla mia testa. Sulle note di Sacrifice, adocchiai con attenzione la donna. Aveva l'aria di uno strano gatto sorridente. Lei doveva essere lo Stregatto, meditai, assorta in quei dettagli fantasiosi che coincidevano con la realtà. Compariva e spariva a suo piacimento, girovagando fra gli altri tavoli.

La fissavo ancora quando giunse la risposta, soffiandomi il fumo in faccia e provocandomi un conato di tosse convulsa: «Perché tu lo ami e quello che vedrei non sarebbe del sesso banale, ma l'espressione massima di un'emozione sofferta e combattuta. Ed io pago profumatamente una puttana per donarmi un'illusione a cui tu credi ciecamente.» spiegò, indicando Dante, rigido al mio fianco.

Strappata alle mie fantasie e udendo l'offesa, scattai in piedi come una molla: «Non chiamarlo così!» sbottai con fatica e prima ancora di frenare la lingua, infilzando le unghie nel tessuto dei jeans e piantandole sulle cosce per la rabbia momentanea. La cortina di nebbia tossica si dissolse nell'aria e il mutismo dei presenti assorbì la mia indignazione.

Lei scrollò le spalle, limitandosi a degustare lo spritz verde: «È quello che è... Non c'è vergogna nel vendersi a caro prezzo, Edith. Allora, accetti il mio gioco?» sogghignò, sempre più malefica. Schiusi la bocca per replicare, provando a rilassare gli arti. Fu qualcosa di immane, stabilire un certo controllo sul mio corpo, acquietando il tumulto delle emozioni che mi scuotevano dall'interno.

«No.». Non lo dissi io, ma lui. Una negazione categorica e irremovibile.

«Non ho chiesto a te!» tuonò Cara, saettando lo sguardo sul giovane accanto a me, inviperita.

Dante fu di pietra, imperscrutabile e per nulla intimidito da lei: «Non importa. La risposta è no. I sentimenti di Edith mi appartengono e non voglio condividerli con nessuno.».

How do you make dangerous look so beautiful?
And how come when you kiss, you turn me into this?
I fall in love, oozin' up the way you do that.

Come fai sembrare il pericolo così bello? E come mai quando mi baci, mi trasformi in questo? Mi innamoro, trasudando il modo in cui lo fai.

La nostra interlocutrice inarcò un sopracciglio biondo, vagamente divertita: «Nemmeno se salgo a ottomila euro?».

Ottomila euro?!

«No.» negò ancora lui, impassibile e per nulla allegro.

«Dieci, allora.» ripropose, quando non vide alcuna reazione, aggiunse: «Tredici?» chiese, per poi rilanciare ancora, notando la mancanza di approvazione. «Arriverei anche a quindici...» enunciò. Come se fosse una cifra alla portata di tutti, quella.

I miei genitori guadagnavano quel denaro in poco più di due mesi, non certo in una notte!

Adocchiai Dante di soppiatto. Nessun stupore o traccia di sgomento gli smorzava il malumore. Quindicimila euro non dovevano essere una grossa cifra per lui... Non riuscivo a capacitarmene.

«Non apprezzo ripetermi. Edith è fuori da questi giochi. Puoi offrirmi qualsiasi cifra la risposta sarà sempre e comunque no.» incrociò le braccia al petto, concludendo.

«Molto bene, dunque userò solo te per soddisfare il mio piacere...?» domandò una conferma implicita e il mio cuore subì un ulteriore crepa. Cuore di terra, lasciato per troppo tempo senza acqua.

Io non volevo condividerlo. La sensazione viscerale che lui fosse mio, in un certo qual modo, stroncava ogni sua decisione: che venisse adoperato come un qualsiasi oggetto, mi stomacava. Forse però, mi feriva maggiormente che fosse d'accordo nel farsi usare come un qualsiasi dildo umano. «No! Io non voglio...» sbottai, con le lacrime agli occhi.

Solo a quel punto, il mio spogliarellista posò gli occhi su di me, guardandomi per la prima volta da quando c'eravamo accomodati al tavolo. Il suo sguardo era freddo, glaciale... e un po' mi inquietava. L'iride assunse un tono più scuro, confondendosi con la pupilla. Non proferì alcun dibattito al mio capriccio, ma qualcosa si ruppe fra noi. Il mio cuore, pensai.

La Regina Rossa riprese la parola, usando il solito tono pacato e l'accento americano, marcato: «Sono io la tua cliente, e voglio che decida il tuo cucciolo cosa fare...» infine si rivolse direttamente a me. «Dunque, Sweety, giochiamo?». In quel momento mi parve il diavolo.

***

DANTE

Ognuno di noi era solo a proprio modo. Incompreso dagli altri, isolati a loro stessi. Meteoriti distanziati che luccicavano in lontananza. Mi limitavo ad osservare. Osservare come un pezzo di roccia venisse confuso per una stella. Le persone idealizzavano il proprio partner allo stremo, creando un'aspettativa che non si sarebbe mai avverata. Per infine vederlo soccombere, crogiolandosi nella delusione amorosa. Conoscevo l'amore. Quello vero, folle e irripetibile: l'uno su un milione, che sapeva squassarti le budella e ti feriva al cuore. Eros mentiva con le più dolci delle bugie, omettendo che dalla sua freccia non si guariva mai veramente. Egli sapeva sedurre con le carezze migliori e incatenare a desideri utopici, che fallivano malgrado i buoni propositi e le migliori intenzioni... Sì, sapevo bene cosa significasse amare qualcuno. Amarlo nonostante tutto. Tutto il dolore, le lacrime, le urla, i tagli, le delusioni, le incomprensioni, i lividi e la lontananza. Amarlo malgrado lo scorrere del tempo. Amarlo anche se amava a sua volta qualcun'altro e non ricambiava. Eppure... La confidenza che avevo concesso a Edith era stata reale. Non avevo macchiato il nostro rapporto con inutili menzogne amorose e sentimentalismi farlocchi. Ero stato vero. Sincero. Casto nella mia lussuria, ma soprattutto coraggioso. Le avevo faticosamente donato un pezzo di quello ch'era stato il mio cuore e lei aveva preteso tutto il resto. Tutti gli altri pezzi, gettando alle ortiche tutti i miei sforzi...

Puta de Mierda.

Ero il buffone della sorte. Un volgare giullare deriso dal destino. Da Eros. Il triste eroe senza fiaba. Non amavo Edith. Nella maniera più assoluta... Però ci tenevo. Ci tenevo davvero, cazzo. Al punto di odiarla. Ne disprezzavo l'infantile testardaggine e detestavo quando si impuntava in faccende che non avrebbero dovuto riguardarla. A volte sembrava non cogliere l'antifona. Forse non voleva farlo. Stabiliva confini che preferiva non valicassi ed io odiavo avere limiti. Pilotava le mie scelte, avvolgendomi un cappio al collo e soffocandomi con pretese alle quali non avevo intenzione di adempire. Con lei non mi sentivo libero, ma rinchiuso, incatenato a perseguire un percorso diverso da quello che avrei voluto intraprendere. E per cosa? Per amore??

Che fregatura.

La maestrina del cazzo era una fregatura bella e buona. Si mostrava come una bambolina supersexy, col migliore dei faccini, occhi da brivido e un corpo da sballo, ma dentro, dentro era esattamente come tutti gli altri. Avida di attenzioni che non potevo darle. Non come le intendeva lei. Meschina nell'idealizzarmi. Ero meteorite che credeva stella.

*Angolino dell'Autrice*

Quando c'è la luna piena, si possono notare le macchie lunari che formano la figura di un coniglio. Questa forma è detta: Coniglio lunare. Il coniglio bianco è simbolicamente legato alla luna. Infatti, basti pensare a Sailor Moon che si chiama appunto: Bunny.

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