Capitolo 39
EDITH
Volubile. Incline al cambiamento con facilità e frequenza. Tutto quello che caratterizzava Dante. Egli mutava come le fasi della luna, e proprio come l'acqua salata, ne venivo influenzata. Onde spumose, di un mare agitato, si infrangevano sul mio cuore di sabbia. Malgrado fossero le due del pomeriggio, dentro di me era calata una notte senza stelle, oscura quanto le profondità degli abissi. Mi sentivo una misera perla persa nel fondale oceanico, una lucciola che aveva creduto di poter competere e vincere col firmamento intero; ma un insetto rimaneva pur sempre un insetto. Cosa avevo sperato?! Ad una vacanza romantica in un bordello di lusso?! Un cambiamento sentimentale??
Stupida e sciocca, Edith.
Improvvisamente udii dei passi frettolosi, la porta della stanza, sbattere, seguita a ruota da quella del bagno, e lo spostamento d'aria repentino. Alzai di poco il viso dalle ginocchia e lo vidi. Vidi il giovane spogliarellista curvato sul lavello del lavandino.
Era tornato.
Rannicchiata nel fondo dei servizi, non distinguevo la faccia, ma distinsi le nocche della mano destra arrossate e graffiate a sangue. Il suo riflesso, impresso allo specchio, era una macchia scura, un'ombra dai contorni sfumosi. Parve quella di una belva in gabbia. Si aggrappava alla porcellana, artigliandone il bordo con tutte le forze, respirava lunghe boccate d'aria e provava invano a controllare i tremiti delle spalle per potersi accorgere di qualcun'altro che non fosse lui.
Forse avrei dovuto uscire dal bagno e lasciarlo solo...
Alzò il volto e si guardò allo specchio e solamente a quel punto notai la tumefazione al labbro inferiore. Dovette scorgerlo anche lui, ma non prima di aver visto anche me. Sgranò gli occhi, spaventato. «Edith?! Ma che cazzo?!» sbottò: «Che diavolo ci fai acquattata e in silenzio nella toilette?!».
Decisamente sarei dovuta gattonare via. Si voltò nella mia direzione e raddrizzò la schiena, allucinato. A quel punto la sua immagine era ben chiara ai miei occhi. «E tu, perché hai l'aria di averle prese?».
Un sorriso di scherno, quasi nervoso, gli si palesò per qualche istante: «Dovresti vedere l'altro...» distolse lo sguardo, nascondendo la parte lesionata con un gesto leggero del capo. In quel momento non mi sembrava un uomo, ma un ragazzino.
Sbuffai, alzandomi dal mio angolino e scacciando le lacrime col dorso della mano. L'istinto educativo prese il sopravvento, e visto che Mr. Maturità si comportava come un bambino, lo avrei trattato da tale. Gli andai vicino con cauta decisione, scontrandomi col suo tentennamento. Era alquanto buffo scoprire uno come lui, alto e slanciato, temere una come me, bassa e goffa. «Fammi dare un'occhiata, perfavore.» mormorai piano, analizzando l'angolo ferito. Aveva un piccolo taglio al labbro inferiore e un principio di ematoma a lambirgli il lato sinistro della mascella, nulla di grave per fortuna.
Afferrai una salviettina da bagno, deposta accanto al lavandino e ne bagnai un'estremità. La resi umida quel tanto che bastava per tamponare il punto lesionato. «Perché piangevi?» chiese mentre lavavo via il sangue dal mento con estrema cura.
Mi irrigidii, colta di sorpresa.
E adesso che accidenti mi inventavo?!
Non volevo confessargli la verità, ma non nemmeno una menzogna... Rimasi nel mezzo: «Pensavo alle... lucciole...» dissi non troppo convinta.
Geniale, Edith, sul serio... Adesso penserà a quanto io sia svampita!
«Ho solo ricordi felici legati a quegli insetti.» udii ad un tratto, interrompendo il mio monologo interiore. Alzai il viso verso il suo, fissandolo negli occhi. «Dove sono cresciuto, in campagna, ce n'erano moltissime. I miei fratelli ed io ci divertivamo a catturarne il più possibile, assieme a grilli e falene. Muniti di barattoli vuoti di miele, inseguivamo i bagliori iridescenti.» sorrise nostalgico.
Era la prima volta che mi raccontava qualcosa di tanto personale. Immaginai un bambino mulatto, dai folti capelli scuri, ridere e giocare, inseguendo lucciole per i campi. «Stupendo! Io... Io non le ho mai viste.» mugugnai con una punta di tristezza.
«Sono belle. Si trovano spesso vicino ai fiumi o fonti d'acqua dolce, e fanno il solletico quando si posano addosso.» aggiunse infine, solleticandomi entrambi i fianchi.
Risi divertita, agitandomi come un ossesso: «No, ti prego. Lo soffro tantissimo!».
«Ma davvero?» si finse meravigliato. Insinuò le mani sotto la maglietta bianca, solleticando la pelle mentre provavo a sottrarmi dalle sue grinfie. Anche lui rise divertito, proseguendo la dolce tortura e pregustando le mie forme, imprigionandomi contro al muro. Ero in trappola.
«Ti pre... go...» ansimai senza voce, stremata da tutto quel movimento. Provai a respingerlo, adagiando i palmi bene aperti sul suo torace mentre i suoi si erano spostati sul mio sedere.
«Ti prego, cosa, mi niña bonita?» chiese mellifluo, sorridendo malvagio e palpandomi il fondoschiena. Improvvisamente avevo caldo e mi mancava il fiato. Dante mi respirava addosso ed era troppo vicino per non volerlo baciare. Doveva pensarlo anche lui, perché spostò lo sguardo sulle mie labbra e il pigro sorriso, che mostrava una dentatura perfetta, si spense nel silenzio generale. Eppure rimase immobile, a trattenersi. Perché?
Non fare la timida.
Mi intestardii, strinsi il tessuto della camicia e lo strattonai contro di me. Stavolta fui io a non chiedere permesso. Impressi le labbra sulle sue e ne sentii il familiare sapore, sortendo l'effetto sperato. Dentro, sarà stato anche un ragazzino, ma fuori era in tutto e per tutto, un uomo. Quando mi toccava e baciava, leccando, mordendo e saggiando la pelle, io mi sentivo una donna. La sua Luna. L'unica. E tutte le litigate, le incomprensioni ed i silenzi, non contavano più nulla, perché tornavamo ad essere eclisse. Ricambiai il contatto con foga, aggrappandomi alla sue spalle per non soccombere alla natura delle mie stesse emozioni, soprafatta da tutte quelle sensazioni che non sapevo gestire. Interruppi il bacio, in cerca d'aria e poter gonfiare i polmoni: «Ho le gambe molli...» ansimai con ilarità.
Senza che potessi fermarlo, mi resse lui per le cosce, spostandomi sul ripiano del lavello: «Va meglio?» sussurrò roco.
Allacciai le cosce sul suo bacino e lo attirai a me. Un lampo sorpreso gli attreversò lo sguardo ed io sorrisi: «Molto.» sussurrai, osservando il primo bottone, sotto la scollatura, e sfiorandolo con ossessiva concentrazione. Il mio battito cardiaco era impazzito, così come il mio termometro interno e il respiro fagocitato.
Forse avevo di nuovo la febbre.
Senza che proferissi altre futili argomentazioni, Dante si sbottò la camicia. Il movimento fu lento e controllato, indugiando su ogni punto. Rimasi a fissare ogni gesto con crescente eccitazione. Lui era abbagliante persino nelle vesti della tentazione. Gli scostai di poco il colletto della camicia e gli baciai la clavicola sinistra, percorrendone l'osso con le labbra e scendendo sul suo petto, mentre le sue mani si spostarono di nuovo sotto la maglietta e sfilarla via insieme al reggiseno. Quando rimasi a petto nudo però, l'ansia e la timidezza mi pervasero, bloccando la mia libido. Nascosi la mia pienezza, vergognandomene. Non avevo mai fatto caso al mio corpo, ma adesso, davanti a lui, bello quanto il sole, ricordavo ogni mia imperfezione: il seno piccolo, la schiena curva, la pancia incavata e il sedere grosso.
Dante si inginocchiò sul pavimento, puntellando i piedi e accarezzandomi la caviglia sinistra per distrarmi dalle mie paure. Senza volerlo, risi divertita: «Anche qui mi fai il solletico...».
«Ma davvero? Quindi me lo mostri quel tuo bel seno se smetto?» celiò, continuando la dolce tortura. Scossi la testa, divertita, ma allentai le mani a coppa sul petto.
Risalì con dita leggere, dal polpaccio fino all'interno coscia, smorzando l'atmosfera giocosa e interrompendo ogni nuovo divertimento. Esalai a fatica qualche respiro mentre strizzava la carne burrosa con la mano destra, chinandosi su di me. Neanche lui sorrideva più. «E qui invece, soffri il solletico, piccola Edith?» mormorò con voce venata dalla lussuria. Il luccichio ferale all'interno delle pupille attirò la mia attenzione. C'era qualcosa di feroce e predatorio quando iniziava a toccarmi, qualcosa di animalesco.
No, non sembrava più un bambino. Deglutii a vuoto: «Sì... Anche lì.» esalai a fatica mentre mi sbottonava i pantaloni e tirava giù la lampo, svelando l'intimo.
«E qui?» avvicinò la bocca alle mie dita, che proteggevano i capezzoli turgidi. Il suo sguardo divenne torbido e il tono sempre più cupo: «Qui soffri il solletico?».
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