Capitolo 34

DANTE

Trovavo nella musica tutto quello che mancava nelle persone. Se non indossavo maschere e vestivo i panni di ballerino esotico - o prostituta -, quello che restava di me ero solamente io. Chiusi gli occhi e ascoltai...

Thought I found a way.
Thought I found a way out (found).
But you never go away (never go away).
So I guess I gotta stay now.

Pensavo di aver trovato un modo.
Pensavo di aver trovato una via d'uscita (trovato).
Ma non te ne vai mai (non te ne vai mai).
Quindi immagino che dovrò restare, ora.

Le note di Lovely di Billie Eilish e Khalid, inondarono le airpods bianche, mentre attendevo l'imbarco del mio volo. Sarebbe stato un viaggio breve e avrebbe trovato la sua conclusione all'aeroporto di Klagenfurt, a conoscenza che il volo sarebbe duranto un'oretta scarsa. Negli ultimi tre anni avevo preso l'abitudine di prenotarmi una settimana di ferie, poco prima del periodo pasquale, e lavorare a Wellcum. Un bordello di lusso, austriaco, dove i guadagni di una singola notte, triplicavano.

Assorto nell'udire il duetto dei cantanti, provato a fuggire dai meandri della mia mente, mentre i raggi solari mi scaldavano la nuca. Era come se in me stesso albergasse un altro me stesso. Un mostro a mia immagine e somiglianza, con cui lottavo ogni giorno.

Isolatomi da tutto e tutti, seduto in disparte s'una scomoda sedia di attesa, osservavo il cielo azzurro attraverso le immense vetrate dell'edificio, ove la vista degli aerei, in decollo e in declino, tagliavano le nubi in due e striavano l'orizzonte con lunghe strisce bianche. Come tutti, aspettavo l'eclissi solare - annunciata dalle previsioni meteo per le undici e un quarto del mattino - prima di poter volare.

Wanna feel alive, outside I can't fight my fear.
Isn't it lovely, all alone?
Heart made of glass, my mind of stone.
Tear me to pieces, skin to bone.
Hello, welcome home.

Voglio sentirmi vivo, fuori non posso combattere la mia paura.
Non è adorabile, tutto solo?
Cuore di vetro, mente di pietra.
Fammi a pezzi, dalla pelle alle ossa.
Ciao, bentornato a casa.

«DANTE!».

Fu un suono. Al di sopra di tutto, delle note musicali, del brusio e del frastuono, a ridestarmi dal mio stato di quiete. Volsi il capo di scatto e la vidi. Edith.

Sgranai gli occhi dietro le lenti scure, impressionato.

Madre De Dios... ¡¿Qué estaba haciendo ella aquí?!

Cosa ci faceva lei qui?!

La mia niña bonita, trafelata e allarmata, parve una trottola impazzita nella folla di persone che popolavano l'aeroporto. Cozzava con ogni individuo e si guardava attorno, impanicata e smarrita, con il disperato intento di trovarmi, senza prestare attenzione a dove mettesse i piedi. Era stupenda persino in abbigliamento casual, jeans e giacchetta del medesimo tessuto.

Il tempo parve fermarsi nell'istante stesso in cui mi vide. Gli sguardi immersi l'uno nelle iridi dell'altro mentre il caos generale della massa scorreva fra di noi, dividendoci; ma nessuna distanza sarebbe mai stata abbastanza. Noi potevamo toccarci in modi che andavano oltre il mero contatto fisico. Eravamo il sole e la luna di un cielo insondabile. Mai troppo lontani, ma non abbastanza vicini...

Si avvicinò molto lentamente e prese posto accanto a me, senza smettere di guardarmi: «Ciao.» esalò, senza fiato.

«Ciao.» la salutai a mia volta, continuando a mantenere il contatto visivo. I nostri sguardi esplorarono ogni pozza di colore e sfumatura. Oltre al grigio e l'azzurro, notai una spruzzata di verde a contornarle le pupille nere. L'influenza aveva abbandonato le sue spoglie, rendendola quasi iridescente.

«D-Dove... Dove sei diretto?» balbettò un poco, distogliendo infine lo sguardo e posandolo sulla piccola valigia accanto a me.

Quella innocua domanda ruppe lo strano sortilegio dei suoi occhi; perplesso dall'ambiguità di quel comportamento. Mi accigliai: «Sul serio, dopo ieri, questo è il meglio che sai fare?». Mi passai una mano sul viso, sprimacciandomi la faccia: «Parto per un luogo lontano da qui, dove la perdizione è di casa e tu, non mi fermerai. Sprechi il tuo tempo sé è questo il tuo scopo.» chiarii. Ma non era vero. Con la voce melodica che si ritrovava, avrebbe potuto ordinarmi di gattonare e l'avrei fatto. Avrei cestinato la mia dignità e il mio orgoglio per lei.

«N-Non sono venuta per fermarti. Io vengo con te.» mi confessò, con le guance in fiamme.

«Che cosa?!». Per poco non mi caddero gli occhiali da sole dal naso. «Sei impazzita di colpo?! Hai idea di dove io sia diretto?».

Edith infossò il capo fra le spalle, intimidita dalla mia reazione, ma questo non le impedì di avvicinarsi a me e sussurrare: «Sì, Fabian mi ha spiegato ogni cosa e ormai ho deciso anch'io. Verrò con te.». Il viso ad un soffio di distanza dal mio e il profumo che avvolgeva i sensi, inducevano in tentazione più di qualsiasi donna nuda, prostrata ai miei piedi. Senza contegno, mi sentivo felice pur litigando con lei...

All'improvviso un bambino ci distrasse, piazzandosi troppo vicino alle sedie occupate; non osservava noi, ma oltre le nostre spalle. Quando ci voltammo, all'unisono, la scorgemmo. L'eclissi solare, grande e piena, stazionava in tutta la sua bellezza. L'incontro impossibile di due astri celesti.

***

Di una cosa ero assolutamente certo:

«Stai bene?» mi chiese lei, apprensiva, mentre prendeva posto accanto all'oblò ed io, al suo fianco.

Dopo questa bizzarra avventura, avrei dovuto prenotare una seduta dal mio terapista di fiducia.

Le scoccai un'occhiataccia, allacciandomi la cintura di sicurezza: «Secondo te? Entro sera sarai nuda, circondata da uomini e donne che vorranno solo una cosa da te... e non saranno i pennarelli colorati.» specificai con una certa malignità. Non mi importava se le partner che sceglievo, si divertivano con altri; erano libere di fare sesso con chi e quando volevano... Tutte tranne lei.

«E non ti piace?» pigolò appena, provando ad essere discreta fra gli altri passeggeri.

Forse più di una.

«No! Cazzo, Edith, non mi piace neanche un po'!» mi alterai, attirando l'attenzione di qualche hostess. Le guardai tutte di sbiego, incitandole a riprendere il lavoro col mio sguardo peggiore.

«Allora sai come io possa sentirmi.» aggiunse Edith, ferita dall'atteggiamento assunto. Malgrado la giacca di pelle, cominciai a sudare freddo - e non eravamo nemmeno in volo, al momento -.

Sicuramente più di una. Chuca de mierda.

Schioccai la lingua, sottolineando la stupidità dell'affermazione udita. «Io sono uno spogliarellista, maestrina del cazzo. È diverso. Parte del mio lavoro riguarda anche il mio piacere sessuale.». In seguito le sussurrai all'orecchio destro, scandendo ogni parola con minuziosa attenzione: «Mettiti bene in testa che non avrai mai una relazione normale con me...». Si allontanò bruscamente, scottata dalle parole ascoltate ed io, sospirai, frustrato da questo discorso che continuava a logorarci: «Te l'ho detto: Io sono fatto così...».

*Angolino dell'Autrice*

E SEI FATTO MALE, ALLORA. PRETTY MAN E CHE CAZZ...

Bella raga, speravo di pubblicarlo prima di oggi questo capitolo, ma amen, almeno è prima delle 18 <3

State facendo compere per Natale o attendete di ricevere i regali?^^

News: L'eclissi solare è bene ammirarla con molta attenzione e con gli occhiali da sole perché si rischia di perdere la vista. Voi ne avete mai vista una? (Non so nemmeno se sia corretto il femminile xD)

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