Capitolo 20

EDITH

Si poteva imbottigliare una sensazione? Conservarne l'essenza e usufruirne ogni qualvolta se ne sentisse il bisogno?

In cuor mio sperai di sì.

L'ebrezza e l'euforia, della notte trascorsa, non volevano abbandonare le mie membra sovraccaricate d'emozioni e sentimenti controversi. Vagabondavo per il giardino della scuola materna, Peter Pan, senza una meta precisa, con passo mal fermo e le gambe gelatinose. Alla “ricerca” di giocattoli perduti o dimenticati dai bambini. I miei bimbi sperduti.

Non avevo chiuso occhio - causa di quello ch'era successo tra noi -, ma non mi sentivo affatto stanca. Continuavo a meditare, a richiamarlo nella mia mente. Un pensiero fisso, rumoroso, in una mente ottenebrata da quiete e silenzio.

Con sguardo trasognato e ciondolando le braccia, incapace di stare ferma, canticchiavo la melodia della canzone che avevamo ballato assieme, come se fossi stata un disco rotto, osservando il cielo azzurro e le nubi bianche, con scarso interesse.

Proiettata nella vagonata di ricordi, non riuscivo a non sorridere al vuoto; inebriata e alticcia di felicità...

I capelli bruni, sciolti sulla schiena, mi solleticarono le nude spalle, mentre il tiepido sole, d'inizio Aprile, scaldava l'aria in una tacita promessa di primavera. Ascoltavo gli uccellini cantare e i bombi ronzare; la sede comunale si era svuotata da tempo ed io, avevo concluso il turno lavorativo d'almeno mezz'ora. L'orologio e il suo incidere, erano diventati qualcosa di labile e futile, ma quando incontrai lei, sentii scoccare la mia ora. La conclusione di tutto.

Fu come se qualcuno tendesse fili invisibili, appartenenti ad una marionetta, attirando in questo modo la mia attenzione e scoppiando la bolla impalpabile in cui mi ero rinchiusa. Persino i lunghi ciuffi d'erba del prato si immobilizzarono. Ero un misero pupazzo nelle grinfie del destino.

C'era una giovane donna, a braccia conserte, dall'altra parte dell'inferiata bianca - che circuiva il giardino -, a pochi passi da me. E mi guardava da oltre le lenti scure che indossava. La chioma bionda e cotonata, era indorata dalla luce del giorno e incorniciava un volto latteo e delicato, dai tratti angelici. Poco più alta di me, indossava un paio di jeans a vita alta e un maglione morbido. Ricordava una giovane atleta, ma avrei potuto sbagliarmi.

Da quanto tempo era lì?

Sfarfallai le lunghe ciglia un paio di volte, dubbiosa se fosse o meno un'allucinazione del mio cervello.

La bella donna, si sfilò con calma gli occhiali da sole, e li appoggiò sopra al capo, tirando indietro i capelli vaporosi e scoprendo quei tratti angelici che avevo adocchiato poc'anzi.

Osservando meglio le lenti scure mi sembrano familiari. «Ehm... Salve. Le serve aiuto?» esalai piano, incespicando di un passo verso di lei. Un po' mi intimidiva...

I colori delle iridi erano intensi, pozze di verde smeraldo e inquinati d'azzurro; le pupille, due isolette lontane. Li vidi squadrarmi dal basso verso l'alto, lentamente. Molto lentamente e in silenzio, creandomi disagio.

Ma chi era?

Prima che potessi rivolgerle la parola un'altra volta, udii la sua voce.

«Tu devi essere la sua nuova fiamma... Quasi mi dispiace per te.». Il tono fu freddo e impersonale, apatico a qualsiasi emozione. La voce però era chiara e incisiva.

«S-Scusi, c-come dice?» balbettai, confusa dalla risposta.

Forse aveva sbagliato persona.

«Timide e carine. È così che gli piacciono... Per un po'. Si stufa in fretta e perde interesse.» proseguì calma, ignorando la mia espressione di puro sgomento. «Gli occhi chiari lo attraggono più di altri, ma quando questi si rivelano privi di segreti e magnetismo, ti scarica alla prima occasione. Nel tuo caso accadrà molto presto...» continuò: «Perciò non innamorarti di lui. Ti spezzerà il cuore.» aggiunse come se mi stesse dando un buon consiglio.

No, non aveva sbagliato persona. Sapeva chi fossi e di chi altro stesse parlando. Solo non mi sapevo spiegare il perché.

«M-Ma lei chi è?!» proruppi quasi offesa, mentre la bella donna rimanese composta e risoluta; per nulla minacciata.

«Io sono Eva. Eva Ricci, una delle compagne di Dante, e sono qui per difendere ciò che è mio. Il modo migliore per farlo è mostrarti cosa ti aspetterà se non mi ascolterai.» spiegò semplicemente, ma non c'era nulla di semplice nel suo discorso.

***

Perché ho accettato?!

«Dante ed io ci conosciamo da tre anni, ormai.» iniziò a raccontarmi mentre ascoltavo la storia sedutale accanto, a lato del guidatore, all'interno di un'automobile che avevo già visto in precedenza. L'Audi A3 Sedan color perla.

Stomaco e cuore li percepivo sotto-sopra, e la miscela di felicità frizzantina aveva cominciato a scemare, abbandonando il mio corpo e appesantendo le spalle. Improvvisamente non mi sentivo molto bene...

Gli interni dell'abitacolo ricercato, profumavano di fiori e menta. Adocchiai il cruscotto in cerca di dettagli.

«Avevo la tua età quando lo incontrai per la prima volta, ad una festa privata, e proprio come te, ne rimasi colpita.» abbozzò un sorriso, ma non riuscii a intuire se fosse stato ironico o meno. Gli occhiali da sole impedivano di scorgere il suo sguardo: «Lo considero il mio unico fidanzato, ma non ho nulla in contrario alla sua natura e al lavoro che ha scelto di intraprendere; ovviamente con le giuste precauzioni. Voglio che si senta libero di relazionarsi con chi voglia.».

Ero in compagnia di una sconosciuta; e per quel che ne sapevo, poteva essere una pericolosa serial killer. Eppure mi ritrovai realmente interessata al nostro confronto: «Relazionarsi?» chiesi dubbiosa. Le domande che avrei voluto farle si ammucchiarono tutte sulla punta delle lingua.

Eva scrollò le spalle, guidando sicura nel traffico di Milano. «Intrattenersi, prostituirsi, scopare, divertirsi. Usa il sinonimo che più ti aggrada, maestrina.» si beffeggiò del mio nome. Mi ricordava... «È così che ti chiama, ogni tanto. Oppure niña bonita.» proseguì in seguito, alternando la sua attenzione da me alla strada e viceversa.

Non avevo idea di dove fossimo dirette, ma in quel momento non mi importava. «Dante ti ha parlato di noi?!».

La udii ridere. «Certo che sì. Noi non abbiamo segreti.» rispose pacata.

Mi venne in mente la bizzarra conoscenza con Fabian. Anche lui sapeva della mia esistenza e mi sentii una stupida a non averci riflettuto prima.

Eva era una ragazza bellissima, sicura di sé e priva di timori... Io al contrario sembravo fragile e codarda.

«Inoltre, stamattina mi ha raccontato la vostra serata e il momento condiviso assieme. Il vostro buffo balletto. Forse per te è stato romantico, ma quello è solo il suo modo per comunicare...» insinuò, provocando la mia collera.

«Lui non è mai sveglio la mattina.». Avrei voluto usare un tono sprezzante e sbugiardarla, ma dalle mie labbra uscii un suono flebile e pigolante.

«Non quando rimane a dormire con me.» sorrise nuovamente ed io, sentii qualcosa incrinarsi all'interno del mio petto. Un malore sordo e ridondante. Senza rendermene conto, una lacrima scivolò silenziosa lungo la guancia sinistra. «È proprio questo quello che intendevo. Come ti fa sentire sapere di non essere speciale, ma semplice intrattenimento? E davvero ti sta bene, Edith?» domandò invasiva, accentuando la mia sensazione di inferiorità.

«E tu cosa ne sai?!». Il mio sguardo divenne lucido e mi maledii in silenzio per dimostrarmi tanto inerme ai suoi occhi. Come poteva un'emozione ferire in tal modo?

A quel punto lei frenò bruscamente. La cintura mi segnò l'epidermide, ma non emisi un lamento.

«Non ti ho convinta? Bene, allora ammira, stellina... Ammiralo.» enfatizzò l'ultima sillaba e indicò oltre il parabrezza.

Volsi il capo con lentezza, fissando il paesaggio urbano. Un edificio moderno, con ampie vetrate, si stagliava davanti a noi.

Una palestra.

Dinnanzi all'entrata c'era lui. Indossava una maglietta bianca e dei pantaloncini neri, lunghi fino al ginocchio, d'allenamento. Era appoggiato con disinvoltura al muro intonacato, intento a leggere un libro; in attesa di qualcosa... o qualcuno.

Dante.

Assorto nel testo delle Poesie erotiche di Pablo Neruda*, parve apatico al rumoreggiare della metropoli circostante. Perso fra righe e parole d'amore.

In questo ci somigliavamo.

Sorrisi, ma fu una gioia momentanea.

Ad un tratto, dalla porta principale uscì una ragazza in tenuta sportiva. Una bella fanciulla, fulva e longilinea, che lo sorprese affettuosamente.

Lo vidi deporre l'oggetto del suo interesse e sorriderle. Lei gli buttò le braccia al collo e lui le fasciò i fianchi con le mani mentre si baciavano appassionatamente, all'oscuro della nostra presenza.

Rimembrai la donna della sera precedente, lo spogliarello davanti alla folla che lo acclamava a gran voce - una routine -, la telefonata con la sua compagna e i possibili partner che aveva, ed ebbi un crollo. Precipitai in una voragine di sconforto. Forse perché Dante generava la medesima luce su tutti.

Lui abbagliava quanto il sole; ed esso non lo si poteva strappare al cielo e rinchiudere in una stanza... ma avrei voluto farlo. Mi sarebbe piaciuto risplendere di luce riflessa. Essere la luna e non una delle tante stelle che costellavano la sua vita.

Per la seconda volta, in un giorno, percepii un altro crack nel mio petto e nuove lacrime formarsi agli angoli dei miei occhi.

«Non sarai mai amata come vorrai da un latin lover come Dante. Il tuo sentimento nei suoi confronti basterà per entrambi?» chiese ancora Eva, opprimendomi. C'era della premura nel suo tono. Forse dovevo farle pena...

Io mi facevo pena...

Si poteva imbottigliare una sensazione? Stavolta sperai di no.

*Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, è stato un poeta, diplomatico e politico cileno, considerato una delle più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento. Scelse lo pseudonimo di Pablo Neruda, in onore dello scrittore e poeta ceco Jan Neruda.

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