Uno scherzo innocente

Erano da poco trascorse le sette quando Eric aprì a fatica gli occhi. A casa era sempre il primo a svegliarsi: amava il silenzioso tepore dell'alba, i primi raggi del giorno appena nato, la tranquilla quiete da respirare nel soggiorno ancora in ombra. Quel mattino però, se non fosse stato per le decise bussate alla porta del professor Palumbo, il giovane sarebbe volentieri rimasto a letto fino a pomeriggio inoltrato.

Faticò a reggersi in piedi, lavò il viso con estrema lentezza, senza dar peso ad una patina brillantinata che ricopriva le labbra. Ogni gesto sembrava costare uno sforzo immane, e poi c'era quel maledetto dolore alle tempie... come se un falegname gigante si fosse divertito a conficcare chiodi su entrambi i lati della testa. Colpa forse del viaggio in auto del giorno prima, troppi sbalzi termici; aveva viaggiato troppo e mangiato troppo poco.
Basta.
Doveva finirla con quella storia delle dita in gola, avrebbe ripreso a mangiare regolarmente e assunto di nuovo le vitamine. Avrebbe mangiato quel giorno stesso, seduto a tavola insieme ai suoi compagni. Già, i compagni ... erano stati così gentili con lui la sera precedente! Amanda e Max lo avevano abbracciato con una tenerezza materna, Cesco e il resto della classe invitato a sedere sul letto, chiacchierando di programmi televisivi come avrebbero fatto con uno della loro personale comitiva. Gli avevano poi offerto da bere, (dopo un iniziale rifiuto, Max lo aveva rassicurato riguardo all'entità del liquido, semplice gassosa del banco frigo del supermercato).

Dopo di ciò i ricordi divenivano più sfocati, avevano probabilmente trascorso il resto del tempo a parlare e a fare imitazioni dei professori, forse era stata proprio la nottata di emozioni nuove e gratificanti la causa di quell'emicrania diabolica. Ma poco importava: uno slancio di tenerezza lo spingeva verso i suoi compagni, come una corrente spinge una conchiglia sul bagnasciuga. Sceso dunque al piano inferiore, posò lo zaino presso la porta, salutò con gentilezza la proprietaria e si diresse nella sala da pranzo.

Max aveva terminato la colazione e smanettava con il cellulare come quasi i due terzi della classe. La quantità rimanente si era voltata a guardarlo mentre entrava, con occhi titubanti e avidi allo stesso tempo.

-Ciao Max ... - sorrise Eric; in una mano reggeva un bicchiere di caffè. Avrebbe dovuto mangiare almeno una fetta di pane, un po' di cereali, ma gli sguardi dei compagni erano così penetranti che sentì di nuovo una terribile nausea.

"Imbecille, rilassati, una volta tanto!" Ordinò a se stesso.

Max lo guardò con la stessa espressione di titubante avidità mista a ironia. L'occhiata rimbalzò come un pallone da basket da un tavolo all'altro, per poi fare canestro nuovamente nello sguardo di Max. Eric si sentì denudato, ma si sforzò di continuare a sorridere.

-Grande amico! Batti il cinque! – esclamò il giovane facendo posto al ragazzo appena entrato.

-Posso sedermi?-

-Ovvio amico, mi sono scansato apposta. Tutto bene? Bella dormita stanotte?-

-Insomma ... - sorrise Eric portando le mani alle tempie.

Max lo guardò inarcando le sopracciglia. - Stai male?-

-No, non è niente, un po' di mal di testa- minimizzò il ragazzo, bevendo un sorso di caffè al gusto di veleno.

Max rise, lo sguardo divertito attraversò di nuovo la sala rimbalzando. - Forse siamo stati tutti troppo in piedi stanotte.-

- Eh ... - proruppe Cesco con fare misterioso e sarcastico – Notti troppo belle, bisognerebbe ripeterle! –

-Siete stati gentili ieri sera-

I ragazzi al tavolo di Max non riuscirono a contenere una risata imbarazzata, simile al verso di un animale selvatico.

Amanda intervenne. -Eric, - balbettò, facendo tintinnare nervosamente il cucchiaino nel bicchiere -sei pallido. Come stai?- Era sul punto di sfiorargli una guancia, ma un'occhiata di Max la fulminò. Ritrasse la mano. -Non mangi nulla? Ti porto un po' di biscotti, devo prenderli per me dal buffet.-

-Che palle, Amanda! Sembri mia nonna!- Sbottò Max -Vai a prendere i biscottini, vai! E magari esci pure a fare pipì sull'aiuola!-

La ragazza afferrò il proprio vassoio con prepotenza, allontanandosi con rabbia dal tavolo.

Prima che Eric riuscisse a parlare, il professor Palumbo entrò annunciando l'arrivo dell'autobus che li attendeva.

***

Fu una giornata magnifica. Il sole d'ottobre scaldava il viso e le mani diafane di Eric, tingendole di un rosa visibile soltanto durante i tramonti d'estate. Non aveva mai preso in considerazione l'idea di essere di bell'aspetto, eppure, se in quel momento avesse avuto a disposizione uno specchio o un semplice riflesso vitreo, di certo non avrebbe potuto negare a se stesso la delicata graziosità del proprio volto.

Quella mattina il giovane contemplò con entusiasmo le statue di Palazzo Massimo accanto ad Amanda. Quest'ultima seguiva le spiegazioni della guida camminando costantemente vicino al giovane, osservando assieme ad Eric i dettagli più nascosti delle sculture, le didascalie delle opere, i particolari degli affreschi nonostante il suo palese odio verso i musei. Quando poi la classe salì sul pullman per il rientro in albergo, Amanda sedette nel posto libero accanto alla poltrona del ragazzo con un sorriso malinconico.

-Beh? Pensavo ne avessi abbastanza di discorsi archeologici-

-Per una volta non starai da solo sul pullman- sussurrò Amanda, continuando a sorridere forzatamente.

-Grazie ... - rispose Eric con timidezza. – Sei gentile, ma non devi sentirti obbligata; sono abituato a stare da solo. – aggiunse con un sospiro di rassegnazione.

-Non è una buona abitudine. Nessuno dovrebbe esserci abituato.-

-Lo so ... - Eric esitò, fissando per qualche istante gli occhi di Amanda, due laghi di smeraldo puro. Poi sussultò guardando il panorama fuori dal finestrino. – è semplicemente stupendo, credo di non aver mai scattato così tante foto in vita mia.-

-Sì, credo che ci tornerò quest'estate. È un'esperienza da ripetere!-

-Come il party di ieri in camera di Max!- rise il giovane ripensando alla sera precedente. Finalmente riusciva a mettere a fuoco le emozioni della notte – Non so come ringraziarvi. All'inizio non sapevo cosa aspettarmi, ma poi ... siete stati tutti così divertenti, così gentili. Avrò dormito sì e no tre ore, - continuò Eric ridendo – ho le occhiaie, un mal di testa assurdo, ma ne è valsa la pena!-

Amanda non rispose. Chinò la testa, le mani presero a tremarle così violentemente che Eric fu costretto ad afferrare il suo cellulare per evitare che le scivolasse a terra.

-Amanda, ho detto qualcosa che non va?-

La ragazza alzò il viso . – Eric, devo dirtelo, non ce la faccio più. Volevo farlo già stamattina, ma non ci riuscivo. Non davanti a tutti loro.-

-Dirmi cosa?-

-Io... io ti voglio bene, Eric, te lo giuro! Sono stronza con te, ma lo faccio perché altrimenti quelli mi mangiano viva, e io non ce la faccio!-

Eric abbassò lo sguardo.

-Eric?-

-Non ti preoccupare. Non fa nulla-

-E invece sì!- La ragazza coprì i suoi occhi lucidi, massaggiando la fronte. Guardò un istante attorno a sé, in cerca di qualcuno che la obbligasse a fuggire da lì. -Cavolo, Eric, perché sei venuto con me ieri sera?! Perché?-

-Perché cosa?- Domandò il ragazzo. -Sei stata tu a insistere, mi hai praticamente obbligato! È andata così bene!-

-No, smettila! Smettila di dire così!- Replicò la giovane, dandogli una leggera spinta sulla spalla -Lo sai anche tu che è successo un casino-

Eric fissò Amanda con uno sguardo così smarrito che la ragazza non riuscì a trattenere le lacrime.

-Cosa...?-

La giovane respirò profondamente guardando fuori dal finestrino. Non riusciva a incontrarne gli occhi. -Io lo so ... lo immaginavo che avresti avuto mal di testa.-                                              
Prese il telefono dalle mani di Eric, lo sbloccò entrando con le dita tremanti nel proprio profilo Facebook. – Max e Cesco ti hanno dato da bere una cosa pesante ieri sera ... - continuò, mentre Eric sentiva lo stomaco iniziare a contorcersi come prima di uno dei suoi rituali segreti.

-Mi dispiace tantissimo-

Amanda consegnò il suo telefono a Eric, alzandosi dalla poltrona e correndo verso i primi posti dell'autobus. Fuori dal finestrino, l'albergo Rothschild iniziava a fare capolino dietro le lunghe distese di pini.

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