Vivere sulla luna [Abel x Nash]

[angst]

Mio amato Charlie,
Questa penna che ho in mano non smette di bruciarmi la carne.
Non sono mai stato così tanto tempo senza di te. Sì, da quando abbiamo iniziato a vivere insieme, intendo.

Sono stati i cinquantadue anni più felici della mia vita, e sono fortunato, perché effettivamente... Ho vissuto poco di più.

Mi ricordo i primi giorni di convivenza: la difficoltà di condividere tutto, gli spazi e le cose, ma soprattutto gli stati d'animo, i complicati sentimenti che comprendevamo a malapena in autonomia. Quasi rido al pensiero di noi due che litighiamo per una piccolezza, evitiamo di incrociare lo sguardo per un paio d'ore e infine ci riabbracciamo tra le lacrime.

Avevamo passato tutti i guai possibili nella prima parte della vita: volevamo dimenticare il significato della parola dolore e l'affetto ci era sembrato il metodo giusto per farlo.

La tua presenza era tutto quello che mi serviva per stare bene; anzi, non solo lo è sempre stato, ma lo è ancora. Ecco perché da quattro mesi a questa parte sto sempre... Male.

In quei primi tempi mi preoccupavo di come avremmo fatto ad andare d'accordo per sempre. Mi chiedevo se avrebbe funzionato e in che modo avrei potuto tenerti sempre con me. Devo ammettere che sono piuttosto fiero di averti avuto al mio fianco per così tanti anni.

Sono contento anche di essermi dimostrato forte. Come quella volta che sei andato in America per due settimane: ti ricordi come sono stato bravo a chiamarti solo una volta al giorno, prima di andare a dormire? Ti ho nascosto così bene l'angoscia che provavo che sei arrivato a chiedermi se mi mancassi.
In quel momento ho indossato la maschera più dolorosa che esisteva nel mio repertorio; mi sono trattenuto dal piangere solo per scoppiare in lacrime quando hai riattaccato.
Non volevo farti pesare quella tua scelta di viaggiare, non volevo farti sentire prigioniero. Mi è sempre e solo interessato il tuo sorriso, pur di vederlo avrei fatto qualsiasi cosa: eppure in quel modo, come mi hai confessato in seguito, ho fatto male anche a te.

Noi uomini siamo proprio strani, Charlie. Siamo così simili... Eppure non riusciamo a comprenderlo. Così finiamo immancabilmente per sbagliare.

Come possiamo essere stati simili, io e te? Tu eri un uomo maturo, un'affascinante persona con un esagerato successo nella vita. Io sono un errore di laboratorio, sia dentro che fuori, inutile allo scopo per il quale sono stato creato... Un rifugiato in questo mondo che ti bastona, ti punisce ma in fondo ti accetta per quel che sei, purché l'abbia accettato tu in primo luogo.

Se la mia apparentemente incrollabile maschera è caduta, Charlie, è soprattutto colpa tua. L'amnesia mi ha aiutato a creare un primitivo senso di sicurezza, è diventata una specie di arma contro le mie paure. Poi tu sei tornato e tutto quel che credevo di essere si è dissolto come una nuvola al sole: la vita non è affatto un premio in sé stessa, io non sono mai stato un professionista in nulla.

Al tuo fianco mi sono riscoperto bambino, sì, perché la conseguenza di non avere avuto un'infanzia è di vivere in un suo surrogato senza fine: cosa contraddistingue un bambino se non la curiosità e la gioia? E non sono le caratteristiche che ho sempre avuto, almeno nei tuoi confronti?

Tu mi assecondavi sempre; mi accontentavi, mi venivi incontro, facevi qualsiasi cosa ti chiedessi o desiderassi. Non so cosa tu ricavassi da questo, perché non credo di essere mai stato degno di te.
Ma io, di sicuro, dalla tua compagnia ho sviluppato una terribile dipendenza.

Adesso che non sei più qui, quasi quasi, preferirei vivere sulla luna. Da solo, magari dimenticato da tutti, che comunque è qualcosa che mi rappresenterebbe. Oppure in fondo al mare: mi annoierei in entrambi i casi, questo è certo, ma avrei il tempo per onorare il tuo ricordo con ogni mezzo possibile.

Questo luogo non è più casa, adesso che non la condivido con te. Quando te ne sei andato, ti sei portato via ogni cosa a me cara. Forse perché sei tutto ciò che mi è sempre importato nella vita.

Non credo di averti detto abbastanza quanto ti ho amato. E quanto ti amo ancora. Se no, sicuramente, non saresti morto, né di vecchiaia né di qualsiasi altra cosa. Se l'avessi capito, senza dubbio, saresti qui al mio fianco a scrivere questa lettera. Anzi, a decifrare la mia scrittura che, lo riconosco, si è fatta incerta.

In soli quattro mesi il morbo di Parkinson ha stretto la sua presa su di me. Non vedo l'ora che mi porti via da qui, che la morte mi accolga per riportarmi a casa. Per riportarmi da te.
Non spaventarti del mio aspetto sciupato, non stupirti delle rughe che sono comparse sul mio viso e non preoccuparti per la mia andatura incerta. Dentro non sono cambiato in nulla. Ti amo con la stessa intensità di quando avevamo trent'anni... E non penso di essere più saggio di allora, più cauto o più maturo.
Mi sento solamente debole. Debole e solo.
Per questo la morte non mi sembra una condanna, ma una liberazione.

Sto per superare il traguardo anche io, Charlie.

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