II - Les Documents - Abel
Biancore. Silenzio. Dopo qualche attimo, tutto si fa (meno) chiaro: una stanza d'ospedale, il rumore delle macchine che monitorano un paziente. I sospiri dell'amico che non riesce a lasciarlo solo.
Ma facciamo un passo indietro: raggiungiamo Abel e Guile nell'angolo più remoto di un laboratorio della Shadaloo, mentre forzano una cassaforte nella quale sono nascosti i documenti originali - e senza copie - che possono riguardare il passato del francese. Come al solito, insomma: pezzi di soffitto che precipitano, fumo, fuoco, sbuffi d'aria a duecento gradi e passa ogni tre metri, e i soldati-automi al servizio del dittatore in agguato ovunque.
«Sonic boom!»
Grazie al colpo di grazia opera di Guile, la porticina rinforzata cede cigolando, e il soldato tira fuori il plico più rapidamente possibile. Abel è dietro di lui: sta tenendo d'occhio i dintorni, perché sa benissimo che qualcuno interverrà a bloccarli. La situazione è però surrealmente tranquilla; un soldato accorre da lontano, ma viene fermato da un pezzo di metallo rovente letteralmente piovuto dal cielo.
«Presto, andiamo!»
«Sissignore» si limita a dire il francese, lasciando l'amico e collega andare davanti a sé. Deve proteggerlo, e soprattutto deve proteggere quei documenti. Preferisce che essi si conservino a costo della sua vita, che dover continuare a vivere senza di essi. Non ci sono copie: se quelli vanno perduti, si porteranno via ogni speranza!
«Attento!»
Sulla tempia del Maggiore USAF s'era disegnato il puntino luminoso di un laser; la spinta che il lottatore di Sambo gli ha dato, però, ha evitato il peggio senza conseguenze. Poco più avanti, trovano un cumulo di macerie a bloccare il passaggio: con un piccolo sforzo, tuttavia, superano anche quest'ostacolo.
Non calcolano solo un particolare: spostando tutto quel materiale hanno reso l'edificio intero più instabile!
Pochi metri dopo, semplicemente, ne pagano le conseguenze. Un pezzo di cemento armato punta la minuscola comitiva: Abel è troppo impegnato a difendere l'amico per non accorgersene. Prontamente lo afferra e lo scaglia più lontano che può, evitandogli per un paio di centimetri un brutto colpo. Colpo che, invece, lui si becca in pieno.
Capito che è successo? Guile si sente davvero male per questo caos. Sono ben tre giorni che non riesce a lasciare la stanza in cui Abel è ricoverato, in una specie di coma.
Siamo già abituati a vederlo un po' gobbo, ogni volta che si prepara a combattere porta le braccia davanti al petto e si raccoglie un po' prendendo proprio quel tipo di atteggiamento. Ma questa volta la sua testa non guarda intensamente in avanti; i suoi muscoli non sono tesi e non gli si vede alcun tendine. A parte quelli sul dorso della mano, tirati e prossimi a lacerargli direttamente la pelle. L'infermiera gli ha detto che parlare con i malati, apparentemente incoscienti, può far loro bene. A volte, addirittura, può fare miracoli.
Loro sentono, ma non possono rispondere; e può far loro molto piacere sapere di non essere soli nella lotta contro le malattie. O contro il dolore.
E in questo caso, è decisamente la seconda opzione.
«La vita non ci appartiene.»
Parla sommessamente, gli si è accostato alla testa: la sua voce è così baritonale che fa vibrare un poco le componenti metalliche della stanza.
«Non la costruiamo noi, la riceviamo in modo passivo. Non possiamo essere certi di quale sia il suo scopo... Possiamo crederlo.» Prende un respiro, stringe i pugni ancora più forte; alza il capo, prima rivolto al pavimento, e si rivolge direttamente al ricoverato, coperto dalle lenzuola bianchissime fino al mento. «Mi hai detto tante volte che non riuscivi a credere a nulla, che ogni fede ti era stata negata! Oggi capisco che mentivi.»
Si alza di scatto, e con lui la sua voce. «Guarda dove t'ha portato la segreta convinzione! Ecco perché Charlie t'ha salvato.» Si ferma, lo guarda con gli occhi spalancati. «Tu...»
Ritorna a camminare, e sospira come dopo una gran corsa. «Avevo giurato che nessuno avrebbe mai più fatto la sua fine. Quanto costano gli errori che un uomo piccolo come me non può evitare di commettere!»
Gli si accosta, e con mano insicura gli carezza le gote. «Smettetela di credermi degno di tutto... Di tutto questo. Voi siete miei amici perché io conosco il vostro valore. Non lavorerei mai con qualcuno che abbia meno diritto di vivere di me!»
A questo punto, cogliendo una leggera differenza nel ritmo cardiaco dell'amico, monitorato da una macchinetta tanto fastidiosa quanto inquietante, ritrova un po' d'ottimismo. «Abel... Abel, se mi senti, sappi che non ti perdonerei mai... Un eventuale decesso. Ti sto aspettando. E smettila di farmi preoccupare così!»
Come udendolo sul serio, il corpo del ricoverato ha un fremito, che culmina nel lento aprirsi degli occhi azzurri, e nell'irrigidirsi dei muscoli del collo.
«Abel!»
«Dimmi... Ch'aii... Fogli»
Gli occhi umidi, Guile torna a sedersi di fianco a lui.
«Ma certo che li ho. Sono al sicuro.»
Richiudendo gli occhi, il giovane si rilassa ancor più di quanto non stesse facendo prima di risvegliarsi. Le sue labbra si stirano in un piccolo sorriso, bagnato dopo pochi attimi da una lacrima.
«Ce l'hai fatta, amico mio.»
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