Froid (Cold) - Abel x Nash
«Potremmo andare insieme ad allenarci, che ne pensi?»
All'udire questa domanda Charlie Nash è arrossito fino alla punta delle orecchie: al suo posto l'avrebbe fatto chiunque.
Era ormai a pieno titolo un amico di Abel; non gli aveva mai voluto spiegare come si erano conosciuti, e il giovane francese si era rassegnato in fretta all'idea di averlo avuto come alleato fin dall'inizio dei tempi.
Il primo tenente dell'U.S. Air Force rievocava sempre con piacere l'immagine del suo corpo celato soltanto dal tessuto beige dei camici riservati dalla Shadaloo ai suoi prigionieri. Sì, la scena attorno a loro era catastrofica, un vero e proprio incubo; ma il tempo ha il potere di lenire i sentimenti che non vengono rinnovati, e così l'emozione più viva che gli sovvenisse del "salvataggio" era proprio questa specie di attrazione per lui, il salvato da morte certa.
Successivamente a quei momenti e al lungo ricovero di Abel, durante il quale Nash non aveva mai mancato di andarlo a trovare e di tenersi aggiornato sulle sue condizioni - che sul versante dell'amnesia non hanno fatto che peggiorare persino lungo il periodo della convalescenza - avevano mantenuto dei contatti.
Ora l'amnesico faceva il mercenario, e quindi girava il mondo e aveva scelto come hobby di riempirlo di cartoline, oltreché di lunghe chiamate, le quali invece di scemare in lunghezza o frequenza andavano aumentando costantemente.
L'aveva eletto a suo confidente, e probabilmente anche migliore amico; per questo gli aveva detto che quella vita non lo convinceva, e che intendeva cambiare occupazione non appena gliene fosse capitata l'occasione. Solo che da parte sua, Charlie non sapeva proprio cosa consigliargli.
Era al corrente che aveva due appartamenti, e che la sua spiccata preferenza era per il trilocale di Marsiglia, dove poteva parlare la lingua che gli risultava più naturale; sapeva però bene che si ritirava volentieri anche nel bilocale americano che, guarda caso, non distava più di qualche chilometro dalla sua villa. Nel caso avesse scelto una vita più sedentaria, quale avrebbe abitato più a lungo? Di quale si sarebbe liberato?
Appena gli capitava di potersi fermare in Florida non perdevano un'occasione per vedersi, fosse per qualche ora o per viaggi di un giorno intero. Si divertivano come bambini insieme, e avevano ormai fatto tutto ciò che due buoni amici avrebbero potuto fare. In quei momenti le sue speranze diventavano tangibili: sembrava molto plausibile che avrebbe scelto, nell'eventualità, la casa americana. Il resto del tempo invece si ricredeva. Come tutti i francesi era tanto fiero di abitare nell'Hexagone che non dava l'impressione di potersene allontanare per davvero. La loro amicizia, quando era lontano, lo riempiva di dolcezza e di dolore al contempo, perché la mancanza era una ferita aperta che a malapena si leniva durante il tempo che era possibile passare insieme.
Fino ad allora, comunque, si erano sempre incontrati in tenuta "civile". Sì... Era uno spettacolo mozzafiato ugualmente, ma... Era cristallino che vedere il lottatore di sambo durante un allenamento sarebbe stata un'esperienza da tremore alle gambe.
«Ma certo. Chi altro ci sarà?»
Dato che Abel non aveva parlato di una palestra in particolare, gli è sembrata una domanda abbastanza appropriata da poter essere posta.
«Ah...» Il ragazzo gli è sembrato vagamente sorpreso. «Conosci qualcuno da invitare?»
Nash ha ridacchiato: «Guarda che mi sta benissimo rimanere solo con te». Ha avuto una specie di brivido per quel che si era appena lasciato sfuggire, e ha deglutito forte. «Ehm, sì, cioè, non avevo capito dove vuoi andare e avevo dato per scontato che ci sarebbe stato qualcun altro, tutto qui. Anche per capire, ecco, cosa devo portare»
Dall'altra parte della cornetta, il mercenario stava sfogando tacitamente le sue emozioni stringendo convulsamente il bracciolo del sofà.
Aveva ragionato molto prima di invitare il suo migliore amico nel campo dove andava sempre ad allenarsi; aveva pensato che è normale per due buoni amici trovarsi da soli, a volte (e ben venisse qualcosa di più profondo "nel caso dovesse proprio accadere" - sempre restando nel pudore che si sforzava di mantenere nei pensieri riguardanti Nash). Soltanto ora gli stavano sorgendo dubbi esistenziali circa ogni singolo particolare di quell'innocente piano.
«È-è un campetto dove io-io ho messo qualche attrezzo e...» Ha preso un respiro profondo, ma prima di continuare, Charlie l'ha interrotto.
«È una cosa fantastica! Allora alle cinque, stasera?»
«P-perfetto»
Abel era capace di un sacco di cose mirabili, ma nascondere le emozioni non rientrava proprio tra queste. Lui agiva sempre così spontaneamente: questa era una delle cose che il tenente USAF apprezzava tanto.
Comunque, soltanto di fronte a un atteggiamento simile Charlie Nash è giunto a porgersi una domandina.
Perché?
Perché il suo amico s'era tanto spaventato? C'entrava con i suoi piani, che non prevedevano una simile domanda, o desiderava soltanto che ogni particolare - probabilmente già fissato - fosse perfetto e gradito? E in quest'ultimo caso, di nuovo, perché? Perché Abel si preoccupava tanto dei loro incontri, ormai innumerevoli?
La telefonata si è conclusa, minuti dopo, con quest'incertezza ancora aperta. E Nash non ha potuto rifletterci sopra neanche un attimo in più; aveva un quesito ancor più urgente da risolvere, ora che aveva le mani libere.
Come avrebbe dovuto vestirsi?
*****
Ce l'aspettavamo perfettamente.
I primi momenti del loro incontro sono trascorsi in silenzio religioso. L'uno trovava l'altro bello come un dio, reciprocamente, e l'ha contemplato potenzialmente all'infinito, assolutamente rapito.
I muscoli che la kurtka del francese non celava hanno aumentato la velocità del sangue del suo amico di, come minimo, trenta chilometri orari. E la canotta attillata di quest'ultimo, che più che celarne le grazie le sottolineava, ha sortito un effetto analogo su Abel.
«Benvenuto, mon ami».
Non è che il tenente conoscesse molto il francese. Anzi, tutto ciò che ricordava di questa lingua erano le frasi delle canzoni famose: emmenez-moi, voulez-vous, ne me quitte pas. E poi, ovviamente, mon amour: qualcosa di così simile a quanto Abel aveva appena pronunciato da fargli sfiorare l'infarto.
Celando con grande maestria questo colpo, gli ha sorriso e s'è sistemato gli occhiali da vista.
«Sei carico?» Gli ha domandato con nonchalance, rivolgendo uno sguardo curioso all'area verde che aveva appena raggiunto. Era circolare e recintata con della rete metallica; un sentiero ci correva accanto, e la piazza che restava al centro era ingombrata di attrezzi, un po' come un parco giochi. Un tavolato di legno appoggiato a terra fungeva da base per flessioni e addominali, poi c'erano gli anelli e ben due sacchi - cosa che ha lasciato un po' perplesso il visitatore, che però non ha posto mezza sillaba di domanda al riguardo.
«Carico, io? Sicuramente più di te!» Gli ha risposto mezzo urlando il francese, prima di tirargli uno scherzoso pugno sulla spalla e iniziare a correre come in una fuga o in una gara.
Hanno continuato a lanciarsi sfide finché il sole ha fatto loro compagnia. Ignorando le ombre che s'allungavano, ignorando il colorito sempre più rossastro del sole, si sono meravigliati scoprendosi circondati da quella luce strana che dura qualche attimo, e che precede il buio della notte. Allora si sono resi conto anche della loro stanchezza, e si sono stesi sull'erba fianco a fianco, ad osservare le nuvole rosa e attendere le stelle.
«Non si sta affatto male, qui.»
Abel ha sorriso, lieto che il suo migliore amico condividesse un pensiero che lui non aveva ancora espresso, e soprattutto rendendosi conto che voleva essere una specie di complimento.
«Già. Il cielo al tramonto è sempre bello e l'erba è tanto comoda. Devo aggiungere, poi... Che stasera tutto mi sembra ancora migliore.»
Si sono scambiati uno sguardo molto intenso, ma subito dopo sono tornati a guardare il cielo.
Consapevole del fatto che al suo amico faceva piacere sentir parlare della sua infanzia, e bisognoso di spezzare il silenzio, Charlie gli ha raccontato di una volta in cui si era così perso a guardare i colori caldi del crepuscolo da dimenticarsi di tornare a casa, facendo preoccupare i suoi genitori per nulla - dato che era steso in mezzo all'erba alta, sì, ma dentro il giardino della loro villetta.
«E non l'hai mai guardato con qualcun altro, invece?»
«No. È sempre stato un momento di raccoglimento, prima d'ora. E poi... Nessuno si è mai fermato a guardare il cielo con me.»
Nel frattempo, la notte era scesa sulla Florida; le stelle e la luna brillavano come preziosi, e una certa brezza aveva preso ad accarezzare la terra.
Le mani dei due ragazzi si sono avvicinate come per attrazione magnetica, in completa autonomia. Si sono sfiorate, accarezzate, afferrate e poi strette.
«Charlie, ma hai freddo?» Improvvisamente insospettito ed allarmato, il francese si è puntellato con un gomito per guardare il viso dell'amico dall'alto senza interrompere il contatto delle loro mani. Era come un messaggio: non puoi mentirmi. Ed in effetti ha potuto notare che le sue labbra tremavano un poco, forse perché stava battendo i denti. «Ehi, tutto okay?»
Il tenente ha aperto bocca come intenzionato a parlare, ma è scoppiato a ridere nervosamente.
«Non ho così freddo, ma quando mi agito e fa un po' fresco tremo sempre.»
Per quanta parte di verità quest'affermazione potesse contenere, il ghiaccio di cui sembravano improvvisamente esser diventate le sue mani lasciava intendere che quel "po' fresco" stava per "freddo glaciale". Che dire, poi, di quel vago "mi agito"? Era proprio quello che sperava fosse?
Morbosamente incuriosito e ben consapevole di essere, al suo perfetto opposto, sul punto di sudare, Abel non ha trovato soluzione più conveniente che mettersi vicino a lui e abbracciarlo piano, senza riuscire ad immaginare quale reazione avrebbe dovuto aspettarsi.
Al leggero contatto delle loro gambe, Nash ha avuto un fremito; e appena ha potuto, si è rintanato tra le sue braccia, accoccolandosi nel calore di quella stretta che sembrava poter donare armonia a tutto il mondo.
Tutte le sue ansie e le sue paure sono scomparse. L'affetto di quel ragazzo era quello che aspettava da tutta la vita, era il senso del quale era alla ricerca dacché aveva iniziato a porsi delle domande. Ha inspirato il suo profumo dalla posizione privilegiata in cui si trovava, a metà tra il collo e il petto, e l'ha abbracciato stretto con un sorriso luminoso in viso.
Non era mai stato così sereno.
Dopo qualche attimo, il giovane ha iniziato ad accarezzargli la nuca, gesto che Nash ha gradito molto. Ha poi abbassato il capo, arrivando ad appoggiare il mento sulla sua testa, e ha chiuso gli occhi. Insomma, ha indugiato degli attimi prima di spezzare quel silenzio magico, carico d'attesa che si era creato tra loro.
«Vuoi tornare a casa..?»
Solo questa domanda ha potuto riportare il militare alla realtà.
Era un quesito neutro e logico, che era costato della vera fatica ad Abel, il quale aveva dovuto tradurre correttamente il verbo "rentrer" dalla sua lingua, e poi cercare di decidere se fosse il caso di parlare o meno. Cioè, lui si trovava al colmo della beatitudine, personalmente; sarebbe rimasto volentieri là fino all'alba; ma si rendeva conto che faceva oggettivamente freddo, e che non era caso di far ammalare il suo amico per un capriccio.
Charlie, però, era parso pietrificarsi all'udire la richiesta, facendogli balzare il cuore in gola.
Non poteva saperlo, ma stava solo decidendo a sua volta che mossa fare, ed era profondamente combattuto al riguardo.
Ciò che ha scelto, infine, è stata l'opzione più silenziosa ed emozionante, la più pericolosa forse e sperava non la più affrettata, nonché la realizzazione di tutte le speranze che non aveva mai ammesso di nutrire.
Si è mosso in modo da accompagnarlo mentre lo costringeva a stendersi supino. Solo a questo punto ha scollato il petto dal suo a favore di un contatto più profondo, utile a trovare la distanza ideale per fare scivolare entrambe le mani sulle sue braccia, dalle spalle sino ai polsi, in modo da fargliele spalancare e immobilizzare.
Abel non è proprio sembrato dispiaciuto di tutto questo: gli è anzi parso il momento adatto per sfoggiare un amabile sorriso, come in scherzosa risposta all'espressione seria e determinata che aveva stampata in viso l'altro.
Si sono finalmente guardati a lungo negli occhi, quelle sfere che riflettevano il bagliore delle stelle e della luna e delle loro anime. Fosse piovuta una meteora, fosse iniziato un temporale, avesse tremato la terra per un sisma o avesse eruttato un vulcano, non si sarebbero spostati di un solo millimetro. La brezza fredda li spingeva ad avvicinarsi, alla ricerca di quel calore che solo il contatto può dare. E loro obbedivano solo ai corpi, ormai, perché le menti erano completamente rapite dalla perfezione del momento.
In un attimo i due visi si sono sfiorati, e le labbra di Nash sono andate ad appoggiarsi piano a quella guancia che per così tanto aveva sognato di accarezzare. Le ha appoggiate alla sua pelle ripetutamente, lasciando numerosi baci dall'orecchio allo zigomo fino all'angolo delle labbra grazie soprattutto alla lenta rotazione del capo di Abel, che iniziava a faticare a contenersi.
Appena ha sentito il solletico delle labbra di Charlie così vicine alle sue, si è sentito autorizzato a muovere le braccia che aveva - con estremo impegno - tenuto immobili fino a quel momento. Così ha potuto afferrargli dolcemente la testa, quasi costringendolo ad abbandonarsi ad un bacio più impegnativo, ancor più emozionante di tutto ciò che l'aveva preceduto; per, subito dopo, lasciar scivolare le mani giù dalla sua nuca fino al collo, alle spalle, alla schiena in tensione tanto per la posizione quanto per l'«agitazione» che stava provando. Di nuovo l'ha sentito tremare, e capendo che non era più colpa del freddo, ha trovato il coraggio di stringerlo forte in un ennesimo abbraccio.
Bisognosi di parole, hanno dovuto interrompere il contatto delle loro bocche; hanno mormorato così piano che si può soltanto immaginare cosa si siano detti; e poi con un solo movimento Abel l'ha preso in braccio.
Era decisamente giunto il momento di una camera tiepida e chiusa.
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