Circostanze - Abel/Dhalsim
«No one chooses the circumstances of their birth.» Bla, bla, bla.
Abel ha ripensato a queste parole per diversi giorni. Erano diventate un mantra ormai.
Dhalsim aveva vinto l'incontro e, guardandolo dall'alto in basso come fanno tutti i vincenti, gli aveva rivolto quella frase (seguita da una seconda talmente poco significativa che l'aveva istantaneamente cancellata).
Non sapeva come tradurla in modo corretto nella sua lingua: "Nessuno sceglie le circostanze della propria nascita", "Nessuno può decidere in che modo nascere", "Non si può determinare la modalità della propria nascita"... Nessuna traduzione restituiva il tono con cui l'aveva detto o il senso che il maestro di yoga aveva dato a quella frase.
Stava indubbiamente ridendo della sua ignoranza.
Dhalsim aveva la presunzione di scegliere i suoi obiettivi al posto suo e questo faceva arrabbiare Abel più di ogni altra cosa. Lui non aveva alcuna intenzione di scoprire le "circostanze" della sua nascita: non era affatto interessato a questo. Gli interessava sapere chi erano i suoi familiari, chi era stato prima di venire annullato dalla Shadaloo. Il passato in generale, ecco, non il momento preciso della sua nascita: a chi importa sapere com'è venuto al mondo? Il dolore indescrivibile di una madre, il sangue, la fatica, il rischio del parto... È abominevole. Che pessima impressione aveva quell'uomo di lui se tutte le fatiche che stava compiendo in direzione della conoscenza miravano (a suo avviso) al momento della sua nascita?
Ancora peggio, il momento della sua nascita che cosa aveva a che fare con il successivo lavaggio di cervello attuato dall'organizzazione di Bison?
La sua famiglia forse verteva in tale povertà da avere deciso di venderlo? O era stata costretta a farlo?
Che il suo concepimento fosse stato violento e sua madre avesse deciso di abbandonarlo, lasciandolo preda della criminalità? Oppure era stato direttamente M. Bison a metterlo al mondo, magari per errore?
Più ci pensava e più trovava effettive possibilità. Come aveva imparato a fare, ha concentrato le sue forze intellettuali in un'altra direzione, come una via traversale per raggiungere infine il suo scopo: la conoscenza del passato e delle sue origini in generale (non della nascita nello specifico).
Così ha svolto numerose ricerche sullo sfidante che lo aveva escluso dal torneo di lotta mondiale, arrivando a comprendere che qualcosa... Gli stava sfuggendo.
Dhalsim era un padre di famiglia e il protettore del suo villaggio. Era leale, incorruttibile e grazie alla meditazione era privo persino della malizia inconscia. In poche parole, non rideva alle spalle degli altri.
"Non si decide la condizione della propria venuta al mondo" è di conseguenza cambiato in qualcosa come "Non puoi cambiare il passato, quindi non pensarci più".
Ma stava davvero a significare questo? Perché avrebbe dovuto scomodare il concetto di nascita, allora?
Che Dhalsim fosse al corrente..?
Vivendo in solitudine, subito dopo aver deciso di voler parlare con il maestro di yoga, Abel ha potuto prendere un aereo in direzione dell'India. La speranza era tanto forte, stavolta, da avvolgerlo completamente: è rimasto concentrato sulla missione dall'aereoporto di Marsiglia fino all'uscio di casa di Dhalsim.
Datta, suo figlio, gli ha dato il benvenuto nel villaggio. La tenerezza che gli ispiravano i bambini ha sciolto la rigidità che l'aveva accompagnato sin là al punto che all'ora di cena è stato Dhalsim a trovare lui più che il contrario.
«Giovanotto! Che bello vederti qui.»
Abel si è alzato con uno scatto, come gli capitava spesso di fare quando veniva chiamato con un'esclamazione.
«Dhalsim, per me sarebbe un onore poterti parlare.» Si è voltato in direzione di Datta, col quale aveva passato tutto il pomeriggio. «Spero che tu mi perdoni, amico mio.»
«Grazie di avere giocato con me! Te ne andrai prima di cena?»
A questo punto è intervenuto il padre invitando Abel a restare; lui, non sapendo come rifiutare, ha accettato. Il ragazzino è corso in casa a dare la notizia alla madre lasciando gli adulti da soli.
Abel non ha perso tempo. Lo ha guardato dritto negli occhi e senza neppure prendere fiato gli ha fatto la domanda che rendeva il suo cuore tanto pesante.
«Cosa sai della mia nascita?»
Dhalsim ha sorriso, lo sguardo rivolto al prato.
«Noto con piacere che ti sei accorto del mio segnale. Te ne avrei parlato prima, se ne avessi avuto occasione. Quando c'è di mezzo la Shadaloo bisogna calcolare ogni parola.» A questo punto l'ha guardato direttamente negli occhi, sobbalzando leggermente per la profondità che contenevano. Era una scusa: quel che gli era mancato era stato il coraggio. Dhalsim odiava mentire e ha odiato sé stesso per averlo fatto. « Io... Voglio chiederti se sei pronto a conoscere la verità prima di procedere, giovanotto.»
«Che razza di domande! Sono venuto sin qui per questo.»
«Ed è per ciò che sono incerto. Le verità fa sempre un po' male, ma nel tuo caso farà...» Ha allargato le braccia e proseguito sussurrando: «Malissimo».
«Fa male anche ignorare. Mi fa sentire inadatto a proseguire.»
Dhalsim ha scosso la testa: un tempo la pensava anche lui così.
«L'ignoranza è un dono. Se vorrai veramente accogliere nel cuore la verità capirai cosa intendo, mi sembra giusto fartelo sapere adesso. Io so che l'azione è un modo per passare oltre le incertezze e le paure; il viaggio che hai intrapreso è indizio che non hai voluto riflettere su ciò che senti dentro. So cosa occupa la tua mente: cerchi di agire in vista della giustizia... Tieni a mente, però, che quanto riguarda la conoscenza non può essere giusto o sbagliato. È una scelta che sta a te e a te soltanto e sarà corretta in ogni caso.»
Il francese ha abbassato lo sguardo. Le parole del saggio lo impaurivano. Cosa celava il suo passato? Ora che mancava così poco a scoprirlo si sentiva insicuro.
Cosa avrebbe cercato una volta trovata la soluzione al quesito della sua vita? Avrebbe avuto ancora senso esistere? Certo che la scelta dipendeva anche dalla risposta. E in ogni caso non poteva tirarsi indietro: questo avrebbe avuto meno senso di tutto il resto.
«La mia scelta è stata fatta tempo fa. Io devo scoprire il mio passato e sappi che rivelarmelo è la scelta giusta, qualsiasi cosa accada dopo.» Abel ha puntato il dito contro il petto dell'interlocutore e assunto l'espressione più decisa che fosse in grado di fare, con le sopracciglia aggrottate e gli angoli delle labbra verso il terreno. «Quindi parla!» Ha esclamato.
I due uomini sono rimasti immobili per diversi secondi.
Dhalsim era combattuto: nella linea temporale in cui gli diceva la verità sul suo passato - la sua creazione in laboratorio, l'obsolescenza e il conseguente abbandono da parte della Shadaloo - vedeva solo sofferenza per lui. Era consapevole che il ragazzo si era preparato per tutti i tipi di notizia tranne che per l'origine non "umana"; questo avrebbe potuto portarlo alla depressione e, ben presto, all'annientamento. Oppure, ancor peggio, avrebbe potuto rivolgersi a Bison per essere nuovamente accettato nelle fila della sua organizzazione... A casa, in un certo senso.
C'era poi la possibilità di mentire. Magari dicendo che non ne sapeva niente e che lo aveva semplicemente visto nei laboratori in un passato lontano.
Infine c'era la rinuncia. La via che aveva seguito fino ad allora, quella con meno rischi e lasciava aperta la strada del giovane ad una ricerca senza soluzione... La strada della vita.
Sì, aveva lasciato quel messaggio velato proprio perché aveva deciso di parlare e dire la verità. Comprendeva solo ora, però, che era troppo presto per rispondere.
«No» ha infine decretato. «Non devi saperlo da me. Sarebbe ingiusto. Devi combattere ancora, figliolo.»
Ha scrutato i suoi occhi tristi in cerca di una traccia di sollievo, ma non ne ha trovata. Ha dovuto anzi distogliere lo sguardo per non restarne prigioniero.
«E da chi devo saperlo? Almeno dammi un indizio...»
Dhalsim ha stretto i pugni. In quel momento lo ha raggiunto il profumo della cena: lo ha interpretato come un segnale.
«Vieni a mangiare, Abel. Non è ancora il momento delle risposte. Te lo prometto, però... In quel momento io ci sarò.»
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