[2019] - Aiuto - Abel x Nash

Tutto crollava intorno a lui, e per la prima volta in vita sua stava provando un autentico sentimento di panico.
Non che si indovinasse dal suo comportamento o dalla sua espressione.
Aveva imparato a nascondere sempre quel che provava, e per questo l'unico particolare attraverso il quale si stava manifestando era un impegno sovrumano nella corsa che avrebbe determinato la sua salvezza.
Faceva caldo, giustamente dato che Bison aveva scelto il fuoco per distruggere la sua base e lui ci stava rimanendo intrappolato dentro; e questa difficoltà in più stava tagliando a fettine i suoi nervi, generalmente così saldi. Sentiva pulsare le lacrime alla base degli occhi, che gli pizzicavano, e la gola bloccata da un urlo che non voleva uscirsene.
Quando un muro s'è sgretolato appena dietro di lui, per quanto fiatone avesse e per quanto la milza gli pulsasse, ha accelerato l'andatura; mica il terrore viene conservato senza motivo dall'uomo, la sua utilità è proprio quella di scatenare forze impensabili.
La radiolina non prendeva, e comunque in mezzo al caos dell'autodistruzione della base Shadaloo non avrebbe afferrato nemmeno un suono proveniente da quella scatolina in plastica nera; quindi, una volta schiacciato da qualche pezzo di cemento armato, là sarebbe rimasto per sempre. Neanche il pensiero della sua missione compiuta riusciva a distrarlo dal pericolo che stava correndo. La chiavetta USB era infatti estremamente fragile, e in aggiunta nessuno sapeva cosa contenesse; magari i dati erano criptati troppo ingegnosamente perché l'intelligence potesse decifrarli; oppure poteva darsi che non fosse rimasto davvero nulla di utile sul server. E in questi casi il suo sacrificio sarebbe stato completamente inutile. Ha rallentato un poco, scoraggiato e quasi certo dell'imminenza del momento del suo trapasso.

«Aiuto, aiuto!»

Udendo tale urlo, Nash si è bloccato. Aveva il fiatone così forte che non riusciva a guardarsi intorno con tranquillità, ma continuava a spostare la testa in su e in giù senza controllo: non gli era mai capitato nulla del genere prima.
La voce che aveva raggiunto le sue orecchie sembrava appartenere ad un uomo, giovane e debole ma disperato almeno quanto lui. Gli sono bastati pochi attimi per scorgerlo, oltre la densa atmosfera di quel corridoio in fiamme: era bloccato dietro una porta a vetri, che era intento a prendere a pugni nel flebile tentativo di liberarsi.
Si è avvicinato al ragazzo, incredulo, poiché gli pareva proprio un'allucinazione: ma come i loro sguardi si sono incrociati è tornato in sé, comprendendo che era persino più che reale.
«Strike!» Ha urlato, usando la forza del suo ki per tirare giù quella lastra trasparente. Sono rimasti entrambi immobili, per una frazione di secondo; non erano più soli e si vedevano entrambi come segnali di salvezza, messaggeri del destino a portare rinnovato vigore nelle loro gambe e a dissipare le insicurezze che la solitudine fa crescere nelle menti di chi si trova ad essere in esclusiva compagnia della propria coscienza.
Si sono avvicinati l'uno all'altro, un po' diffidenti, e poi si sono presi sottobraccio. Erano messi entrambi abbastanza male, ma in due facevano un uomo intero; così Nash ha continuato la sua fuga, e il giovane prigioniero ha potuto aiutarlo - essere aiutato - con successo.

È inutile perdere tempo a spiegare come si siano sostenuti e spronati a vicenda, mentre le loro forze diminuivano e le difficoltà aumentavano. La temperatura seguitava a salire inesorabilmente, le scosse e il rumore crescevano graffiando i loro timpani; ma bastava uno sguardo alle ferite dell'altro, al suo viso contratto dallo sforzo, alla fragilità dei loro corpi prossimi allo stremo per continuare.
Hanno raggiunto l'aria aperta poco prima che l'uscita crollasse, seguita da quanto non era già collassato del resto della smisurata struttura. Si sono lasciati cadere nell'erba alta, fresca per l'ora tarda che era, e profumata dalla stagione autunnale. Non c'erano né luna né stelle in cielo, ma il riflesso delle fiamme sulle nubi basse lo rendeva uno spettacolo affascinante e dal sapore post-apocalittico: ai loro piedi il laboratorio nel quale il giovane era stato prigioniero per innumerevoli anni era ridotto ad una cava senza scopo, gigantesca e profonda come un buco nero sulla Terra. E la chiavetta usb pulsava in tasca al soldato come il trofeo più importante che avesse mai potuto conquistare.
La distruzione che li circondava pochi attimi prima s'era compiuta, ma non era riuscita a trascinarli con sé. Ed ora eccoli in mezzo ad un prato che pareva ignaro di tutto quanto era accaduto a pochi metri da esso, un materasso naturale che stava dando loro il ristoro del quale avevano tanto bisogno.
C'è voluto ancora un poco perché Nash si accorgesse del brusio prodotto dalla radiolina, ma non ha avuto voglia di parlare e far sapere allo squadrone che stava bene. Lui non aveva mai inteso scendere là, aveva il presentimento che sarebbe andata più o meno così (anche peggio) ed era davvero arrabbiato con chi ce l'aveva spedito. Non era solo questo, comunque, a tenergli incollate le labbra.
Era soprattutto il poveretto che era steso di fianco a lui a far sì che non trovasse il coraggio di parlare. Voleva dedicare a lui le prime parole pronunciate fuori dalla base; voleva prima accertarsi del suo stato di salute, e poi pensare al resto del mondo. Per la prima volta della sua vita non si è curato di sporcare i capelli voltando la testa - troppo pesante per essere alzata - nell'erba, in direzione del giovane che aveva accompagnato a braccetto fuori dall'inferno.
«Come stai?»
«Sono vivo» ha mormorato, sbuffando piano per accennare una risata. «E la cosa è molto positiva.» Anche lui, finalmente, s'è deciso a guardare colui che l'aveva salvato; e gli ha rivolto il sorriso più dolce del mondo. «E tu?»
«Più o meno come te, credo.»
«Come ti chiami?»
Il tenente dell'USAF ha sentito il cuore riscaldarsi per questa domanda, che era sì legittima, ma anche inattesa.
«Charlie Nash.» L'ha guardato, in una tacita ripetizione della questione; ma il giovane ha semplicemente chiuso gli occhi, per ignorarla.
«Grazie di cuore per il tuo aiuto» s'è limitato a dire, continuando a sorridere, e senza accorgersene, scatenando un sorriso anche sulle labbra del soldato.

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