let the cat out of the bag

Capisci di far parte di una categoria privilegiata quando assapori il lusso e la ricchezza per più di una settimana. Essere ricco e famoso ti permette di dare per scontate cose che una persona comune può soltanto immaginare nei sogni più felici. Josefine si accorge di essere ormai entrata a far parte dell'élite quando sale a bordo del volo di linea da Baku a Nizza. 

I primi sentori ci sono stati già all'arrivo in aeroporto, strapieno di persone che corrono da una parte all'altra - la maggior parte senza nemmeno sapere cosa fare o dove andare. In mezzo a qualche uomo di affari o a dei ragazzi svegli, abituati a viaggiare per lavoro o per diletto, si è trovata davanti una miriade di turisti meravigliati e locali che non hanno mai staccato i piedi da terra. 

La situazione non è migliorata una volta seduta al suo posto, schiacciata da un uomo decisamente sovrappeso alla sua sinistra e un signore con una fortissima alitosi. Jo chiude gli occhi ed in quel momento si rende conto di quanto è fortunata nella vita. Non si lamenterà mai più per cose inutili e non darà mai più per scontato nulla. 

Nonostante la stanchezza ed il lunghissimo volo non riesce a chiudere occhio, complice lo scalo ad Istanbul e la miriade di emozioni contrastanti dentro di lei. È arrabbiata con Max per essersi intromesso nella sua vita sentimentale e per come non faccia nulla per farsi gli affari suoi; ha voglia di stare con Lewis, recuperando il tempo perso e fare pace dopo tanto tempo; vorrebbe anche convincerlo a viaggiare con lei per il mondo come facevano prima, perché alla fine sanno entrambi che loro due funzionano solo quando sono insieme. Separati non possono andare avanti, hanno bisogno l'uno dell'altra e mai come ora se ne stanno rendendo conto. 

Corre più veloce del vento per salire sul taxi davanti all'aeroporto di Nizza, evitando un'orda di turisti imbambolati al nastro trasportatore. Fortunatamente il viaggio da Nizza a Monaco è abbastanza lungo per permetterle di darsi una sistemata veloce e nascondere le borse sotto gli occhi e ravvivare i capelli, ma abbastanza breve da non darle tempo di pensare a cosa dire a Lewis. 

Raggiunge l'appartamento trascinandosi dietro la piccola valigia da viaggio, chiude l'ascensore del lussuosissimo palazzo in cui vivono e aspetta pazientemente che la porti all'ultimo piano. Appena entra dimentica il suo bagaglio in mezzo all'ingresso e si precipita a cercare Lewis in ogni angolo della casa, anche se di lui non c'è traccia. "Lewis?" continua a domandare al vuoto, senza ricevere una risposta. 

Controlla ogni stanza dell'ampio appartamento solo per confermare che Lewis non è in casa e non sta giocando a nascondino. Ritorna in salone, si accascia su una delle poltrone di pelle in fianco al divano e riprende fiato per qualche secondo, con tutte le intenzioni di aspettare il suo ragazzo e parlarci non appena varcherà la soglia alle sue spalle. "Sarà andato in palestra o a farsi una corsetta, non agitarti" continua a ripetersi nella sua testa, le dita a stropicciarsi gli occhi e le tempie per alleviare l'emicrania dovuto al lungo viaggio e al pochissimo riposo. 

Le bastano una manciata di minuti per tornare a respirare regolarmente e ad accorgersi della fastidiosissima lucina rossa della segreteria telefonica che lampeggia nel suo campo visivo. "Strano" pensa tra sé e sé "nessuno ci chiama mai a casa". Scuote la testa e preme il pulsante rosso, ignara di quello che sta per scoprire, mentre raggiunge la cucina per prendere un bicchiere d'acqua fresca.

Josefine aggrotta le sopracciglia e rimane spiazzata quando sente la voce metallica di una donna, di una certa dottoressa Milliet, che cerca Lewis e gli chiede di richiamarla il prima possibile. Jo sconnette il cervello e si blocca a fissare fuori dalla finestra le onde del mare che si infrangono sugli scogli in lontananza. La sua testa le sta giocando un brutto scherzo e ha collegato quelle poche informazioni allo scenario peggiore possibile. "Lewis è malato" è la prima cosa che le è venuta in mente. 

Non vorrebbe pensare al peggio ma l'ultima frase della dottoressa la preoccupano ancora di più e rafforzano maggiormente la sua teoria. "Deve parlarne con Josefine, non può affrontare tutto questo da solo, Lewis".

Il mondo si è fermato per qualche secondo, almeno per Jo. Non si ricorda come abbia fatto il bicchiere a trovarsi per terra, frantumato in mille pezzi di vetro sul pavimento, e l'acqua ad espandersi in una pozza tutt'attorno. <<Cazzo!>> impreca in preda al panico cercando di non calpestare né i vetri né l'acqua. <<Non è possibile...>> farnetica, prendendo uno straccio e pulendo alla meno peggio il disastro che lei stessa ha combinato senza nemmeno accorgersene. 

Ancora convinta che stia vivendo un brutto incubo, fa partire da capo il messaggio in segreteria, con la vana speranza che si sia immaginata tutto e che presto si sveglierà ancora seduta scomoda sull'aereo di linea che l'ha portata a Monaco. 

È a metà del messaggio, la dottoressa Milliet sta per ripetere l'ultima frase, Jo ha gli occhi pieni di lacrime quando la porta di casa si apre di scatto rivelando la sagoma di Lewis. Josefine si gira immediatamente, il viso pallido e le occhiaie profonde sotto agli occhi lucidi. Squadra Lewis, immobile sulla soglia della porta, lo sguardo pentito di chi sa che non può più mantenere il suo segreto. 

<<Sei tornata...>> sussurra lui chiudendo la porta dietro di sé ed appoggiando le chiavi sul mobile all'entrata. <<Cosa sta succedendo, Lewis?>> domanda Jo con la voce rotta, si mordicchia il labbro inferiore per trattenere le lacrime e non crollare davanti a lui. Lewis non risponde subito, prende un profondo respiro con le mani tra i capelli e lo sguardo colpevole. <<Cosa cazzo sta succedendo, non ho intenzione di ripetertelo>> stavolta la domanda suona come affermazione e il tono di Josefine diventa categorico. 

<<Non dovevi scoprirlo così>> inizia Lewis appoggiandosi di schiena contro il bancone di marmo della cucina, con le braccia incrociate come a fargli da scudo e un piede che batte nervosamente per terra. <<Scoprire cosa?>> lo incalza Josefine immediatamente facendo un passo verso di lui, ma rimanendo sempre a debita distanza. <<Quella che hai sentito è la dottoressa Milliet, sono in cura da lei da qualche settimana>> le parole di Lewis arrivano dritte al cuore di Josefine come una pugnalata. Lei rimane in silenzio, quasi spazientita dai giri di parole che sta usando Lewis, sa di non poter resistere ancora per molto prima di scoppiare definitivamente. 

<<Qualche settimana? Qualche settimana e vengo a scoprire che stai male solo ora? Per puro caso? Quando pensavi di dirmelo, eh?>> Josefine è un fiume in piena, è stanca, arrabbiata e ha bisogno di risposte, ha bisogno che il suo ragazzo le spieghi per quale motivo non si sia fidato abbastanza di lei per raccontarle quello che sta succedendo nella sua vita. <<Ho sbagliato, lo so>> si scusa Lewis subito dopo grattandosi la mascella coperta da un leggero strato di barba. <<Avrei dovuto dirtelo subito ma non è così semplice>> sospira, alla ricerca delle parole giuste da utilizzare. 

<<Dimmi che cos'hai, smettila con i giri di parole>> Jo incrocia le braccia al petto e perfora Lewis con lo sguardo, esasperata. <<Sono depresso, Jo>> ammette Lewis alzando per la prima volta lo sguardo dall'inizio della discussione. <<Sono perso, non ho più uno scopo, mi sento vuoto... come se tutto il mondo andasse avanti mentre io sono bloccato in un punto senza riuscire a muovermi>> Lewis è sull'orlo della lacrime mentre pronuncia quelle parole che per troppo tempo ha represso dentro di sé. 

Le lacrime solcano il viso di Josefine mentre mantiene lo sguardo su di lui senza sapere bene come sentirsi in questo momento. Fino a dieci secondi fa pensava che Lewis fosse malato, che le avesse nascosto che gli mancano pochi mesi di vita, il tutto perché il suo cervello la porta sempre a pensare al peggio. Ma questo scenario non è il peggiore. Per certi versi, anzi, è quasi un sollievo sentire che è "solo" depressione. 

Josefine si avvicina a Lewis e lo squadra in silenzio per qualche secondo. Nessuno dei due osa dire una parola ma Jo sa che è il suo turno di replicare. È arrabbiata con Lewis, vorrebbe dargli uno schiaffo per lo spavento che si è presa, ma si trattiene e gli mette entrambe le mani sulle spalle, in modo da attirare la sua attenzione. <<Pensavo fossi malato>> esordisce, deglutendo tutta la paura che aveva in corpo, e lo guarda dritto negli occhi. <<Ho pensato al peggio, Lew>> tira su col naso per ricacciare indietro le lacrime. 

<<Non farmi mai più una cosa del genere, mai>> sottolinea con una vena perentoria nella voce. <<Pensavo di perderti per sempre e io non posso vivere senza di te, okay?>> sposta le mani dalle spalle di lui fino alle sue guance, dove intrappola un paio di lacrime e le asciuga con i pollici. <<Mi dispiace, amore, non volevo essere un peso per te>> sussurra Lewis appoggiando la fronte contro quella di Josefine, che scuote la testa in segno di disappunto. 

<<Stammi bene a sentire>> gli prende il viso tra le mani ed inchioda il suo sguardo in quello di Lewis. <<Tu non sei un peso, non potrai mai esserlo, non per me. Affronteremo questa cosa insieme, ne usciremo più forti ma devi promettermi una cosa>> sfrega il naso contro il suo e si lecca le labbra senza togliere gli occhi dai suoi. <<Non mentirmi mai più, voglio sapere cosa ti succede, voglio aiutarti, sono la tua ragazza e stare insieme a qualcuno significa condividere ogni cosa, nel bene e nel male>> la voce di Jo, da minacciosa che era all'inizio, si è fatta via via sempre più rassicurante, senza però perdere quella vena tipica di chi sa di avere ragione.

<<Non puoi aiutarmi>> risponde Lewis con un sorriso triste dipinto sul viso stanco. <<Come potresti mai aiutarmi se il motivo per cui sto così è la tua vita?>> Lewis si stacca bruscamente da Jo, un po' per nascondere la vergogna e un po' per non essere nel raggio dello schiaffo che Josefine potrebbe dargli da un momento all'altro. <<Come, scusa?>> domanda retorica la ragazza, non perché non abbia capito - infatti ha capito benissimo - ma per dargli una seconda possibilità.

<<Non è colpa tua, è colpa mia>> Lewis inizia a blaterare, cercando invano di fare ordine nella sua testa, mentre cammina avanti e indietro per tutta la cucina. <<Voglio tornare com'ero prima, a girare il mondo insieme a te, a vincere con te al mio fianco, e dedicarti le vittorie, a sentirmi di nuovo un campione e non una persona qualsiasi>> a Josefine si spezza il cuore nel sentire quello che dice Lewis, e un po' si maledice per non aver intuito quello che lui stava passando in tutto questo tempo. 

<<Lascia che ti dica un segreto>> Josefine si avvicina a Lewis e lo blocca tra il bancone della cucina ed il suo corpo. <<Tu non sarai mai una persona qualunque, nemmeno se ci provassi davvero>> azzarda una lieve risatina che riesce a contagiare anche Lewis. <<Tu sei il mio campione>> conclude prima di lasciargli un bacio sull'angolo della bocca. Lewis la stringe tra le sue braccia, chiude gli occhi e si lascia andare ad un pianto liberatorio nell'incavo del suo collo. Josefine gli circonda le spalle e gli accarezza i capelli, lo culla come se fosse un bambino e gli lascia dei piccoli baci sulle tempie. 

E solo in quel momento Josefine che si rende conto che, per quanti posti abbia visto nella sua vita, è lì, tra le braccia i Lewis, il suo posto preferito del mondo.



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🤡 A VOLTE RITORNANOOOOOO!!! 🤡
lo so, non ci speravo più nemmeno io, invece eccomi qui ad un orario improponibile a pubblicare strayed 👀
quanto dramma in questo capitolo, ecco perché lo amo!
è passato troppo tempo, non so più come si fanno gli angoli autrice (come se prima invece fossi brava a farli lol)

fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo
vi lascio il mio Instagram (nowhereissafe_) dove possiamo parlare di tutto quello che volete e sono molto più attiva che qua 🥰

finalmente la bomba è stata sganciata, a presto 💣

non temete che questa è solo la punta dell'iceberg, Jo scoprirà tutti gli altri problemi di Lewis tra non molto 😈

✨ blessed ✨

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