a leopard can't change its spots

Lewis è seduto sul lettino, quell'odioso lettino che conosce da poco e al quale dovrà abituarsi in fretta. Sarebbe anche comodo se solo provasse a sdraiarcisi sopra invece di ostinarsi a starci seduto con le gambe a penzoloni e la schiena curvata in avanti. Si rifiuta di stendersi a pancia in su perché se lo facesse sarebbe come ammettere di essere malato, di aver bisogno di aiuto, e questo non è disposto ad accettarlo. Non del tutto. 

"Ha intenzione di dire qualcosa o vuole stare in silenzio per i 56 minuti che ci rimangono?" domanda la dottoressa Milliet con un sopracciglio alzato ed il suo immancabile quaderno per gli appunti in mano. "56 minuti?" ripete lui serrando la mascella, visibilmente infastidito. "Mi correggo, 57" precisa la dottoressa sistemandosi gli occhiali rettangolari sul naso. "È peggio di una tortura" sbuffa Lewis torturandosi le mani per ingannare il tempo e mascherare il nervosismo. 

"A me non fa alcuna differenza, vengo pagata lo stesso anche se sta in silenzio" la voce della dottoressa è calma e pacata mentre incrocia le gambe e fa scattare ripetutamente la penna che ha nella mano destra. "Può smetterla?" sbotta Lewis incrociando per la prima volta lo sguardo con quello della donna davanti a sé. Lei non abbassa gli occhi, in attesa di una reazione da parte del suo paziente. "Di fare cosa?" lo provoca, per cavargli qualche parola di bocca e non sprecare interamente la sua seduta settimanale. 

"Di darmi fastidio" risponde apatico Lewis, gli occhi ridotti a una fessura ed il fumo che esce dalle orecchie. "Perché è così nervoso?" gli domanda subito dopo, iniziando a scrivere qualcosa sul suo quaderno. Lewis si morde il labbro inferiore e distoglie lo sguardo, troppo orgoglioso per accettare l'aiuto di qualcuno che non sia se stesso. 

"Non sono nervoso" mente spudoratamente dopo una manciata di secondi fissando gli alberi fuori dall'ampia finestra dello studio della dottoressa. "Si vede che è totalmente rilassato" lo sfotte lei scuotendo la testa senza smettere di scarabocchiare qualcosa così velocemente che Lewis pensa che stia soltanto muovendo la penna sul foglio senza scrivere niente di sensato. "Starebbe più comodo se si sdraiasse" continua la donna senza degnare Lewis di uno sguardo. "Il lettino è fatto apposta per aiutare il paziente a parlare liberamente e a rilassarsi" gli spiega con il suo timbro di voce neutrale, quello che fa innervosire Lewis.

"Io non sono un paziente, non sono malato" Lewis continua a negare l'evidenza, inizia a chiedersi seriamente cosa gli sia saltato in mente a prenotare una seduta con la dottoressa Milliet. "Nessuno ha detto che è malato, signor Hamilton" gli risponde lei con tono materno. "Lo sa che non sono un vecchio decrepito vero?" domanda sarcastico Lewis, storcendo il naso dopo aver sentito come lo ha chiamato la dottoressa. "Fino all'altro ieri ero Lewis, ora sono diventato il signor Hamilton" gli scappa una risata, anche se di divertente c'è ben poco in questa situazione.

"Perché è qui, Lewis?" la dottoressa fa un secondo tentativo, con la testa leggermente piegata di lato ed uno sguardo indecifrabile sul volto. Lewis la guarda con la mascella serrata, con nessuna intenzione di rispondere davvero a quella domanda. Non vuole cedere, vorrebbe che qualcuno lo capisca senza il bisogno di parlare. "Non lo so perché sono qui, doc" risponde sarcastico alzandosi in piedi e avvicinandosi alla finestra per guardare fuori.

La dottoressa non aggiunge nulla, la sua esperienza le suggerisce di tacere e lasciare che sia il paziente stesso a farsi aiutare. Ed il solo modo per aiutare Lewis Hamilton è dargli tutto il tempo che gli serve per aprirsi spontaneamente e liberarsi dei suoi demoni. 

"Non pensavo sarebbe stata così" ammette Lewis con un filo di voce dopo una manciata di minuti di silenzio assoluto. La dottoressa Milliet si appunta qualcosa sul quaderno annuendo ad intermittenza, come se avesse già intuito quale fosse il problema dell'ex pilota di Formula 1. "La vita normale, intendo" si spiega lui, dopo essersi schiarito la voce. "È come se tutto il mondo fosse a colori mentre io in bianco e nero" continua, la voce ormai si è ridotta ad un sussurro e le frasi sono sconnesse tra loro. 

Lewis cerca di dar voce ai suoi pensieri che vorticano senza sosta nella sua testa. E, esattamente come nel suo cervello, escono dalla sua bocca sconclusionati e caotici. "Ero io quello a colori. Io non sono un'idiota in bianco e nero che vive nella normalità" scrolla le spalle e arriccia le labbra come se avesse appena bestemmiato. "Sa che c'è, doc?" si gira verso la dottoressa dando le spalle alla finestra ed avvicinandosi alla porta. "Le persone normali vivono nella normalità, un po' come lei" fa una breve pausa appoggiando la mano sinistra sulla maniglia. "Il fatto è che io non sono una persona normale" si porta un dito sul mento facendo finta di trovare le parole. 

Ammicca verso la dottoressa con un sorrisetto strafottente e conclude la frase guardandola dritta negli occhi, senza preoccuparsi di poter ferire i suoi sentimenti e fare la figura dello sbruffone. Non gliele importa niente. "Io sono eccezionale" dice con voce ferma e piatta, per poi abbassare la maniglia e sparire dietro la porta, lasciando la dottoressa Milliet da sola con il suo quaderno degli appunti colmo di annotazioni su un problematico e disperato Lewis Hamilton.



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buonanotte, genteeee 🦦
questo capitolo aveva bisogno del favore delle tenebre, non tanto per la lunghezza o la complessità, ma semplicemente perché è molto introspettivo e particolare.
questa immagine di Lewis dalla psicologa ce l'avevo in mente ancor prima di decidere se fare il sequel di trapped, ecco perché ci tengo tantissimo
come sempre voglio sapere le vostre opinioni, qui o su Instagram o da entrambe le parti, come volete 🤓 (nowhereissafe_) 

p.s. non preoccupatevi, non mi sono dimenticata di jo! in questo capitolo non c'era spazio per lei ma presto ritornerà, don't worry 

✨ blessed ✨

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