𝚝𝚑𝚎𝚢 𝚊𝚒𝚗'𝚝 𝚜𝚎𝚎𝚗 𝚜𝚔𝚒𝚗 𝚋𝚎𝚏𝚘𝚛𝚎
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Mi congelo sul posto.
− Che cosa? –
− Tu mi hai tradito, Tadashi. –
Non c'è coscienza nel suo viso, non c'è la solita pacatezza minacciosa. È... fuori di sé, immagino.
Indietreggio di un passo.
Porto la mano sul collo, sento il segno incriminato che sembra prendere fuoco mentre gli occhi di Tsukki quasi mi trafiggono.
È...
Non ho mai visto Tsukishima in queste condizioni.
Io e Tsukki abbiamo litigato per la prima volta in tutta la nostra vita un mese fa, quando mi ha lasciato.
L'unica.
Non si arrabbia mai con me.
Ho il ricordo vago dei primi tempi in cui stavamo assieme, lì credo che ci sia stato qualcosa che non andava, ma non ha colpito me, più Tsukki. Era lui quello freddo, quello scostante che non dimostrava, è stato lui a cambiare e ad evolversi, e io di certo non sono andato là a criticare o commentare la sua scelta.
Non ho seguito il suo cambiamento, mi sa che l'ho solo subito come tutto quello che succedeva prima.
La prima e unica volta che abbiamo litigato, ricordo di averlo pregato di non andare via. Ricordo che l'unico pensiero che frullava nella mia testa era che fossi un cazzo di fallito, un inutile stronzetto che non meritava nient'altro.
Ora, insomma, ora è diverso.
− Io e te non stiamo assieme, Tsukishima. Io non ho tradito nessuno. – rispondo, col tono di voce più calmo che posso.
Tira su gli occhiali sul capo, vedo le lacrime annidate ai lati degli occhi color dell'ambra.
− Come mi hai chiamato? –
Ingoio la saliva.
− Tsukishima. –
Quando siamo diventati... questo?
Io...
Credo che ci sia una distanza grande, fra noi due, ora. Noi che eravamo un duo, ora siamo due persone completamente diverse.
− Ti ho chiamato tutta la sera, ieri. Credevo che ti fosse successo qualcosa, rispondi sempre. Poi ti ho richiamato stamattina, oggi pomeriggio. Ho preso il treno prima di rendermene conto. – mi sento dire.
Cazzo.
Il telefono.
L'ho lasciato dietro quando sono uscito ieri sera e devo ammettere, a malincuore, che è l'ultima cosa a cui ho pensato fino ad ora.
− Non l'ho guardato. –
− Me ne sono reso conto. –
C'è tanto, qui in mezzo, condiviso e distrutto fra noi due, che mi sembra di soffocare. C'è una parte di me che vuole chiedere scusa, un'altra che vuole scappare, io rimango solo... fermo.
− Quando pensavi di dirmi che vai a letto con altre persone? –
Due parti di me si uniscono, nella risposta.
− Non sono cazzi tuoi quello che faccio, Tsukki. –
− Certo che sono cazzi miei! Hai fatto sesso con me l'altro ieri, certo che... −
Lo so che non se ne rende conto. Lo so bene, che non è cattiveria, la sua, ma confusione. Ci sono passato anch'io, Tsukki, nella consapevolezza di aver sbagliato tutto, so bene com'è.
− Io e te non stiamo assieme. Fare sesso non vuol dire stare assieme. –
Trema, credo.
Vedo che... non ha il minimo controllo di se stesso, che non riesce a darsi un senso, che dice le cose prima di pensarle.
Non è da Tsukki, questa cosa.
Ma credo che tutti abbiano un lato sopito che teme di essere tirato fuori.
− Chi cazzo te l'ha detta questa cosa? Dove l'hai imparata? –
Alzo le spalle.
− È così e basta. –
− Io credevo che... −
Le lacrime scendono, dai suoi occhi.
− Che mi... amassi, Tadashi. –
Mi si forma un nodo in gola, come una corda. Siamo in mezzo al corridoio, le persone ci stanno guardando e sono piuttosto certo che qualcuno sia anche uscito solo per poter ascoltare.
Calmo, calmo, calmo.
State litigando, capita.
Basta solo stare cal...
− E invece vai in giro a fare di tutto con chiunque. Io non capisco dove... −
− Che cosa cazzo hai appena detto? –
Urlo senza volerlo.
Urlo e sento me stesso sul punto di piangere. Sono uno che se si arrabbia piange, ci posso fare ben poco.
− Ho detto che... −
− Tu mi hai lasciato, Tsukki, tu! Mi hai mollato come un coglione, proprio tu. E ora vieni qui a farmi la morale? –
− Non volevo dire quello. –
La furia mi scorre nelle vene come fosse fuoco.
Io...
Io faccio anche un po' quel che cazzo voglio.
− E allora cosa volevi dire? Che non posso fare sesso con chi mi pare? Che devo tornare quello di prima? Che mi hai lasciato per me stesso ma che prima ero meglio? –
Lo osservo tirare su le mani, aprirle vicino al petto in segno di resa.
Rimango in silenzio.
− Sai che non è quello che penso. – dice, cercando di calmarmi.
Respiro.
− Penso solo che non sia stato gentile da parte tua. –
Alzo la testa prima di rendermene anche solo conto.
Lo guardo dritto in fondo agli occhi.
− Io mi sono rotto il cazzo di essere gentile, Tsukki. –
Rimane a bocca aperta.
− Tu sai cosa cazzo vuol dire essere "gentile" come dici tu? Vuol dire che alla fine fai sempre quello che vogliono gli altri. Mangi quello che vogliono gli altri, esci dove vogliono gli altri, ascolti quello che vogliono gli altri. –
− Io non ho mai voluto... −
− Io sono stato tutta la vita quello che volevano gli altri, Tsukishima. Tutta la vita. Sai che cosa cazzo vuol dire? –
Lo so, che la colpa non è sua. Lo so, che non vuole ferirmi. Ma so anche che io di essere remissivo, non sono più capace.
− Io non volevo che tu fossi diverso. – mi risponde, con un filo di voce.
Piange, ora, piange davvero.
E mi sa che sto piangendo anch'io.
− Io ti amavo per come eri, Tadashi, davvero. –
Lo so, lo so.
− È che ora ho paura di... non riconoscerti più. –
Quando sento queste parole, l'affetto che l'amore mi stava facendo provare, scompare totalmente. Diventa un deserto arido, il mio cuore, e sento solo e unicamente rabbia e delusione, dentro di me.
− Non mi riconosci perché sono un po' più sicuro di me stesso? Perché non mi vergogno di andare in giro? –
Apre la bocca per parlare, ma non glielo permetto.
− Perché faccio le cose che voglio? –
Si avvicina, io indietreggio.
− Perché ho imparato a dire di "no"? Perché faccio sesso con persone che non sono te? Perché fumo? Perché non mi vesto come un ragazzino insicuro? –
− Tadashi... −
− Perché non mi odio quando mi guardo allo specchio? Perché mi piace farmi guardare? –
Fa un passo.
Mette una mano sulla mia spalla.
− Perché mi sembra che non t'importi più delle altre persone, Tadashi. –
Indietreggio scostando il contatto.
− Non è che non m'importa degli altri, Tsukki. È che ora m'importa più di me stesso. –
Lo vedo bloccarsi sul posto.
− È questo che hai imparato stando da solo? Che essere liberi significa essere egoisti? –
− No, Tsukki, mi sa che non hai capito. –
La mia schiena batte contro la porta della camera.
Sono furioso.
E anche Tsukki è furioso.
Ma non è quella rabbia che c'era ieri sera nel corpo di Terushima, non è di quel genere che sembra volersi accendere come un fiammifero e bruciarti intero.
Questa è rabbia cattiva.
È la rabbia di due persone che si conoscono e sanno dove ferirsi.
− A me non frega un cazzo se ti sembro egoista o stronzo, è quello il punto. A me non frega un cazzo quello che pensi tu o quello che pensano tutti gli altri. –
Il suo viso è palesemente ferito, quando si gira.
− Oh, capisco. Ti frega solo del tuo nuovo ragazzo, ora, eh? –
Alzo gli occhi al cielo.
− Che risposta del cazzo. –
Tsukki è alto, altissimo, per guardarlo in viso devo piegare la testa. La luce del corridoio lo illumina in tutte le sue fattezze profondamente arrabbiate.
Lo vedo cercare di respirare tranquillamente.
− Te lo ricordi quando ti ho detto che ti avrei aspettato? – sibila, dopo un istante.
Non rispondo.
− Intendevo che avrei aspettato la persona di cui mi sono innamorato. Quella che amo ancora. E non sono certo ora che quella persona sia tu. –
La prima rottura me la ricordo bene, non è stata troppo tempo fa, in effetti.
Ho memoria, fissata a caldo nella mia testa, delle sensazioni che ho provato.
La più forte, la prima, era quella di essere totalmente impotente di fronte a ciò che stava succedendo. Di non poter decidere nemmeno per me stesso, di aver sbagliato qualcosa di così semplice come fare una scelta.
Ora è diverso.
Ora, mentre c'è il fuoco, fra me e Tsukki, io non sto a guardare prendendo quello che mi dice senza rispondere.
Ora ho il potere.
Fa male, più male, ora, perché se sei cosciente le cose le senti di più, ma mi sento più sicuro, e questo lo devo solo a me stesso.
− Mi stai chiedendo di scegliere, vero? –
Distoglie lo sguardo, lo abbassa per un secondo.
È pieno di persone qui, che mi guardano. C'è la ragazza che mi ha placcato prima in cucina, in fondo al corridoio, che ha le sopracciglia alte fino a metà della fronte, completamente in confusione.
È meno facile di quanto ti aspettavi, vorrei dirle.
È... complicato.
− Non sopporterei di sentirti dire che non vuoi più stare con me, ma non credo nemmeno di riuscire a continuare così, Tadashi. – mi risponde Tsukki, qualche istante dopo.
Respiro.
− Non mi avevi detto anche tu che uscivi con qualcuno? – brontolo, poi, di colpo, quasi per rinfacciargli l'ipocrisia di quello che ha detto.
− Mentivo. Pensavo lo facessi anche tu. –
Questa fa male.
Questa mi fa sentire come se l'avessi davvero tra...
No, cazzo, Tadashi.
Tu non l'hai tradito.
Tu non hai sbagliato e volendolo ipotizzare, c'era comunque un motivo. Anche solo il fatto che volessi farlo era un motivo. Tu hai aspettato senza sapere tutta la vita questo momento, quello in cui avresti avuto il potere di decidere per te stesso, ora non lo butterai via.
Combatti, Tadashi.
E non combattere né per Tsukki né per Terushima.
Combatti per te stesso, stronzo.
− Sei incazzato perché credevi che mentissi solo per farti ingelosire? –
− Insomma... −
− Eri davvero convinto che non avrei potuto trovare nessun altro oltre a te? Eri così convinto che sarei rimasto con te come un cane nonostante tutto? –
Prima che riesca a rendermi conto di cosa sto facendo muovo due passi verso di lui.
Piange, piango anch'io, e dentro di me qualcosa sembra essersi distrutto, ma non mi fermo.
Metto una mano aperta sul suo petto, lo spingo indietro, afferro la maglietta fra le dita.
− Tu mi hai lasciato, Tsukki. Io ero pronto a buttare via tutto per te e tu mi hai lasciato. –
− Lo so, ma... −
− Io non ero niente, prima che mi lasciassi. Ero una cazzo di comparsa nella mia stessa cazzo di vita. –
Non riprova a parlare.
Stringo più forte la maglietta, lo tiro verso di me.
− Ora io, indietro, non ci torno più. Quel ragazzino di merda che non sa cosa fare, io, non voglio esserlo mai, mai più. –
Piango così tanto che l'acqua delle mie lacrime sembra un torrente, sul mio viso, sulle mie lentiggini.
Anche Tsukki piange, come non l'ho mai visto fare, ma rimane in silenzio.
− Tu hai voluto dare inizio a questa cosa, l'hai fatto tu. Adesso cresci e prenditi le tue cazzo di responsabilità. –
Le ultime parole credo di urlarle nel marasma delle cose che stanno capitando a me, a lui, tutto intorno.
So che le penso, però, come credo di non aver pensato nulla nella mia vita.
Io non sono quello di prima.
Io sono diverso.
E di questa diversità, ora, non posso più farne a meno.
Lo lascio andare e le braccia, stanche, quasi morte, cadono ai lati del mio corpo.
Torno indietro, verso la camera.
− Non so se sono in grado di amare tutto questo. – lo sento mormorare, tra i singhiozzi, e mi sembra una stilettata, quella che m'infilza le costole.
Prendo fiato.
− Stai dicendo che non mi ami più, non è vero? –
Silenzio, un istante di silenzio.
− Non lo so. Credevo che saremmo rimasti insieme per sempre. Ho sbagliato, lo so, ma posso imparare. Io... Tadashi, io penso che... −
Mi volto per un attimo.
− Non lascerò che nessuno mi dica mai più come devo essere, non dopo la fatica che ho fatto. Nemmeno tu. –
Ci stiamo lasciando, non è vero?
Sento che...
Sento che questa, potrebbe esserlo davvero.
La fine di un'era.
− Mi stai spezzando il cuore, Tadashi. –
Mi giro.
Lo guardo in faccia.
Che bello che sei, Tsukki.
Quanto tempo ho passato, a ricercare quel tuo viso così elegante che ora sembra senza posa, come fosse l'unica ancora di salvezza della persona che ero.
Grazie, di avermi dato la scintilla per diventare il fuoco che non avevo il coraggio di essere.
Grazie, per avermi protetto.
Grazie, di avermi aiutato sempre.
Grazie, di avermi amato.
− Lo sto facendo per non spezzare il mio. – è l'ultima cosa che dico, prima di voltarmi verso la porta. Faccio per avvicinare la mano alla maniglia.
Non lo so, se sia finita.
Non ne ho idea.
Sono così...
Quando mi rendo conto delle parole che ho detto, mi sento solo come se avessi un grande mal di testa in mezzo alla fronte.
Non ho mai risposto a nessuno, nella mia vita.
Non con quella cattiveria.
Non con quella fierezza.
Non so...
Non so chi fosse quella persona che mi ha invaso mentre urlavo, pochi secondi fa, a qualcuno che ero convinto non sarebbe mai andato via dalla mia vita.
Ma quella persona mi piace.
Penserei di quella persona che è coraggiosa, perché dice quel che pensa.
Le direi che non ha niente da invidiare neppure all'egocentricità di Oikawa Tooru, le direi che niente la può scalfire, che è così forte, così orgogliosa.
Dopo qualche istante, ripreso un po' di fiato, mi giro di nuovo.
Tsukki è ancora lì, che mi fissa.
− Ti sei ripreso? – dice, con una stizza che riconoscerei fra mille.
− Pensavo di aver ancora qualcosa da dire. –
Quei venti secondi di plateale ritiro, però, non hanno permesso di collezionare i pensieri solo a me.
Tsukki è una persona affilata, tagliente, così lo descriverei.
È sempre stato quello con la voce pacata che dice le cose cattive che ti feriscono davvero, nella vita, un po' per difendersi e un po' per carattere.
Non lo fa apposta, ha imparato a controllarlo.
Ma credo sia un'arma che non ha mai abbandonato.
− Ti rendi conto della scenata che stai facendo? – mi dice, e sento le mie sopracciglia raggrumarsi fra loro in un'espressione di completa confusione.
Io?
− Tadashi, ascoltami bene. Io capisco le frasi ad effetto e il corteggiamento, ma siamo andati troppo oltre. Io ti amo, tu mi ami, smettiamo con questa cazzata e rimettiamoci insieme, su. –
Che?
− Non credo di avere tempo di star dietro a questa cosa ancora per molto. –
Questo, mi getta nel panico.
È...
Tsukki mi guarda dritto negli occhi col volto pieno di lacrime.
È deliberatamente cattivo con me, non è vero?
Lo sta facendo con me.
Su di me.
Perché vuole... ferirmi.
− Scusami? –
− Ho detto che mi sono stancato del tira e molla. Basta, Tadashi, basta. –
Il suo viso mi dice...
"Scusami, ma non posso fare altro."
Ma io, io posso fare altro.
− Ti stai mettendo a fare lo stronzo con me? Che cazzo ti passa per la testa? –
− Non sto facendo lo stronzo. Ti sto dicendo le cose come stanno. –
− Ah e le cose starebbero così, tu dici? Le cose per me stanno che tu te ne vai a fare in culo e io e te riparliamo dopo che ti sei calmato, Tsukishima. –
Si passa la lingua sulle labbra.
Biforcuta, la lingua.
− Non sono io che sto urlando. –
Mi fa male tutto. Il mio corpo, fa male tutto. Come se fosse diventato un livido esteso su cui qualcuno sta impunemente premendo le dita.
Basta, vorrei dire, basta.
Ma non mi spezzo.
− Tsukishima, in queste condizioni io e te non possiamo parlare. Se continuiamo così roviniamo anche quel poco che è rimasto, lo capisci? – tento, col tono più pacifico che riesca ad elaborare in subbuglio nelle sensazioni che non vogliono lasciarmi.
− Non insegnarmi a stare al mondo, Tadashi. Non sei nella posizione di farlo. Dovevo accompagnarti persino alla fermata dell'autobus fino ad un mese fa, non fare l'uomo indipendente con me. –
Fa... male.
− Tsukki, ti prego, smettila di... −
− Di fare cosa? Di dire cose che ho sempre pensato? –
Male, cazzo, fa male, così male.
− Non voglio che finisca così, voglio che parliamo e che troviamo un punto d'incontro e non voglio litigare, per favore, io... −
− La tua sicurezza di prima dov'è finita? –
Mi sembra di sgretolarmi.
Dov'è?
Ma c'è, c'è ancora. Chiedere di dialogare è una forma di sicurezza, la più alta.
E allora perché mi sembra di non averne più?
− Lo vedi che è tutta una messinscena? Un giochino per passare il tempo. Non c'è niente di male, sai. Ma ora mi sono stancato. –
No, Tsukki, la mia vita non è una messinscena, è molto di...
− Smettila. – riesco a dire.
− Di dirti la verità? Posso, tanto non cambia se non sono io a dirla. –
La verità, tu dici.
La verità.
Io...
Io la so la verità. Io sono adulto, sono maturo, sono diverso. Sono sicuro di me io, sono un bel ragazzo.
Non sto fingendo.
Non sono un...
− Ti ho lasciato io, è vero, ma ora voglio che ci rimettiamo insieme. Dov'è la parte difficile, esattamente? –
Non reggo.
Non reggo più.
Diventa tutto confuso, il fiato sembra mancarmi.
Piango, sto ancora piangendo, ma piango con la gola che si stringe. Coscientemente so cosa sta facendo. Si sta difendendo, e lo sta facendo nell'unico modo che conosce.
Ma io credevo di esserne salvo.
Credevo che con me non l'avrebbe mai fatto.
Far sentire piccola e ridicola una persona è una delle cose più meschine. La fai sentire folle, debole, la getti nel panico. E io sono sicuro di me, sarà pur vero, ma lo sono da così poco che ci sarebbe bisogno di un po' di pazienza, di delicatezza, non di certo della cattiveria nuda e cruda.
Tsukki ha distrutto le fondamenta che stavo costruendo, in questo istante, solo per ferirmi.
E non so come dovrei reagire.
Non me lo aspettavo.
L'unica cosa che riesco a fare, è parlare con la voce ridotta ad un filo.
− Vattene. –
− Non puoi mandarmi via se... −
− Ti ho detto di andartene. Ora tu ne vai o giuro su Dio che è l'ultima volta che vedi la mia faccia. –
Sibila, la lingua fra i denti.
Lo guardo con una difficoltà immane.
Non ha smesso di piangere.
Mi sta chiedendo scusa, con lo sguardo, lo vedo.
Ma quell'occhiata non le può cancellare, le parole.
− L'unico modo che hai per combattere la verità è cacciarmi, Tadashi? –
− Va' via. Vattene, prima di dire cose che non pensi. –
− Tu credi che io non le pensi? Ci sono una marea di cose che penso e che non ho mai detto. Vogliamo iniziare ora? –
Perché, Tsukki?
Perché non hai sorriso quando mi hai visto non cedere, prima?
Perché hai dovuto dimostrare una volta ancora che sono debole?
Alla cieca, come se nemmeno vedessi, mi giro.
Apro la porta, abbasso la maniglia, faccio per entrare.
Ma dalle parole non scappi.
− Penso che tu sia tanto bravo a far finta di essere cresciuto, Tadashi, bravissimo. Ma alla fine cosa stai facendo? Stai scappando dalle scelte un'altra volta. La verità è che forse, maledetto me, tu per scegliere non sei proprio tagliato. –
Respiro dalla bocca.
− Sei tenero, Yams, ma non sei forte. –
Entro, mi giro per chiuderlo fuori.
− Non sarai mai quello che ti pare. –
Il tonfo è sordo.
Scompare tutto.
Le gambe cedono, le ginocchia sbattono contro il tappeto, le mani aperte sul pavimento.
Piango così forte.
Perché?
Perché ti fai questo?
Perché ci fai questo, Tsukki?
Sei tu, quello debole, lo sappiamo tutti e due. Sei tu che non riesci ad andare avanti, sei tu che temi di perdermi, sei tu che non sei riuscito ad essere diverso.
Lo sai.
Lo so.
Perché?
Non ricordavo la tua cattiveria su di me.
Ma ora mi sembra di averle di nuovo, quelle immagini.
"Sta' zitto, Tadashi", dicevi sempre.
E mi ricordo anche il tuo volto quando sei venuto piangendo a dirmi che ti dispiaceva un giorno di punto in bianco, che volevi essere migliore, che volevi cambiare.
Sei tu, che sei tornato indietro.
Perché mi hai voluto fare del male?
Perché ne ho fatto a te?
Lo capisci, Tsukishima Kei, che se questo è quello che arriva quando i nodi vengono al pettine, io non sopravviverò mai?
Lo capisci che non posso difenderti ancora?
Ti amo, Tsukki, ti ho amato così tanto tempo.
Ma tu mi vuoi fare così...
Il telefono lo vedo, ora, sul letto.
Lo prendo a malapena.
Venticinque chiamate perse, un centinaio di messaggi. Mi chiede di rispondere, mi dice di tornare da lui, che gli manco, che ha paura.
Dov'era, quella persona, prima?
Perché ti sei fatto questo?
Tiro su con il naso, cerco di cacciare via le lacrime dal viso.
Le mie dita scorrono senza che io riesca a farci nulla.
E quando sento rispondere, è più il rumore tutto attorno che il "Tadashi?" che ricevo.
− Mi ha fatto male. Mi ha trattato male. – dico, con la voce che trema, singhiozza.
Silenzio.
Un attimo di silenzio.
− Ti ha toccato? –
− No. –
− Io lo ammazzo. Io vengo lì e gli stacco la testa. –
Sento altro casino, come di persone che ridono, che urlano. Penso stia cercando una zona più isolata per riuscire a parlarmi, ma continuo a non capire bene cosa stia succedendo.
So che sto piangendo e che non riesco a smettere.
Perché?
Perché, Tsukki, perché?
Io...
Sai quanto coraggio dovrò tirare fuori, ora, per riavvicinarmi? Sai che cosa mi hai fatto provare?
Avresti dovuto essere fiero di me per la forza che ho dimostrato non lasciandoti vincere, e invece hai fatto l'unica cosa che non avresti dovuto nemmeno pensare.
− È ancora là? –
− Non lo so. Sono in camera. – rispondo, cercando di scandire bene le parole.
− Avete litigato? –
Tiro su con il naso.
− Sì. –
− Che ti ha detto? –
Altro rumore, oltre alla cornetta, ma la sua voce, tesa, incazzata, arriva perfettamente lo stesso.
− Che sono debole. Che non sarò mai quello che mi pare. –
Silenzio.
Poi altra rabbia.
− Io lo ammazzo. –
− Lui non voleva, lo so, ma... −
− Tadashi, l'ha fatto. Non è se volesse farlo o meno, il problema. L'ha fatto. –
Non è così, lo so che non è così, Tsukki è delicato e fragile e...
− Ti vengo a prendere. – mi sento dire, poi.
− Sei sicu... −
− Ti ho lasciato da solo sapendo che sarebbe venuto, ho visto i messaggi che arrivavano. Volevo lasciare che avesse un'occasione anche lui perché non sono uno stronzo. Ma ora quell'occasione può ficcarsela nel culo. –
− Cosa? –
Sento il mio fiato balzellare senza un minimo di regolarità.
− Mi dispiace se non ti ho detto che ti stava chiamando. Non mi aspettavo che si sarebbe messo a fare... questo. Volevo solo che ti concentrassi su di me. È un male? Ti dà fastidio? Vuoi parlarne? –
Cerco di respirare.
Mi sembra lecito.
Urlarmi che sono un fallito in mezzo al dormitorio non lo è. Omettere che il mio ex mi stia chiamando mentre cerchi di conquistarmi, sì. Datemi dell'incoerente, ma credo sia piuttosto palese la differenza.
− Fa' in fretta, per favore. – decido di rispondere e basta.
Non voglio stare solo.
Ho paura, di stare solo.
Sono terrorizzato.
− Vuoi rimanere al telefono? –
− Non c'è bisogno, basta che ti sbrighi. –
Ho bisogno di due minuti da solo per cercare di tirare fuori tutto.
− Non voglio suonare stronzo, se così fosse scusami. Ma io, una cosa del genere, non l'avrei mai fatta, Tadashi. – mi sento dire al fondo.
E quello che vorrei rispondere è "lo so", ma chiude la chiamata prima che possa farlo.
Io...
Piango, perché piango ancora e non credo di riuscire a smettere.
Piango perché mi fa star male da morire, il modo in cui mi ha trattato, e mi fa star male da morire che sia arrivato per me anche quel punto.
Tsukki non era mai cattivo con me.
Credo di essere sempre stato esentato dalla sua cattiveria, perché di me era innamorato.
Ma ora...
Tsukki non mi ama più, non è vero?
E se da una parte il mio cervello urla "fanculo, amati da solo", dall'altra... parliamo di Tsukki. Parliamo del ragazzo che mi ha accolto e protetto per anni, di quello che metteva le cuffie per tornare a casa tutti i giorni lasciandole spente per sentirmi parlare tra me e me, che mi abbracciava d'inverno e mi prestava i vestiti.
Parliamo di Tsukki che ha detto di amarmi baciandomi la fronte un giorno come tanti, come se non ci fosse niente di strano, di impensabile.
Di Tsukki che combatte contro se stesso e i suoi taglienti meccanismi di difesa per darmi una mano, di Tsukki che può fallire.
Posso perdonargliela, una caduta, e lo so.
Ma quanto fa male?
Quanto?
Posso andare avanti col timore che ora questo io potrei viverlo un'altra volta?
Che possa deliberatamente guardarmi negli occhi e farmi sentire uno schifo quando faccio qualcosa che non gli piace?
Non credo di aver perso l'amore, io, nei suoi confronti.
Credo che le sue parole abbiano sgretolato la mia...
Fiducia.
La mia fiducia in lui.
Non so più, in questo momento, se di Tsukki posso effettivamente fidarmi.
Tiro su con il naso ancora ma davvero, non riesco a smettere di piangere.
Piango come non piangevo da un sacco di tempo.
Mi guardo di sbieco allo specchio.
Al liceo piangevo nei bagni. Ricordo che succedeva di rado, qualche volta soltanto, ma che... succedeva.
Piangevo perché mi sentivo inutile.
Inutile alla squadra, inutile a scuola, inutile in casa, inutile e basta.
Vedevo Kageyama e Hinata crescere e prendere in mano le redini della situazione sempre più spesso, volare e combattere sul campo d'ardesia fino all'ultima goccia di sudore in corpo, mentre li guardavo timidamente da dietro una linea.
Mi sentivo inutile.
Ed ero convinto che della mia inutilità, presto o tardi, si sarebbe stancata anche l'unica persona che sembrava apprezzarla.
La vita è ironica, a volte.
Chi l'avrebbe mai detto che non era dell'inutilità che si sarebbe stancato Tsukki, quanto del mio non averne più?
Chi l'avrebbe mai detto che mi sarebbe dovuta costare così tanto, la libertà?
Chi l'avrebbe mai detto che l'avrei voluta così forte da non riuscire a scende a patti con niente?
È ironica, ironica davvero.
Ero convinto di aver perso tutto un mese fa quando in realtà altro non ho fatto che capire che finché ho me stesso non mi serve nient'altro.
Finché mi do un po' di credito, non mi serve l'approvazione altrui.
Finché so quel che faccio, se sbaglio non è importante.
Quello che mi ferisce di più è la consapevolezza che Tsukki abbia tentato di distruggere tutto con le sue parole. L'idea che abbia visto il giardino appena sbocciato della mia sicurezza e che abbia voluto raderlo al suolo.
Fare sesso non equivale ad amarsi, su questo ora sono ferrato.
Ma distruggersi equivale a non farlo, e non ho dubbi.
Non me l'aspettavo, non che venisse, non di litigare, non che mi urlasse addosso.
Ma ricordo bene la sensazione della terra che manca sotto i piedi della prima volta che ci siamo urlati addosso, e capisco che il cerchio si sta chiudendo.
Devo scegliere chi farci entrare, nel mio cerchio.
E la prima persona sono decisamente io.
Mi tiro su in piedi con le gambe che tremano e le lacrime che scendono.
Mi chiederà scusa, appena riuscirà a capire.
Devo solo comprendere di lui se le sue scuse le voglio o meno. Se sento di averne bisogno o se posso gettarle via assieme alle mie insicurezze senza senso.
La parte di me che ama Tsukki, lo sento, è quella in subbuglio.
Non sa cosa fare.
Non sa a chi credere.
Non sa se fidarsi.
Metto il telefono in tasca, cerco come posso di infilare un paio di scarpe e metto al collo il laccio che tengo attorno alle chiavi.
Non ho il tempo di vestirmi bene.
Non me ne vorranno gli ospiti della festa.
Aspetto di fronte alla porta chiusa.
Non la apro.
Non voglio aprirla.
Non voglio vedere.
Perché so che ora direi di "no" a quel viso, che chiuderei un capitolo durato anni solo per la ferita che mi brucia nel petto.
Io sono molto più forte di te, Tsukki, ne siamo tutti e due perfettamente consapevoli, perché la forza sta nell'avere coscienza di se stessi, non sul giocare coi sentimenti altrui.
Mi asciugo il viso con il polso.
Dovrei prendere dei fazzoletti.
Guardo dallo spioncino per osservare il corridoio, mi sembra vuoto. Apro un pezzettino della porta e mi sembra di spiare lo spazio libero.
Vuoto.
Esco con le gambe che tremano.
La ragazza di prima è ancora là, mezza scioccata, in fondo al corridoio. Fa per aprire bocca ma scuoto la testa.
Imbocco le scale.
Scendo senza quella voglia di volare di prima, solo cautamente attento a non cadere o inciampare, facendo attenzione a chi mi sta attorno.
Mi guardano perché piango.
Ma non posso smettere.
Mi aggrappo al corrimano, supero l'ingresso, le porte scorrevoli si aprono, l'aria sferza come fosse fatta di ferro.
Prendo una boccata d'aria.
Fumo una sigaretta da solo, osservando le volute che tingono il nero della notte.
Una di quelle cose che sbaglio consapevolmente, questa. Essere adulti significa anche fare puttanate, ma farle sapendolo, e io lo so.
Non sono immaturo perché non faccio la cosa giusta.
Sono maturo perché so cosa sto facendo.
Il mozzicone lo butto nel cestino ed è quello, l'unico istante in cui mi sembra di sorridere.
Come mi aveva chiamato?
"Pericolo pubblico"?
La macchina si ferma nel parcheggio davanti al dormitorio che prende due posti invece di uno, la portiera sbatte, il respiro è affannato.
Vedo con la coda dell'occhio la ragazza – che sembra inseguirmi, ora che ci penso – di prima uscire al mio fianco.
Apre la bocca per chiamarmi.
Io vado in avanti.
− Tadashi! – mi sento chiamare, ma non è lei, è la persona che è uscita dalla macchina.
Corro.
Apre le braccia, mi ci butto a capofitto.
− Ora ti porto via, va tutto bene. – continua a dire la voce bassa, pacata, di qualcuno che mi stringe forte a sé.
Piango più forte.
− Va tutto bene. – ripete.
So che sto infradiciando la sua maglietta.
Non riesco a smettere.
Rispondo all'abbraccio come se potessi mescolarmi alla pelle e ai tatuaggi, all'odore di fumo, al suono strafottente della voce.
− Portami via. – riesco a lamentarmi.
− Ora ti porto via. –
Infilo il naso contro l'incavo del collo.
Sento le labbra che si appoggiano sulla mia testa, fra i capelli, le mani che tengono ferme le mie scapole, il corpo che mi accoglie.
Mi lascio andare.
− Erano tutte cazzate, lo sai? Tu sei la persona più forte che conosca. Puoi essere chi ti pare. Sono fiero di te, Tadashi. – sono le parole che mi mormora all'orecchio.
Sono quelle giuste.
Quelle che...
Quelle che servono a me.
Tiro su con il naso.
Prendo tutto quello che ho, lo raccolgo, pezzi e stralci e parti intere, e lo rimetto in ordine, in fila.
Io so cosa devo fare.
E so che è arrivato il momento di farlo.
− Grazie, Yūji. – dico.
Devo smettere di piangere. Devo finire le lacrime, smettere di piangere.
Ma poi... poi lo dirò.
Giuro che lo farò.
Devo farlo.
− Andiamo. –
Annuisco.
− Andiamo. −
Ormai, è solo più questione di... ore.
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➥✱ disclaimer :: la scena descritta è puro gaslighting. il comportamento di tsukki non lo etichetta automaticamente come una cattiva persona, ma quello che fa è un tipo di manipolazione e violenza psicologica molto comune che non dev'essere in nessun modo etichettato come "normale". se vi siete mai sentit* umiliat* da una discussione con qualcuno e se vi rendete conto che le vostre liti sono spesso trasformate in una scusa per schiacciarvi e farvi sentire ridicol*, state subendo gaslighting. proteggetevi, capite quanto valete, rifiutate le persone così.
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