𝚜𝚎𝚗𝚝 𝚑𝚘𝚖𝚎 𝚝𝚘 𝚌𝚑𝚊𝚗𝚐𝚎
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Sono sempre stato un tipo indeciso.
Indeciso nella mia grigia indecisione.
Mai sicuro di niente, mai certo di quello che volevo, sempre diviso in piccoli pezzi di incertezza che tentano di raggrupparsi a creare un disegno che alla fine risulta solo una fragile somma delle parti.
Non è che sia diverso, ora.
Diciamo solo che alla fine, quando sei una costante tensione di cose che ti piacerebbe fare e non fai, poi tutto si spezza e non sai cosa tu decida per te stesso.
Terushima è una di quelle persone che la tensione te la sciolgono con uno sguardo, credo.
Una di quelle che ti fa sentire come se qualsiasi decisione idiota tu possa prendere, con loro, sei al sicuro.
Per questo stiamo facendo... questo.
Perché ho dentro di me questo bisogno impellente di essere meno me, di essere meno Yamaguchi Tadashi il bravo bambino che segue le direttive come un cane, e un po' più la scoppiettante felicità della mia età.
Lo guardo dal basso.
Mani sulle mie spalle che spingono verso il divano, il suo corpo, che mi rendo conto ora essere ben più imponente di quanto avrei immaginato, che mi si preme contro.
Apro le cosce, incastro le gambe sull'incavo della sua schiena.
Sorrido.
− Allora? - chiedo, con una risata sottile nella voce.
Sbuffa.
− Ti detesto. -
− Non è vero. Mi adori. - scherzo, sporgendomi per strofinare il naso contro il suo.
Tira su un angolo della bocca, incastra il piercing fra le labbra giocandoci appena.
− Prometti che se facciamo qualsiasi cosa stiamo per fare poi non penserai che sono un approfittatore e che non mi odierai? - dice, dopo un istante, con una vena quasi speranzosa nella voce.
Capisco cosa le migliaia di persone che l'hanno frequentato vedevano in lui.
Oltre alla bellezza, che c'è ed è innegabile, ti... fa sentire completamente a tuo agio.
E con me... con me è dolce di una dolcezza non stucchevole, ma ingenua e delicata, che mi fa sentire tremendamente prezioso.
Tsukki mi faceva sentire prezioso, ma ho sempre pensato che fosse l'unico al mondo a pensare che come persona valessi qualcosa, che dovessi essere grato al cielo se c'era qualcuno ad apprezzarmi.
Invece Yūji, Yūji con i suoi tatuaggi e i capelli decolorati, Yūji che sa come si fanno le cose e accetta tutto, Yūji da quel punto di vista, è una scoperta.
La scoperta di un valore che credevo venisse da fuori, e che invece ora credo possa nascondersi dentro, dentro di me.
− Dipende da come te la cavi. Se sei un disastro non mi vedrai mai più un giorno della tua vita. - ribatto, ridacchiando.
Alza gli occhi al cielo.
− Non mi preoccuperei di quello, Tadashi. -
Sensuale?
Sensuale.
E anche qualcosa che diventa sempre più forte nella lista che non sapevo di avere di "cose da fare almeno una volta prima di morire".
Ad una certa immagino che sceglierò cosa ne sarà di me.
Ma anche vagare nell'indecisione, non potrebbe essere una buona idea?
− Allora fai quello che devi fare e non farti problemi inutili. - sussurro alla fine, sporgendomi.
I dettagli che ci circondano diventano sempre più marginali ogni secondo che passa, dalla consapevolezza che non siamo soli in questa casa, al fatto che stamattina ero da un'altra parte con un'altra persona a rifare questa esatta cosa, a baciare qualcun altro.
Marginali, lontani.
Anestetizzati, direi.
Ecco, sì. Yūji è un anestetico per il Yamaguchi problematico che sono, direi. Una di quelle persone che ti fa pensare che il resto si può mettere in pausa, alle volte.
Non so se sia positivo, in realtà, che comunque la vita va affrontata, alla fine.
Ma che male mi farà una distrazione ogni tanto?
Le scelte le rimandiamo, dai.
Baciarci l'abbiamo già fatto, ma quando sei come me, abituato da una vita breve a fare certe cose con una sola persona, sembra tutto nuovo.
Il modo in cui intreccia la lingua alla mia, il modo in cui il freddo metallico della barretta che gli attraversa la bocca si appoggia su di me, le mani e il profumo, la sensazione, sono tutti nuovi.
Braccia aperte, strette attorno al collo, maglietta contro il mio petto nudo.
Ancora non l'ha tolta?
Rimediamo.
Afferro l'orlo con le dita, stringo, tiro su, Yūji si stacca un attimo dalle mie labbra per aiutarmi a sfilarla.
La lancio dietro il divano.
Oh, miseria.
Non ha tatuaggi solo sulle braccia.
Li ha praticamente ovunque, sui fianchi e sugli addominali - che sono rimasti scolpiti anche dopo il liceo, devo dire - uno fra i pettorali, un altro che continua dalla spina dorsale e avvolge la vita.
Dovrei fermarmi a guardarli.
Lo farò, forse.
Dopo.
Mi tira su, questa volta, forse perché è preoccupato di schiacciarmi, forse perché preferisce vedermi su di sé, ma gli atterro cavalcioni l'istante dopo, il mio bacino che spinge contro il suo, la pelle che è bollente, nella temperatura frizzante dell'esterno.
Non mi chiede dove o se può toccarmi, a questo punto, fa e basta.
Quando una delle sue mani si infila dietro, sotto la cintura, dentro i pantaloni, stringe forte, un po' mi prende alla sprovvista, e il secondo dopo sento i suoi denti affondare sulle lentiggini chiare che descrivono linee gentili sul mio collo.
Non è che possa farci molto.
Sono un tipo... rumoroso, credo.
Diciamo che quando gemo... si sente.
E Yūji, cazzo, Yūji lo sente benissimo.
Yūji si stacca immediatamente con gli occhi spalancati, un rossore vivace che si accende sulle guance e un sorriso che assume una venatura... minacciosa.
− Cos'era, quello, Tadashi? -
Ok, sarò pure stato il grande discepolo di Oikawa Tooru per una mattina e mezza, ma non mi trasformerò nell'essere più disinibito del globo in sei ore.
Dunque, scontatamente, ribollo nel mio imbarazzo.
Sono piuttosto sicuro di arrossire, abbasso lo sguardo, mi mordo il labbro inferiore come a voler strappare qualche piccolo tratto di pelle pur di lasciar cadere la questione.
− N... niente. -
− Eh? Sicuro? -
Afferra il mio collo con una mano, sento il polpastrello appoggiarsi delicatamente sui contorni del morso che ci ha lasciato sopra qualche istante fa, si avvicina e la sua lingua è bollente contro la mia pelle.
Ci provo, ma non ci riesco, a trattenermi.
− Sei sensibile sul collo? - chiede, poi, ridacchiando con il naso sepolto nell'incavo della mia spalla.
− No... cazzo! -
Sono credibile? No, non sono credibile.
Non se cerco di negare e gemo ancora.
Ride, più sonoramente questa volta.
La sua voce è diversa, ora. È sempre maliziosa, penso sia una caratteristica imprescindibile di qualsiasi cosa riguardi quest'uomo che sembra la personificazione della sensualità, ma ora è più bassa e ferma, ha un non so che di impositorio e severo.
Sa che cosa sta facendo, benissimo.
Sa come far star bene me, lo sta facendo, sa di essere, in questo, assolutamente perfetto.
Il fascino di chi vive una vita come la sua, immagino, il fascino di chi è stato con tante persone ed è consapevole della propria bravura.
Scivola dall'altra parte del mio collo, affonda i denti un'altra volta, prima con delicatezza e poco a poco con sempre più decisione, la pressione che si accumula e accumula e...
Non tento nemmeno di trattenere la mia voce.
− E chi l'avrebbe mai detto che il piccolo Tadashi è una troia per i baci sul collo? -
Rimango di stucco.
Come... come mi ha chiamato?
Cazzo.
Perché ho caldo?
Perché mi piace?
− Scu... scusa? -
− Ti ho appena dato della troia. Che c'è, ti dà fastidio? -
Ehm, ecco, teoricamente.
Ma in realtà...
Vorrei mettermi a urlare. Non lo so, non ne ho idea, mi ha appena deliberatamente insultato, uno che queste cose se non fossimo in questo contesto una cosa del genere non la direbbe mai, uno come Yūji, uno che non mi giudica, uno che...
Ah, ma cazzo, è questo il punto.
Lui non giudica. Lui non le farebbe mai queste cose, se non stessimo facendo questa cosa.
Quindi...
Quindi va bene. Va bene perché è per svago, perché è una cosa tanto per, va bene perché si può provare e se iniziasse a darmi fastidio basterebbe dirglielo e le cose tornerebbero come voglio che siano.
Misterioso, il sesso.
− No, seriamente, io stavo scherzando. Ma se ti dà fastidio butto il mio degrading kink dalla finestra e ti chiedo perdono fino alla fine dei miei giorni. - dice dopo un istante, staccandosi e parlandomi con un tono onesto, non severo come prima.
− Degrading che? -
− Kink. Non sai che sia un kink? Ma come facevate sesso tu il palo della luce? No, un secondo. Non sei vergine, vero? -
Troppe domande in un troppo poco tempo.
Respiro.
− No, non so cosa sia un kink. Non vedo perché dovrebbe interessarti ma io e Tsukki avevamo una vita sessuale perfetta e no, non sono vergine. - rispondo, un po' sulla difensiva.
− Perfetta? Senza kink? -
Non lo chiede con cattiveria, solo con curiosità.
− Continuo a non sapere che cosa sia, un kink, Yūji. -
− Oh, giusto, giusto. -
Mi bacia la punta del naso, poi appoggia le mani sulle mie cosce e le muove dolcemente in alto e in basso, come per rilassare i miei muscoli tesi.
− Sono quelle cose un po' strambe che ti piacciono quando fai sesso. Io ho un degrading kink, per esempio, quindi mi piace essere un po' cattivo con le persone con cui faccio sesso, che so, una tipa con cui ho fatto sesso una volta aveva un rope kink, le piaceva essere legata, uno era esibizionista e gli piaceva farlo in posti pubblici e... −
− Tipo gli schiaffi valgono? - lo interrompo.
Yūji si blocca.
− Sì, si chiama impact play. Perché? -
Divento rosso, ma rosso davvero, non rispondo.
− Ti piaceva farlo con quello? -
"Quello" è Tsukki, immagino.
Dovrei iniziare a sgridarlo, Tsukki mi avrà anche lasciato, ma mica si merita di essere trattato così male.
− Un po'. -
Attimo di puro panico nel suo viso, come se stesse riarrangiando tutto il suo repertorio di azioni perfette, poi sorride.
Questa volta, non maschera.
Sorride in un modo deliberatamente predatorio.
− Vedi? Allora sei davvero una troia, Tadashi. -
Eccola, la mia occasione.
Posso davvero mettermi a fare questa cosa con Yūji, ora, questa cosa un po' fuori dagli schemi, e posso mettermi a farla senza rimpianti, credo.
− Forse. -
Quando ricominciamo a baciarci, non c'è nemmeno più un grammo di vergogna.
Stringe i miei fianchi fra le mani, schiaccia verso il basso il mio bacino, lo strofinio che diventa deciso, chiaro, e che mi fa decisamente gemere a voce alta.
− Questi versi che fai mi faranno impazzire. - commenta, fra un bacio e l'altro.
Parla lui, che ha la voce più sensuale sulla faccia del pianeta, un po' bassa e un po' roca, coronata da quel grattare della gola da fumatore che mi fa tremare le ginocchia.
− Voglio sentirli di più, su, fammi sentire. - chiede, poi, e non è una domanda, è un ordine, quasi.
No, senza il quasi.
Lo è e basta.
− Fammeli fare, allora. - lo stuzzico, che è aggressivo già in autonomia, ma immagino gli piaccia un po' di resistenza e forse anche a me piace.
Sperimentare?
− Cosa ho detto, prima? Troia. -
Ancora mi fa uno strano effetto, ma sempre meno intimidito e sempre più scoppiettante, nel sangue, sempre più caldo e coinvolgente.
C'è qualcosa di violento e brutale, nel tono di voce, che si sposa in maniera perfetta con l'immagine dello Yūji di tutti i giorni, corretto e gentile.
È come se diventasse un'altra persona, come se rivelasse un lato feroce della sua personalità che ha un qualcosa di primitivamente attraente.
Penso fosse questo, che intendeva, quando ha detto che era un po' "violento".
La cosa non mi dispiace.
Non mi dispiace affatto, devo ammettere.
Di nuovo, manipolandomi come se fossi una bambola di pezza sul suo grembo, senza delicatezza ma con attenzione a non fare nulla che potrebbe essere "troppo", mi spinge da una spalla verso i cuscini sul bracciolo del divano, il mio capo che ci si appoggia sopra, la pancia piatta e tesa nella luce del giorno che filtra dalle finestre.
− Quanto cazzo sei bello, però. - borbotta poi, fissandomi per un istante, e mi sento completamente nudo nonostante non lo sia, completamente alla sua mercè.
C'è qualcosa di bello, in una dinamica del genere.
− Se succede qualcosa che non ti piace me lo dici e io mi fermo, mi raccomando. - mormora poi, appoggiando le mani sul mio addome, lasciando scorrere le dita sulla superficie lentigginosa, piano, poi con più violenza.
Annuisco.
− Dillo ad alta voce, per favore. Voglio essere sicuro. -
Sorrido, che questo è inaspettatamente dolce da qualcuno che sembra essere tutt'altro quando fa sesso.
− Se succede qualcosa che non mi piace te lo dico. Anche tu, però. -
Tira su le sopracciglia.
− Cosa? -
− Anche tu. -
− Anche io che? -
Divento rosso, sul naso.
− Se succede qualcosa che non ti piace. -
Spalanca gli occhi, mi guarda per un attimo come se ci fosse qualcosa in me, qualcosa che non riconosco nel suo sguardo. Brillano, le iridi scure, brillano e il suo volto è sorpreso.
Nasconde quell'espressione l'istante successivo.
Ma non credo scomparirà molto facilmente dai miei ricordi, il modo in cui si sono piegati i tratti del suo volto.
− Sei... adorabile. -
− Io? Ma se l'hai detto tu per primo! -
Ridacchia piano, indietreggia, mi apre le gambe con le mani e si infila nel mezzo, il mento sopra il mio ombelico.
− Sì, lo so. Ma non me l'aveva... mai detto... nessuno. - farfuglia.
Appoggio una mano sulla sua guancia.
− E allora te lo dico io. -
Di nuovo, qualcosa che non identifico nei suoi occhi.
Intenso, stretto, pesante. Penso di averla già vista, questa faccia, su qualcun altro. Magari nelle fattezze eleganti e rigide di un'altra persona con cui queste cose le facevo prima.
Ed eppure mi pare che Tsukki facesse quella faccia solo quando mi diceva che mi amava.
Non credo di ricordare bene.
Meglio lasciar perdere, credo.
Meglio non pensarci, ora.
Mi bacia la pancia con affetto una prima volta, poi il modo di fare più deciso ritorna, con le mani che mi affondano nella carne fino a farmi quasi male.
Mi fissa dritto negli occhi, prima di lasciar uscire la lingua dalle labbra, la pallina argentata che brilla nella luce del giorno, e leccare una striscia umida dalla parte bassa del mio addome al centro, il freddo del metallo che mi fa rabbrividire.
Questo Yūji Terushima è uno svergognato.
− Poi tornaci, da quell'altro. Vedi se ti piace ancora. - dice, poi, prima di scendere con le dita sulla mia cintura.
È scorretto? Sì.
Ma cazzo se non è la cosa più sexy che qualcuno mi abbia mai detto.
Trattengo il respiro mentre apre la fibbia e slaccia la zip.
Non è una cosa che Tsukki faceva spesso, ma non perché avesse chissà quale pregiudizio o cosa, semplicemente perché c'era sempre qualcos'altro da fare.
E anche perché, nonostante sia piuttosto palese che mi piace stare sotto, sono uno che dà, piuttosto che ricevere, soprattutto da quel punto di vista.
Mi mordo il labbro quando Yūji infila le dita sotto l'elastico dei miei boxer e mi tremano le gambe quando, senza svestirmi, appoggia una mano sopra di me, che sono decisamente eccitato.
Dimenticavo di dire una cosa.
Ho una carica sessuale... che non ci si aspetterebbe da qualcuno come me.
Ho imparato con la relazione che ho avuto per così tanto tempo, che per me il sesso è una cosa imprescindibile. Mi piace farlo, mi fa star bene, mi dà quasi la dipendenza.
Da quando mi ha lasciato, l'ho patito?
Beh, se passi tre anni della tua vita a farlo come minimo quattro volte la settimana e ti ritrovi di punto in bianco completamente a secco, fidati, lo patisci.
E uno come me, che è abitudinario, persino in questo, lo patisce in particolare.
Per cui ora, teso da due settimane di completa astinenza, che ogni volta che mi passava per la mente l'idea di fare da solo mi tornava nei ricordi l'immagine di Tsukki e scoppiavo a piangere, sono come una bomba a orologeria.
E penso che in un modo o nell'altro, Yūji sappia esattamente quali tasti schiacciare per detonare questa enorme aggregazione di ansia dentro di me.
Mi scatta il bacino in alto, contro la sua mano, quando mi tocca, le labbra che si aprono appena, un verso che esce un po' meno maschile e un po' più acuto mentre cerco di nasconderlo affondando i denti sulla mia stessa bocca.
− Cazzo... − sussurro, il cuore che sembra potrebbe davvero saltarmi fuori dalla cassa toracica da un momento all'altro.
− Guardati, come sei ridotto. Avevi davvero bisogno di un po' di Yūji, no? -
Non rispondo, la domanda è retorica.
Forse no.
Preme più forte, schiaccia i miei fianchi verso il divano, mi guarda con un non so che di affilato negli occhi.
− Dillo. Di' che avevi bisogno di me, Tadashi, come un bravo bambino. - ordina.
Le sento ovunque le mani, ora, le sento che si inerpicano sulla pelle nuda, le sento che sono fredde contro il mio corpo che sembra sul punto di sciogliersi per la tensione che lo abbandona.
− Yūji... −
− Mi sembrava di averti chiesto qualcosa, Tadashi. -
Mi cade la testa all'indietro.
− Avevo... biso... −
La voce mi muore in gola quando sento un bacio sulla linea di peli chiari e sottili che collega l'ombelico al basso ventre.
− Dillo o mi fermo. - mi minaccia.
No, cazzo.
Tutto ma non quello.
Se si fermasse, sono sicuro che potrei anche rimanerci secco.
− Avevo bisogno di te... − riesco a elaborare, disperato da una parte ed eccitato dall'altra, in una trance che nemmeno so bene distinguere, ad ora.
Tira giù i boxer.
Dovrei essere in imbarazzo.
La nudità mi ha sempre imbarazzato.
Ho sempre guardato il mio corpo di sbieco, di sera, prima di farmi la doccia, nudo di fronte allo specchio.
Magro, per essere un ragazzo, mi sono sempre detto.
La linea dei fianchi è troppo tonda, le lentiggini sembrano disordinate e sporche, la pelle è chiara al punto di lasciar intravedere le linee bluastre delle vene sulle parti più sottili della sua tela bianca.
Ed eppure, con Tsukki non mi sono mai sentito brutto.
E devo dirlo, perché è vero, che nemmeno Yūji mi fa sentire a disagio. Anzi, ho quasi un bisogno spasmodico che lo faccia, che mi guardi e mi dica che sono bello, perché è intossicante il modo in cui lo mormora e la sorpresa muta con cui se ne rende conto.
Mi fa sentire potente, e potente è una cosa che non sono stato mai.
− Ora puoi ricominciare a gemere il mio nome. - mi concede, con un sorriso strafottente che mi fa arrossire.
Stringe le dita sulla mia erezione prima che io abbia il tempo persino di rispondere, la mia voce si libera in un miscuglio di parole incomprensibili.
Palmo contro di me, occhi sui miei.
Su e giù una prima volta, un'altra.
La mia schiena si inarca da sola, le labbra si spalancano, la testa cade indietro.
− Yuu... −
− Bravo, così, più forte. -
Ha una calma consapevole nei modi di fare, una tranquillità straziante e misurata che credo provenga da una solida esperienza.
Muove le dita su di me sapendo perfettamente che cosa e come lo sta facendo, pollice sulla punta che le mie gambe mi sembrano fatte di gelatina, anche il ritmo ha qualcosa di perfetto, nel suo essere teso, lento e proprio per questo persino doloroso.
− Yūji... −
− Che carino, che sei, Tadashi. -
Ha questo tono paternalistico e ironico, stronzo come se ti stesse giudicando ma adorante come se apprezzasse che sei lì, un misto così eterogeneo di tanti elementi che non so nemmeno dire come mi faccia sentire, alla fine.
So che provo tante cose, ognuna di quelle mi piace in un modo che non mi sarei aspettato da me stesso, e che la realtà mi sembra ovattata.
Quando lo prende in bocca, faccio davvero fatica a controllarmi.
Gelido, il piercing, liscio e rigido contro la mia pelle, in contrasto con il calore umido delle labbra.
E poi, il modo in cui mi guarda.
Lo sta facendo lui a me, ed eppure ha il comando in qualsiasi cosa stia succedendo, ha il controllo.
Si vede.
− Yūji! - ripeto, che penso gli piaccia sentirmi dire il suo nome, e penso anche che mi piaccia dirlo.
Piano, attraverso le labbra, contro il palato e in fondo, senza problemi e senza remore, lo sguardo fisso sul mio, stilettata dritta fino alle mie iridi.
È osceno, il modo in cui lo fa, ed è osceno lui, in ogni parte del suo viso.
Si stacca per riprendere fiato che si lecca persino le labbra.
− Hai davvero un buon sapore, bambino. L'avrei fatto prima, me ne fossi reso conto. - commenta, sorridendo a metà.
− Co... cosa? -
Alza un sopracciglio, chiedendomi con quel gesto di spiegarmi.
E chi ce l'ha il fiato per spiegarsi.
− Di cosa... dovevi renderti conto? -
− Vuoi la risposta vera o quella da sesso? - ribatte, la mano che ricomincia a muoversi su di me e lo sguardo fisso sul mio viso che si scioglie ancora.
Guardo il soffitto, tentando di controllarmi almeno per qualche secondo.
− Tutte... tutte e due. -
− Mmh. -
Di nuovo, lingua dalla base alla punta, lentamente, con una lentezza straziante, saliva contro di me e metallo freddo.
− Quella vera è che dovevo rendermi conto prima di quanto fossi bello, Tadashi. E simpatico, e carino, e dolce e un sacco di altre cose. -
Mi manca il respiro, non rispondo.
− Quella da sesso è che... −
Attimo di attesa che sembra durare un'era, sento il ritmo farsi più veloce, la pressione che aumenta e il sangue che scorre nelle mie vene come se fosse un torrente.
− Dovevo rendermi conto prima che sei una troia, Tadashi. -
E ancora, ancora, ancora, stessa sensazione incomprensibile e calda che non so cosa sia, ma avvampa dentro di me e incendia ogni cosa spegnendo la vocina interiore del mio imbarazzo e dando nutrimento ad una vena di me più malvagia e sensuale.
− Gemi più forte quando lo dico. Ti piace così tanto? -
Diventa tutto un'ondata, il piacere e le dita strette contro di me e il tono di voce e lo sguardo e il suo odore e la sua faccia e...
− Dillo ancora, Yūji, ti prego. - rispondo, senza inibizioni, la voce appena lamentosa agli angoli, sbattendo le ciglia.
Rimane fermo, di stucco.
− Porca puttana. - borbotta, dopo un istante.
− Ti prego, ti prego... − ripeto.
Deve piacergli vedere la gente pregare. Come lo chiamava? Un kink?
Potrebbe anche darsi che sia proprio io, la persona che gli piace vederlo pregare, ma figurati se uno del genere ha delle preferenze così specifiche, mi dico.
Vi state divertendo, ma non montarti la testa, Tadashi.
Increspa le labbra, mi guarda.
− Sei davvero una troia, Tadashi. -
Quando, l'attimo seguente, stringe le labbra contro di me, non so più cosa succeda e non so in che ordine.
Diventa tutto troppo.
Dalle sensazioni fisiche che sento così forti e distinte al calore che avvampa nel mio petto, lo sbocciare delle sue parole nella mia mente, il calore, la voglia e la tensione.
So che più diventa violento, più le dita affondano sulla mia pelle, più la stretta si fa cattiva, più accumulo.
E ad un certo punto, proprio quando mi guarda e sento la sensazione distinta della pallina del suo piercing scorrere lentamente contro la punta della mia erezione, mi spezzo.
Non avevo un orgasmo da settimane.
È... forte.
Forte che mi tremano le gambe, forte che la mia schiena si inarca in un modo quasi innaturale, forte che la mia voce danza priva di controllo nell'aria e mi escono le lacrime dai bordi degli occhi, forte che stringo le cosce attorno alla testa del ragazzo fra le mie gambe, forte che non capisco più un cazzo.
So che manda giù, so che si scosta da me con calma, so che mi accarezza i fianchi guardandomi riprendere fiato con lo sguardo fisso verso il soffitto.
Ma passano minuti interi in cui l'unica cosa che faccio è respirare.
Come non fossi capace di farlo prima, respiro e basta.
Respiro a pieni polmoni, il cuore che batte tanto forte da sentirlo rimbombare nelle orecchie, la vita che scivola via da ogni angolo di me.
Quando la visuale ricomincia a farsi nitida, non distinta ma quantomeno visibile, vedo con la coda dell'occhio Yūji che risistema le mie mutande e i miei pantaloni e non smette un attimo di muovere le dita sul mio fianco come per rilassarmi.
− Vivo? - chiede, quando mi vede sbattere le palpebre.
Non rispondo, scuoto la testa.
Ridacchia.
− Per oggi ci fermiamo. - dice.
Tento di lamentarmi ma fa no con la testa.
− Se te lo metto dentro mentre sei in questo stato, domani ti devo scarrozzare in giro con la sedia a rotelle, principessa. Non voglio avere questa responsabilità, ok? - scherza, tirando su le guance in una mezza risata che so essere solo ironica.
Ho le gambe molli.
E le ginocchia fragili.
E dopo... dopo l'orgasmo mi sembra tutto così... lucido.
Forse avevo bisogno di questo, forse avevo bisogno di spezzare il mio spirito per pensare con calma.
− Fretta. - borbotto, dopo un po'.
− Eh? -
− Ho avuto fretta. -
Spavento nel suo viso.
− In che senso? Vuoi dire che ti penti o che... −
− No, fammi parlare. Tirami su. - riprendo, allungando le mani verso di lui.
Le prende fra le sue, delicatamente tira su il mio torso e mi sistema sul suo grembo, una mano sulla schiena nuda e l'altra sul fianco, il viso esattamente di fronte al mio.
− Sono cambiato troppo in fretta. Ho paura di essere diverso, Yūji. - mi spiego, dicendo quella che è l'unica verità che temevo di riconoscere in queste ultime ore.
Ride, increspa il naso.
− Troppo poco, due giorni, per essere un'altra persona, eh? -
− Già. Però non mi pento. -
− Sicuro? -
Appoggio le labbra contro le sue.
− Io e te non stiamo insieme, e in questo non c'è niente di male. -
Riduce la bocca ad una linea.
− Obiezione, vostro onore. -
− Che? -
− Scherzo. -
Non so se stesse scherzando davvero, ma non ho la lucidità per elaborare la situazione e pertanto decido di lasciarla perdere, che sono troppo rincoglionito ora per pensarci davvero.
Mi bacia come per distrarmi, ed è in quel momento che mi rendo conto che contro di me c'è qualcosa di... rigido.
Oh.
Dimenticavo.
Anche lui ha un...
− Posso? - mi scappa dalle labbra.
− Naah, faccio da me. Tu sei stanco. -
Sporgo il labbro.
− Tu devi smettere di decidere per me, Yūji. Dai, su, fammi fare. Guarda che non sono così male, sul serio. - mi lamento.
Alza le sopracciglia.
− Mai avuto dubbi, su quello. Anzi, proprio l'inverso, forse. -
Spingo la sua spalla contro il divano, e con lentezza misurata scendo con un ginocchio per terra.
Mi tremano, le gambe, ma non mi fermo.
Anzi, non mi fermo finché non atterro sul pavimento, fra le sue gambe aperte.
Immagino che la visione gli piaccia, le sue pupille sembrano dilatarsi, e mi fissa con qualcosa di quasi irrequieto negli occhi.
− Non sto sognando, vero? - chiede, dopo qualche istante, quando appoggio una delle mani sulla sua coscia ancora calzata nei pantaloni.
− Fai questo genere di sogni, di solito? - scherzo, cercando di catturare ogni cellula di vita rimasta in me e metterla in azione.
Quando appoggio la mano sugli addominali, la pelle è liscia, calda, i disegni scuri prendono una forma delicata sulla carnagione abbronzata.
− Qualche volta. - mormora.
− Buono a sapersi. -
Appoggio una mano sul bottone dei jeans, li porta senza cintura, neri e scuciti in qualche chiazza distratta sulle gambe.
Quando lo slaccio lo sento afferrarmi dai capelli.
− Tadashi, sul serio, non devi farlo. -
Storco il naso.
− Che c'è, non ti va? -
Si rilassa, lo vedo che si rilassa, e le gambe sono improvvisamente più aperte, lo sguardo più di taglio contro di me.
− Scherzi? Certo che mi va. -
− E allora non lamentarti. -
Giù lentamente la zip, un centimetro alla volta.
Quando arrivo ai boxer scuri, capisco cosa intendeva prima.
Sì, se ci fossimo davvero messi a fare sesso, domani non avrei avuto minimamente l'uso delle gambe. Con Tsukki, di dimensioni, non mi sono mai lamentato, quindi ho un certo allenamento.
Ma ecco, credevo che Terushima se la cavasse peggio.
E invece se la cava eccome.
Mi accarezza la testa, fra le ciocche sottili, il pollice che traccia un disegno sulla mia fronte e lo sguardo che ha una venatura dolce.
− Puoi tirarli. - gli dico.
− Cosa? -
− I capelli. Puoi tirarli, se ti va. Mi piace. -
Ridacchia.
− Piccola creatura demoniaca, ecco cosa sei. -
Alzo le spalle.
− Probabile. -
Non so fare tante cose bene, nella vita, ma questo sì. Questo lo so fare bene.
Sapevo come farlo bene a Tsukki, in realtà.
Ma immagino che non sia poi tanto diverso.
Almeno spero.
Alzo gli occhi sui suoi, lascio che le ciglia folte sbattano aperte e chiuse mentre infilo una mano sotto le mutande, lo tiro fuori con calma e incollo lo sguardo al suo.
− Cazzo, sei uno spettacolo. - lo sento mormorare.
− Tu dici? -
Ok, potrebbe essere un po' difficile infilare una cosa del genere in bocca, mi rendo conto. Sono fuori allenamento, ho tutto il diritto di avere dei dubbi.
Ma lui l'ha fatto, prima, e l'ha fatto pure bene, quantomeno devo provarci, immagino.
Tiro fuori la punta della lingua, lo guardo intensamente quando la appoggio su di lui.
Gli cade la testa all'indietro, stringe improvvisamente più forte fra i miei capelli, quasi con cattiveria.
− Tadashi... −
Apro le labbra e, come lui qualche istante fa, lo prendo in bocca.
Tranne che ora sono io a far star bene lui, e per quanto senta che il controllo comunque non me l'abbia ancora lasciato, ho il potere.
E sembra piacergli.
Parecchio.
Rilasso le labbra, appoggio la lingua contro la parte bassa della bocca, respiro piano.
Poi lo spingo più a fondo.
Mi mancava, la sensazione. La gola che si distende e l'aria che sembra mancare nei polmoni, le lacrime che fanno capolino dagli occhi e un bruciore al fondo del naso, una persona che trema dentro di me, per me.
Lo prendo... tutto.
Forse sto strafacendo.
Dovrei andarci piano.
Ma...
− Oh, porca di una puttana, cazzo, Tadashi, cazzo, cazzo, cazzo... −
Sembra felice.
E chi sono io per trattenermi quando sembra felice?
Apro le dita sulle sue cosce, mi aggrappo letteralmente alle sue gambe, inizio a far salire e scendere la testa in un movimento pacifico e calmo.
Tranne che non c'è niente di pacifico e calmo.
C'era, forse.
C'era quando stava valutando cosa volessi fare.
Ma immagino che sia scattato qualcosa, dentro Yūji, quando mi ha visto prenderlo tutto completamente senza batter ciglio.
Qualcosa che è esploso nelle sue dita che si stringono forte fra le ciocche dei miei capelli, la sua mano che mi spinge in su e in giù con un po' più di enfasi di prima, il bacino che sale appena.
− Sei... cazzo. - ripete.
Lo prenderei in giro dicendogli che "cazzo" sembra essere l'unica parola presente nel suo vastissimo vocabolario, al momento, ma come tutti ben sappiamo, parlare non mi è proprio facilissimo.
E anzi, continuo, senza fermarmi.
Prendo minuscoli attimi di tranquillità giusto per respirare, e poi lo spingo dentro e fuori dalle mie labbra, la saliva che inizia a colarmi dal mento e la mia voce che vibra contro di lui, il suo corpo che si tende.
− Tadashi, Tadashi, se non ti fermi... sto per... − prova ad avvertirmi, ma se le faccio, le cose, le faccio fino in fondo.
E poi non poteva certo pensare di essere l'unico con qualche asso nella manica, no?
Lo lascio uscire, bacio la punta guardandolo e godendomi la sorpresa deviata nei suoi occhi, tiro fuori la lingua.
− Non ho alcuna intenzione di fermarmi, Yūji. -
Violenza cieca.
Controllo che si sfalda.
Mano che diventa di metallo, fra i miei capelli.
− Allora apri la bocca, su. -
Apro la bocca.
Forte.
Deciso, serrato, inevitabile.
Non ho più il beneficio di imporre un ritmo, quando prende la mia testa e ci fa quel che vuole, ma non penso di volerlo avere.
C'è qualcosa di bello, in questo essere usati da qualcuno che nella vita reale non si permetterebbe mai. Un piacere proibito e nascosto, come una vita parallela, un mostrare una parte di sé che nessuno conosce e che condividi nell'intimità solo con pochi, solo con lui.
− Dio, Tadashi, ancora, cazzo, ancora. -
Ed è ancora.
Ancora e ancora, e ancora, e ancora.
Ancora finché le lacrime non mi rigano il viso.
Ancora finché non lo sento chiamare il mio nome.
Ancora finché non ho, un'altra volta, quello che voglio avere.
Essere il nuovo Tadashi ha tante cose che mi spaventano, e avevo ragione, prima, quando ho parlato di fretta.
Forse dovrei rilassare questo mio cambiamento, essere meno impetuoso.
Due giorni fa piangevo per essere stato mollato e ora sono in ginocchio di fronte ad un altro, come se non ci fossero problemi, e forse qualcuno potrebbe, invece, nascondercisi in mezzo.
Fare le cose di fretta le rende troppo confuse.
Ma fretta o meno, decisioni o meno, so in questo preciso istante, so quando Yūji viene fra le mie labbra, che di questo non mi pentirò.
Che potrebbero essere sbagliate o moralmente dubbie, le scelte che mi hanno portato fino a qui, ma che questo, tra tutti gli approdi, non lo posso odiare.
Anzi, mando giù, mi beo del suono del mio nome che risuona in una voce bassa e gutturale, mi sento completamente adorato, in questa frazione di secondo.
E mi sento ancora più adorato quando, finito l'impeto di qualsiasi cosa Yūji abbia appena provato, mi tira su di sé l'ennesima volta, si risistema e affonda il naso nel mio collo, respira e sorride e ridacchia, come un ragazzo felice e basta, con spensieratezza, e calma.
Ho avuto fretta.
Ora lo riconosco, ora, senza tensione, lo capisco.
Ho dato troppa forza e troppa foga al mio cambiamento, devo ragionarci più su.
Devo dare una chance a Tsukki di farsi perdonare, devo dare una chance a me stesso di evolvermi, devo mutare e modificarmi nella stessa essenza di chi sono, ma devo farlo con i miei tempi e senza correre.
Anche se correre certe volte, come adesso, ti fa volare.
Anche se correre può essere divertente.
Ma mi merito di farlo piano.
E di sbagliare nella mia fretta quanto mi pare, come ora.
Che Yūji è bravo, bello e sessualmente decisamente la persona più capace che conosca, e soprattutto, non giudica.
Sotto questo frangente, è davvero... perfetto.
− Miseria. Miglior orgasmo della mia vita. - bofonchia contro la mia pelle quando il suo battito cardiaco è tornato normale.
Rido.
− Ma che dici! -
− La verità. Miglior orgasmo della mia vita, super raccomandato. Rifacciamolo. -
Non rispondo.
− Rifacciamolo...? -
− Penso di aver fatto una cosa sbagliata. - confesso, alla fine.
Sospira, non con rassegnazione, poi mi stringe più forte a sé.
− Me? Sono io la cosa... sbagliata? -
− No, no, davvero. Tu sei la cosa più giusta degli ultimi due giorni. È che fossero due giorni, il problema. -
− Te l'ho detto, io, che avevi fretta. -
Mi allontano di qualche centimetro per schiaffeggiarlo sulla spalla.
− E quando me lo avresti detto? -
− Ah, non mi ricordo, ma penso di averlo fatto da qualche parte. -
Ridacchio.
Poi scuoto la testa.
− Secondo te se la prendo con un po' più di calma inizierò a capirci qualcosa? -
Mi prende il mento fra le mani, mi guarda fisso negli occhi.
− Per quanto ho paura di cosa tu possa capire, immagino di sì. - risponde.
− Anche su Tsukki? -
Sembra come se l'avessi pugnalato, quando dico quel nome, ma fa finta di nulla, dopo il primo impeto di dolore.
− Anche di Tsukki. - garantisce.
Appoggio l'orecchio sul suo petto.
Penso che non lo rifarò, questo, per un po'. E se la prossima volta sarà con lui o con qualcun altro, che cosa succederà, che cosa potrebbe evolversi.
Sono indeciso, indeciso nella mia grigia indecisione, come all'inizio.
Ma questa indecisione, forse, ora, la odio meno.
− Grazie. - mormoro alla fine.
− Di che? -
− Di essere come sei. Di non giudicarmi e di fare questa cosa e poi fare finta che non sia mai successa e di esserci... immagino. -
− Dovrei dirti che non è saggio fidarsi di qualcuno che conosci da così poco, ma mi prendo il complimento e sto zitto. - ribatte, ridendo piano.
− Non sto parlando di "qualcuno", ma di te. Non so come andrà a finire questa storia, ma sono felice che ci sia finito anche tu di mezzo, anche se so che è egoista da dire. -
− Naah, anche io sono felice di esserci finito in mezzo. È divertente, tu, sei divertente. -
− Io? -
Batte una mano sull'osso del mio naso, percorre la linea con il polpastrello.
− Già. Sorprendente, te l'ho già detto, bambino. -
Sto per entrare in un periodo di riflessione, e lo so. Sto per abbandonare per un po' sia quello che ero prima sia questa cosa matta che sono stato adesso, sto per abbandonare il grigiore e la rabbia e cambiare ancora maturo e lucido e lontano, sto per allontanarmi, da questa vita così eccitante che mi confonde.
Questo mi ha aiutato a capirlo, che mi serve darmi tempo.
Questa cosa successa di fretta come se fosse uno spasmo, mi ha tolto l'impeto della volontà di cambiare me stesso.
Io non sono Oikawa Tooru.
Posso ammirarlo, ma non lo sarò mai.
È inutile chiedersi cosa farebbe lui, perché io e lui, alla fine, non collidiamo mica.
− Posso baciarti l'ultima volta? - mi sento chiedere dopo qualche istante.
Sorrido.
− Chi ha detto che sarà l'ultima? -
− Ho la sensazione che non lo faremo per un po'. E poi se ti rimetti con quell'altro mai più per davvero. -
Aggrotto le sopracciglia.
− Ecco, di questo dobbiamo parlare. Ho capito che non ti sta simpatico ma ha un nome, quindi per favore, ti pregherei di usarlo e... −
Mi interrompe con le labbra sulle mie, che si impastano nella lentezza calma del momento.
− Io tifo per te, Tadashi, ma tifo per te e basta. Degli altri non m'importa. - borbotta.
− E questo cosa dovrebbe dire? -
− Che continuerò a chiamare quello "quello". Sono sicuro che anche lui mi chiamerebbe "quello" se sapesse cosa abbiamo appena fatto, non biasimarmi. -
Oh, beh, in effetti.
Diciamo che Tsukki potrebbe più ribollire di furia e progettare una quindicina di piani diversi per far fuori Yūji in breve tempo, ma questo non ho intenzione di dirlo ad alta voce.
− Come vuoi, ma sappi che non mi piace. -
− Me ne farò una ragione. -
Indugio, prima di allontanarmi.
Indugio nel calore e nel profumo di un rifugio che non è durato tanto, alla fine, ma che mi ha mostrato lati di me che non conoscevo.
Devo pensarci su, e lo so.
E stamattina scherzavo, ma ora non lo faccio più.
Lo dico col cuore in mano, ora, con l'onestà e l'anima limpide,
Tsukki non è davvero l'unico contendente su cui devo ragionare.
Tsukki non è più il baluardo di una vita che immagino di avere.
Tsukki è un'opzione.
Terushima anche, a questo punto, lo è.
Ma non è questa, la mia centrale scoperta nel post orgasmo di primo pomeriggio fra le braccia di qualcuno che non mi sarei mai aspettato di stringere con questa enfasi.
Il punto di partenza, ora, lo riconosco chiaramente per quello che è.
Sono io.
Io e basta.
Non una struttura da rivoluzionare da un giorno all'altro, ma un'impalcatura delicata su cui lavorare con calma, pezzo dopo pezzo, con attenzione e premura.
Devo imparare a non dare a me stesso una chance nel senso di esplorare egoisticamente ipotesi che nella mia mente nascono solo dal rimorso di essere così, ma dandomi la possibilità di sperimentare e sbagliare con tutta la calma del mondo.
Devo crescere, e devo farlo da solo.
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