𝚖𝚢 𝚗𝚊𝚔𝚎𝚍 𝚋𝚘𝚍𝚢
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La prima cosa che arriva, è la mano al collo.
Si stringe in basso, a contatto con le mie clavicole, le dita che sembrano voler schiacciare la mia trachea ma egualmente attente a non farlo davvero che mi tirano in avanti.
La seconda, è la mano sul fianco.
S'inerpica contro la pelle nuda e strizza la carne chiara, tenendomi fermo.
La terza, sono le labbra.
Il sapore familiare e comunque sempre nuovo, fumo e metallo.
E l'ultima, la quarta, è la voce.
Mi schiaccia contro la sua spalla, come a volermi nascondere dagli sguardi altrui, e sistemandomi sul suo grembo sento quanto tesi siano in effetti i suoi muscoli.
Trema, forse di rabbia, forse di nervosismo, ma tremo anch'io.
− Levatevi dal cazzo, tutti. – lo sento sbottare, riferito alla sua adorante platea.
Vorrei guardare ma non me lo permette.
Mi tiene fermo, là, stretto e immobile.
Potrei pensare tante cose di questo suo atteggiamento, ma lo so, che cosa sta facendo in realtà. Yūji mi sta proteggendo.
Non so se la mia privacy o la mia reputazione.
Ma non ho bisogno di nessuna delle due.
Di privacy non ne ho mai voluta, nessuno parla mai di me e l'idea che qualcuno possa farlo, per quanto non dovrebbe essere così, mi manda su di giri.
E riguardo alla reputazione... perché dovrebbe rovinarmela farmi vedere con Yūji Terushima? No, cazzo, è un vanto. Una di quelle cose che le persone ti invidiano fino alla morte.
M'invidierei io stesso se non fossi qui con lui.
In ogni caso lo sento aspettare che la folla si disperda un po', si scusa educatamente col ragazzo che era seduto al suo fianco nonostante rimanga molto incazzato, li saluta quando se ne vanno.
E poi, secondi dopo, siamo da soli.
Relativamente da soli, che la sala è piena zeppa di persone.
Ma per quel che vale, da soli.
Faccio per staccarmi e cercare di guardarlo ma immagino che il mio potere, in questa situazione, sia proprio il non averne.
Mi prende il mento con una mano, lo abbassa, mi bacia prima che possa parlare.
Quando io e Yūji ci baciamo, è sempre famelico. Qualche volta è stato più dolce ma, in linea di massima, è sempre come se avessimo bisogno l'uno dell'altro per liberare una qualche sensazione sconosciuta che rimane sepolta dentro di noi.
Questa volta, però, famelico è riduttivo.
Mi sembra di sentire solo lui, di avere solo lui, che ci sia solo lui, dappertutto.
Mi stringe forte, forte da farmi male, le sue labbra vogliono le mie e le vogliono sempre di più, mi tira i capelli, mi tiene fermo, mi fa male e mi dà quello che gli ho chiesto.
Si stacca leccandosi le labbra.
Ha gli occhi che brillano e so perfettamente che non è gioia, quella vena luccicante che ci riluce dentro.
− Che cazzo sei venuto a fare, Tadashi? – è la prima cosa che mi dice.
Cerco di appoggiarmi un po' meglio sulle sue spalle.
− Volevo vederti. –
Ride.
− Potevi rimanere, invece di scappare come un figlio di puttana, se volevi vedermi. –
Non so cosa rispondere e difatti non lo faccio.
Mi sporgo per baciarlo ancora.
− Avevo ragione, quanto cazzo avevo ragione, Tadashi. Tu sei la peggiore delle troie, sbaglio? – mi dice davanti alla faccia, col tono scandito e tranquillo.
Mi sento avvampare.
− Dov'eri, stamattina? Dimmi dov'eri stamattina. –
− A Miyagi. –
− Con chi? –
Deglutisco, mi abbasso più forte contro le sue cosce.
− Con Tsukki. –
Stringe la mascella, distoglie lo sguardo come se non riuscisse a controllarsi per un attimo. Poi si passa una mano tra i capelli tirando indietro il ciuffo biondo e mi guarda ancora una volta negli occhi.
− Avete fatto sesso? –
− Sì. –
Mi stringe come volesse rompermi.
Si sporge verso il mio viso, affonda nell'incavo del collo, morde forte la carne come a volermi lasciare un segno sulla pelle.
− La peggiore delle troie, l'avevo detto, io. –
Tira fuori la lingua, lecca il morso che ha appena lasciato e quando il metallo freddo entra in contatto con la mia pelle che brucia, un minuscolo gemito lascia le mie labbra.
− Davvero, sono serio. Ieri sera eri con quello e ora sei qui a pregarmi di scoparti, vestito come una puttana mentre dici agli altri di allontanarsi da me. Te ne rendi conto, almeno? –
Lo guardo attraverso le ciglia che sembrano essere diventate ancora più pesanti, sul mio volto.
− Mi odi? –
Si morde l'interno della bocca come se fosse nervoso.
− Non ti odio, stronzo, è quello il problema. –
Mi avvicino ancora.
− Sei arrabbiato con me? –
− Cazzo, penso che sia piuttosto palese. –
Respiro.
− Puoi sfogarti su di me, lo sai. –
− L'ultima volta che mi hai detto che potevo sfogarmi su di te poi mi hai anche detto che avevi sbagliato e che avevi bisogno di tempo per pensare. –
Ah, me lo ricordo.
Ma mi ricordo anche che ero convinto che tutto andasse bene, che tutte fosse giusto.
Niente è giusto.
La vita non lo è.
Non vedo perché debba esserlo io.
− L'ultima volta sono stato un codardo. –
− Tu sei un codardo. –
Spalanco di più le gambe, appoggio le ginocchia più in alto, circondo il suo collo con le braccia.
− Insegnami la disciplina, allora. –
− Sei una troia. –
Mi lecco le labbra.
− Continui a ripeterlo, ma alla fine non fai nulla. Devo capire che non sei così arrabbiato, allora? O magari sei solo stan... −
La violenza con cui mi stringe i capelli e li tira indietro, non l'avevo mai sentita. Fa male, malissimo, ma mi fa sentire anche stranamente bollente, ovunque come se fossi fatto di metallo fuso.
− Non mi puoi parlare come cazzo vuoi, Tadashi. Non ci metto niente ad alzarmi e lasciarti qui da solo. –
Di più.
− Non lo faresti m... −
Mani sotto l'elastico della coda, testa indietro.
− Chiudi quella cazzo di bocca e sii grato al cielo che stia perdendo il mio tempo con te. –
Ancora, ancora, ancora.
Sento la mia gola che si stringe appena.
Non ci sono tante persone attorno a noi, quantomeno non molte a tiro d'orecchio, nonostante sappia che siamo al centro dell'attenzione, ma anche mi sentissero, non m'interessa.
Gemo il suo nome.
Gemo letteralmente il suo nome.
Vedo il fuoco dei suoi occhi infiammarsi ancora.
− Ancora. – chiede, e basta.
Lo rifaccio.
Lascia le ciocche verdastre del mio capo e infila la mano sotto l'orlo della maglietta, stringendomi la schiena verso di lui.
− Dici così bene il mio nome che stento a credere che tu ne stessi dicendo un altro qualche ora fa, Tadashi. –
− Stavo per dire il tuo, in realtà. –
Ho nascosto questo ricordo alla metà di me che ancora ama Tsukki perché, in quel momento, non avrebbe fatto altro che distruggerla.
Ma ora, ora che sono sfacciato, ora lo dico senza neppure vergognarmene.
Voglio bruciare.
E posso farlo solo se mi getto tra le fiamme.
Yūji spalanca gli occhi.
− Stavi scopando con quell'altro e hai chiamato il mio nome? –
Annuisco.
Il sorriso che gli si disegna sul volto è un misto di soddisfazione, arroganza e potere.
− L'avevo detto, troia. Fai tutto il delicatino indeciso con il tuo ex fidanzato con quelle stronzate sulle emozioni ma quando arriva il momento di spogliarsi pensi solo a me, eh? –
Non è esattamente così.
Ma allo stesso tempo...
Lo è.
Annuisco ancora.
− Chissà cosa direbbe, se ti vedesse ora. Eccolo, Yamaguchi Tadashi, che mi molla come un coglione mentre sono ubriaco e torna due giorni dopo a pregarmi di scoparlo. –
Umiliante?
Sì. Lo è. Ma... ho l'impressione che mi piaccia.
C'è, al fondo di me, la consapevolezza che se volessi dire "basta", potrei farlo senza rimpianti. Teru è incazzato, ma è Teru.
Forse è questo a rendere tutto così... eccitante.
− Mi dispiace, Yūji. –
− Ti dispiace? Potevi pensarci prima. –
Indietreggia con le braccia sullo schienale del divanetto, mi squadra dal basso in alto e poi appoggia una mano sulla mia coscia, come se fosse sua.
− Fammi vedere quanto ti dispiace. –
Arrossisco.
Mi chino verso di lui, strofino le labbra contro le sue, sento il respiro che si mozza, che salta e che trema. Appoggio una mano sulla guancia, piego il capo, lo bacio.
Risponde.
Risponde in un modo che mi fa sentire come se fossi fatto di burro.
Risponde come se fosse lui a subire, quando invece lui altro non fa che aspettare che mi meriti le attenzioni che mi sta dando.
Sembra mi stia facendo un dono, concedendomi questi minuti.
E sembra che voglia vedere cosa so fare.
Gemo contro le sue labbra, lo bacio ancora, ancora, ancora. Finché non mi rendo conto che il mio bacino non è più fermo ma si muove appena contro il suo e che ho il fiato che sembra non reggere più.
Mi stacco.
− Mmh, cedi di già? – commenta, cercando istintivamente più che con cognizione di causa, di avvicinarmi al suo viso.
− Andiamo via, ti prego. –
Alza un sopracciglio.
− Dove vuoi andare, tu? –
− Voglio stare da solo con te, per favore. – mi lagno.
Ride, poi il suo viso diventa ferreo.
− La festa è appena iniziata e vuoi già scappare? No, Tadashi, è pieno di persone qui, non vorrai togliere loro il beneficio di stare con... me. –
− Sì che voglio toglierglielo. –
Mi bacia ancora, mi stringe le gambe contro di sé.
− Impertinente. –
Mi tiro su facendo leva sulle ginocchia, i capelli che sono sfuggiti alla coda per la sua violenza di prima che ricadono dal mio viso al suo.
Le punte dei nostri nasi si toccano.
− Voglio che guardi solo me. – mormoro vicino alle sue labbra.
Risponde in un sussurro, piano, pianissimo.
− Io guardo solo te. –
Non rispondo e questa frase cade nell'aria come non l'avesse mai detta.
Appoggio la fronte contro la sua, lo bacio che circonda il mio corpo con le braccia e mi stringe come volesse farmi scomparire dentro di sé.
Qualcuno deve aver messo la musica, perché il ritmo mi entra nelle orecchie e batte a tempo col sangue che mi ribolle nelle vene, e sento l'odore del ghiaccio secco.
Chiudo forte gli occhi e mi concentro solo sul sapore delle labbra di Yūji che sanno di buono, sanno delle cose sbagliate che non dovresti fare, mi lascio avvolgere e tenere saldo.
− Ti prego, Yūji, ti prego. Ne ho bisogno. –
− Di cosa? –
− Ho bisogno di te. –
Sorride, sprezzante.
− Perché dovrei farlo? –
− Perché te lo sto chiedendo io. –
La vedo, l'espressione di rabbia che gli passa in viso, a metà fra il "che cazzo dici" e il "cazzo perché non riesco a dire di no".
Si cristallizza in un broncio.
Non sa cosa fare.
− So che sei arrabbiato, lo so bene. Mi dispiace, davvero. Non posso tornare indietro nel tempo e non posso cancellare le cose che ho fatto, ma ti prego, Yūji, ti prego, io... −
Si tira su in piedi trascinandomi con sé, mi molla a terra.
− Non sarà dolce e amorevole, Tadashi. Non lo sarà. –
Annuisco forsennatamente.
− Va bene, va bene, io lo voglio come lo vuoi tu, davvero. –
− Troia. –
Mi trascina lontano dal divanetto.
Quando punta all'uscita, mi blocco.
− Dove vai? –
− Fuori. –
− Fuori? –
Qualche altro passo di fronte con la mano stretta attorno al mio polso e la mascella serrata, finché non sono sulle scale che danno verso l'uscita.
− Io sesso con te, in un bagno pubblico, non ce lo faccio. Te l'ho già detto il perché. –
Mi si ferma il cuore, poi riparte.
− Io... −
− Andiamo da te. A casa c'è Futa che ha un periodaccio col sesso ultimamente. –
Sale le scale senza girarsi.
− Yūji, un atti... −
− Se mi devi rifiutare fallo ora, non ho tempo da perdere. – borbotta ancora, superando con me alle calcagna la porta d'ingresso e infilandosi nell'uscita.
− Yūji! –
Finalmente, si ferma.
Non si gira.
− Non eri tu che volevi che ti portassi via? – mi chiede.
Prendo fiato, respiro un paio di volte per tornare in me.
− Sì, Yūji, sì. Non ho nessuna intenzione di rifiutarti. Volevo solo dirti che non sei obbligato, assolutamente. –
Si volta.
− Secondo te io faccio cose che non voglio? –
− Non mi sembri convinto, tutto qui. –
− Pensavo che sarebbe stato... diverso. Ma è andata così e va bene lo stesso. Sono incazzato, ma va bene lo stesso. –
Diverso?
Come, diverso?
− Volevi qualcos'altro? –
Fa spallucce.
Sembra tante cose tutte insieme.
Sembra nervoso, sembra triste, sembra arrabbiato, ma sotto sotto anche felice che sia qui con lui, eccitato.
− Io volevo te, Tadashi. Ho sempre voluto te. E mi fa incazzare non averti. –
Tira fuori una sigaretta dalla tasca, mi guarda di sbieco e poi me ne infila un'altra fra le labbra.
− Guardami, cazzo. Guardami, Tadashi. Chi cazzo sceglierebbe quell'altro al posto mio? –
C'è una cosa che ho sempre amato negli uomini. Una cosa che non dovrebbe piacermi ma che, devo ammettere, mi fa venire le ginocchia molli e il fiato corto.
Una che non si sposa con tutti, anzi, quasi con nessuno.
Non mi piacerebbe in uno sconosciuto, non in un ragazzo qualsiasi.
Questa cosa, peccaminosa e sbagliata, è l'arroganza.
E mi piace solo in Yūji, perché è perfettamente controbilanciata da un carattere d'oro, da un rispetto che non troverei da nessun'altra parte, da un mare di caratteristiche dolci e comprensive.
Trovo l'arroganza di Yūji che mi dice di essere il migliore, attraente, magnetica.
La trovo perfetta, sboccata, violenta.
Come lui.
− Sei meglio tu? – chiedo, aspettando che mi accenda la sigaretta fra le labbra.
− Per te, sì. –
− Sei sicuro? –
Mi strattona dal bordo del top verso di sé, stampa le labbra sulle mie.
− Sì. –
Si accende la sigaretta e prende un tiro, poi, più dolcemente di quanto mi sarei aspettato, prende la mia mano e inizia, finalmente, a camminare al mio fianco.
Rimaniamo un po' in silenzio.
Mi schiarisco la voce.
− Ti sei tagliato i capelli? –
− Mh-mh. –
− Come mai? –
Qualche altro passo in linea retta, le sue dita stringono saldamente le mie, come avessero paura di vederle sgusciare via da un momento all'altro.
− Quando sono in ansia le due cose che mi rilassano sono fare sesso e farmi tagliare i capelli. Anche mia madre ma non si può dire che mi rovina la reputazione da cattivo ragazzo. – borbotta.
Ridacchio.
− Sei un tenerone, sotto tutti quei tatuaggi. –
Cammina ancora, in silenzio.
Poi prende aria.
− Mi hai ferito, Tadashi. – dice, infine.
Vedo il profilo del dormitorio prendere forma in fondo alla via, la notte illuminata dai lampioni, l'arancio acceso del fuoco che brucia il tabacco al fondo della mia sigaretta.
− Lo so. – rispondo.
− Non riesco a capire dove ho sbagliato. Non so che cosa ho fatto di male, davvero. Sono arrabbiato, così arrabbiato, perché ho fatto tutte le cose giuste e tu comunque preferisci quella testa di cazzo a me. –
Prendo un altro tiro profondo.
− Lui è il mio migliore amico, una parte di me lo amerà sempre. – spiego.
− Ma io... −
− Fammi finire. –
Spengo il mozzicone contro un cestino della spazzatura, lo butto dentro.
− Il problema grosso è che non so se quella parte di me sia effettivamente... me. Non lo so più. Non so proprio chi sono. E l'unico che mi abbia mai fatto sentire diverso da quello che credevo di essere, sei tu. –
Osservo una minuscola rughetta formarsi al lato della sua bocca.
− Non so chi sono ma sento che lo scoprirò a breve. Per quel che vale, volevo sapere com'è essere un po' quella versione e un po' questa. Se non ti va di starmi dietro, non devi. –
Siamo davanti al dormitorio, quando mi fermo.
Inclina la testa.
− Alla fine della serata ci ridiciamo chi sta dietro a chi. – scherza.
Si china appena, per baciarmi.
Quando si stacca la rabbia di prima è un po' là, un po' svanita, un po' sottopelle.
− Mi dispiace di essere stato cattivo, prima. So che ho il diritto di essere incazzato ma non vole... −
− Mi è piaciuto, Yūji. Mi è piaciuto da matti. Non scusarti. –
Alza le sopracciglia.
− Tch, l'avevo detto io. –
Si avvicina al mio orecchio e sussurrando appena aggiunge quell'aggettivo che sembra trovi così calzante nei miei confronti.
Ovvero, per la millesima volta, mi dà della troia.
− Se succede qualcosa che non ti piace devi... −
− Te lo dico, te lo giuro. Non penso che sarà il caso ma lo faccio. – taglio corto.
Sbuffa.
− Non fare il saputello. –
− E tu non farmi aspettare. –
Ridacchia, prima di trascinarmi dentro.
− Non so quale versione di te tu sia adesso, ma questa mi piace particolarmente. – scherza.
Le ragazze che ho incontrato prima con il responsabile degli studenti, a quanto pare, non s'erano sbrigate più di tanto.
Diciamo che se prima si stavano preparando, ora sono decisamente pronte. Pronte per uscire e cercare qualcuno che è qui.
Sono all'ingresso del dormitorio, una per lato a quel viscido che non vedevo da mesi, che sorridono e chiacchierano e, quando mi vedono, si bloccano.
No, direi che si bloccano quando vedono chi c'è con me.
− Yūji Terushima? – vedo una delle due mimare con le labbra all'altra.
− Yūji Terushima! – risponde l'amica.
In tutto questo, Eisuke, guarda dritto per dritto me.
− Yamaguchi Tadashi? –
E festival del chiamarsi per nome sia, credo.
Di nuovo, educatamente, sorrido. Non vorrei fermarmi ma lo faccio lo stesso, con Yūji al mio fianco che allo stesso modo saluta chinando il capo.
− Pensavo di averti già detto prima cosa pensavo di te. – commento, di fronte al responsabile che mi segue con lo sguardo.
Penso seriamente di aver ben specificato la parola "viscido" alle sue orecchie, quindi, che cosa vuole da me?
− Volevo scusarmi ma... non credo di doverlo più fare. Uno che esce con Yūji Terushima non può di certo giudicare me. – sbotta.
Le sue amiche si girano quasi incredule, come se avesse bestemmiato. Non credo fossero poi tanto amici, a ragion veduta.
So comunque che Teru s'irrigidisce per un istante e poi diventa subito più rilassato, dominante.
Yūji, nel rapporto con gli altri maschi, ha un'aura che incute timore e rispetto, e non è per la bellezza né per il fatto di potersi portare a letto la qualunque, più per un suo proprio modo di fare.
Ho sentito che solo altri maschi parlano male di lui, principalmente, credo, per invidia, perché una persona come lui non puoi odiarla neppure volendolo.
È popolare, che lo sia è anche palese, visto com'è e cosa fa, ma non lo è immotivatamente, lo è perché lo adorano tutti.
A difendere chiunque sia per un qualche motivo trattato come più debole, alla fine, c'è sempre lui. Dicono che tutti abbiano il numero di Yūji Terushima, non per il sesso, ma perché è la persona che ti aiuta quando nessuno sembra volerlo fare.
Yūji è quel genere di ragazzo che s'impegna per gli altri, che ama la vita e che combatte a spada tratta per il solo principio.
Più ci penso e più mi viene, stupidamente, da sorridere.
− Senza offesa per la signora che non metto in dubbio sia una donna meravigliosa, ma anche tua madre preferirebbe stare con me che con te, Eisuke. – risponde.
Sto per scoppiare a ridere.
La faccia del responsabile me lo impedisce.
− Te ne sei trovato un altro, eh? Cos'è, il quarto della serata? Il quinto? –
Alzo le spalle.
− Sicuramente l'ultimo. – commento.
− L'ultimo? Ti ha detto questo? –
Schiocco la lingua.
− No, l'ho detto io. –
Le ragazze passano con gli occhi completamente sgranati da me al responsabile a Yūji che sorride con la faccia da schiaffi più impunita che abbia mai visto.
− L'hai sentito il ragazzino? – mi sento incitare da Teru, che mi appoggia tutto fiero una mano sulla spalla.
Eisuke deve sentirsi minacciato, immagino, perché indietreggia.
− I tuoi amici fenomeni da baraccone dove li hai lasciati? – commenta, col tono sprezzante.
Ok, no.
Puoi toccare Yūji.
Puoi toccare me.
Puoi toccare chi ti pare.
Non puoi mettere le tue mani da lurido verme su quei due ridicoli e inaspettatamente adorabili angeli di Bob e Futa.
Yūji s'irrigidisce e questa volta, rigido, ci rimane.
− Scusami? –
− Sì, l'asessuato e il ritardato, dove sono? –
Ora lo attacca al muro.
Lo ammazza.
Lo distrugge.
Ma no, Eisuke, schifosa faccia da culo, non ti permetto di rovinare il mio, mio momento con Terushima con le tue battute da invidiosa serpe.
Metto una mano sulla spalla del ragazzo che è al mio fianco.
− Lascia perdere, Yūji. Abbiamo da fare, io e te. – mormoro, cercando di tenere il tono più calmo e sensuale possibile.
Inaspettatamente funziona.
All'incirca.
− Asessuale e dislessico. Su, ripeti con me. Asessuale e dislessico. – intima.
Eisuke non dà cenno di cedimento.
− Dai, Yūji, andiamo, ti prego. – riprovo.
− Sai che insultare i miei amici non renderà il tuo cazzo più grosso, vero? Lo sai? Non è mica colpa loro se il genere femminile ti trova aberrante. –
Nascondo una risata.
− Che cosa cazzo... −
− Mi dispiace che tu non sia in grado di far avere un orgasmo ad una donna, dev'essere difficile. Se vuoi un giorno o l'altro ti insegno, così magari smetti di essere così frustrato. –
Sto per scoppiare a ridere, davvero.
Eisuke è viola.
− Smetti di... −
− Ti piacerebbe, essere come me, non è vero? Guardami, sono qui col tipo che volevi portarti a letto tu, le tue amiche mi sbavano davanti e dove vado la gente mi adora. Ti capisco, sai? Anch'io quasi quasi vorrei essere come me. –
Si avvicina di qualche centimetro.
− Il segreto è essere una persona decente. E il cazzo grosso, ma quello non posso dartelo io. –
Mi guarda, mi sorride, mi prende per mano.
− Potrei anche dartelo, in realtà. Ma non sei tanto il mio tipo. Andiamo, 'Dashi? –
Rido sul serio.
Questa volta, rido sul serio.
Camminiamo nel corridoio che sto ancora ridendo, la sua mano mi scorre dal fianco al culo, sistema il taglio sui pantaloni.
− Buonanotte, ragazze! Fate attenzione alla festa, c'è un po' di gente che non ho mai visto, andate in giro assieme. So che è una merda ma non vorrei vi accadesse qualcosa di brutto. – dice poi, alla fine.
− Grazie, Terushima! –
− Di nulla! –
Scuote la mano da dietro, mi avvolge più saldamente e con le voci incazzate delle amiche al cretino che Terushima penso abbia appena, obiettivamente, ucciso, tutto ricomincia, lentamente, a scomparire.
Arriviamo di fronte alla mia porta che non ho smesso di ridere.
Mi schiaccia al muro, come ha fatto un po' di tempo fa, mi sorride e, poi, mi bacia.
Sa di fumo ancora di più, ma sa anche di qualcosa di gioioso e giovane e spensierato.
− Mi hai chiamato "il tipo che voleva portarsi a letto"? – chiedo, quando mi stacco, con il sopracciglio che scende a capofitto sul viso.
Si gratta la nuca.
− È stato brutto, è vero. Ma sono ancora incazzato con te, ho deciso che andava bene. –
Sbuffo.
− Ti parte l'embolo quando parlano di Bob e Futa, di' la verità. –
Impasta le labbra fra di loro, mi prende il viso con una mano, l'altra la tiene sul muro per chinarsi verso di me.
− Di Bob, di Futa e... di te, credo. –
− Di me? –
Annuisce.
− Quel figlio di puttana ti guardava come se fossi un oggetto. Quella gente mi fa schifo. – borbotta.
Alzo una spalla.
− Come vuoi. –
− Se fosse come voglio il mondo sarebbe un posto migliore e... −
Tiro il colletto della sua maglietta verso di me, premo le labbra contro le sue.
− Possiamo combattere le discriminazioni domani e tornare incazzati col mondo, per favore? –
Ridacchia.
− Fai strada. –
Tiro fuori le chiavi, gliele porgo.
− Fai tu strada. –
Alza gli occhi al cielo.
Mentre si schiarisce la visuale per cercare di infilare la chiave nel punto giusto senza pugnalare il povero legno della mia porta, attiro la sua attenzione con un accenno di risata.
− Che c'è? –
− Hai presente quando mi hai chiesto che versione di me fossi, prima? –
− Mh-mh. –
La porta si apre.
Yūji entra, entro io.
La porta si chiude.
− Penso di essere la versione troia di me stesso. Come ti suona? –
E questa volta, beh, questa volta vedo il fuoco.
Vedo le fiamme che brillano nel suo sguardo, pure, semplici, rosse fiamme.
− Mi suona molto bene. Benissimo, in realtà. – risponde.
I movimenti sono lenti, come se volesse farmi vedere bene, in ogni sua parte che cosa sta facendo. Un po' perché è eccitante, vederlo, un po' perché se volessi fermarlo sarebbe più facile.
Misurato, calmo.
− Ridillo ancora, su. –
− Che sono una troia? –
Ambrosia, immagino.
Sembra scorrergli addosso, la mia voce, come miele, denso, sensuale, dolce. Gli entra in corpo attraverso la pelle, lo scalda, lo fa...
Eccitare.
Credo, anzi so, di essere eccitante.
Io, sono eccitante.
Io, sono bello.
Io, io, io.
− Sul letto, Tadashi. – mi sento ordinare.
Indietreggio, il retro delle mie ginocchia sbatte contro il materasso.
− I vestiti? – chiedo.
− Quelli te li tolgo io. –
Mi siedo sul tessuto morbido, slaccio i lacci delle scarpe e le tolgo una con l'altra, poi indietreggio.
− Vieni. –
Ed è qui, che di Yūji incazzato, quello incazzato davvero, vedo il vero volto. C'era la rabbia prima, al locale, ma c'era mescolata ad un sentore teso all'idea di essere in mezzo a tutti e al dubbio che io fossi incerto riguardo le sue intenzioni.
Ma il tempo è scorso.
E non ho dato segni di volermi guardare indietro.
Non ho detto di no, non mi sono rifiutato, non l'ho mollato da nessuna parte.
No, oggi sono andato là, vestito bene per i suoi soli occhi, l'ho pregato di darmi il suo tempo, ho sorriso e riso di fronte a lui, ho dedicato tutto quello che ero solo ed unicamente al suo viso.
Niente Tsukki nelle retrovie.
Solo Yūji.
E mi rendo conto, con sorpresa da una parte e rammarico dall'altra, che questa è, effettivamente, la prima, primissima volta.
La prima che sto con Yūji e che penso, davvero, solo a lui.
Deve averlo capito anche lui.
E quando sono io, a lasciare Tsukki fuori da quella porta, Yūji capisce che può essere lui a prenderlo, metterlo in questa stanza e far aleggiare di fronte a me la profonda, sbagliata immoralità di quel che faccio.
Credo voglia distruggermi.
E credo di voler essere, onestamente, distrutto.
− Tu lo sai che da quello non ci torni più, dopo questo, vero? – mi sento chiedere, con il tono davvero sprezzante e davvero arrogante.
Come dicevo, se non ci fosse il ragazzo che due sere fa mi diceva di non valere niente, dietro a queste parole, non mi farebbero lo stesso effetto.
È il contrasto, a rendere la sua arroganza eccitante.
Il contrasto e la cattiveria.
− Cosa vuoi dire? –
Si avvicina al letto, appoggia un ginocchio al fianco dei miei.
Allaccia le dita sull'orlo dei jeans, corre al bottone centrale, lo slaccia.
− Io non so fare tutto, Tadashi, no di certo. So fare alcune cose, però. So fare delle belle foto... −
Arrotola l'orlo superiore attorno ai miei fianchi, inizia a tirarlo giù.
− So cosa dire al momento giusto per far sentire le persone a proprio agio. –
Passa oltre la curva delle cosce, li raduna attorno alle ginocchia.
− So dove toccare le persone. –
Li tira via con un movimento secco ed eccoli, beneamati jeans salvavita, che scompaiono dietro di lui.
− So fare qualsiasi cosa che riguardi il sesso. La so fare bene, davvero bene. Meglio di chiunque altro. –
Mette le mani sulle mie ginocchia, le apre.
Mi lecco le labbra.
− Tu parli davvero un sacco, lo sai? –
Occhi nei miei.
− "Rosso" se qualcosa non va, intesi? –
Annuisco, il silenzio si fa tombale.
E poi Terushima alza il braccio, fende l'aria e mi dà esattamente uno schiaffo in piena faccia.
Dolore che punge sulla pelle.
Sento il rossore spandermisi in viso.
Poi...
Poi arriva.
Le cosce si stringono, il bacino spinge in basso, il dolore brucia così tanto da trasformarsi, mischiarsi, scaldarsi in...
Dovrei dire la parola che mi ha detto, no? Un bravo ragazzo la direbbe, sono sicuro.
Ma io...
Io non sono un bravo ragazzo.
E quel che dico è, con gli occhi lucidi e la guancia che va a fuoco, il suo nome.
− Penso di averti già detto, stasera, che devi chiudere la cazzo di bocca e ringraziare il cielo che io sia qui a perdere il mio tempo con te. –
Annuisco.
Non rispondo, non perché non possa, più perché non ne ho l'intenzione. Voglio che Terushima sia cattivo, voglio che prenda tutto di me, voglio essere completamente la parte di me che si emoziona solo quando a guardarla è lui.
− Sai quante persone vorrebbero essere al tuo posto, Tadashi? –
Annuisco una volta ancora.
− E allora cosa devi dire? –
Non lo so, ed eppure, lo so allo stesso tempo. Le parole si formano come fossero fatte d'ovatta, la gola secca che gratta in basso.
− Grazie, Yūji. –
− Di cosa? –
− Di sprecare il tuo tempo con me. –
Sorride come se fossi una preda inerme, di fronte a lui.
Si avvicina una volta ancora, prende il mio top dal bordo, aspetta che tiri su le braccia e me lo sfila di dosso.
Non ero mai rimasto... nudo, credo, di fronte a lui.
Ma non credo sia quello il punto.
È il modo in cui mi guarda.
Come se tutto fosse suo e al contempo tutto chiedesse di essere scoperto. Come se fossi misterioso, magico e comunque qualcosa che conosce.
− Perché cazzo ti sei dovuto vestire in quel modo, stasera? –
Chino lo sguardo, sento le sue dita slacciarmi il laccio di pelle dal collo, sfilarmi l'elastico dai capelli.
− Volevo che mi trovassi bello. –
− E la foto? –
Intende lo scatto che gli ho mandato, non è vero? Non c'è un motivo, dietro a quello, o forse sì, non credo di averci pensato, in quel momento.
Ci penso ora.
− Volevo che pensassi che nessuna delle persone che ti erano attorno fosse bella quanto me. –
Ho lo sguardo incollato al materasso, non oso tirarlo su nemmeno di un centimetro.
Lo sento infilare la mano fra i miei capelli e, dopo istanti d'attesa, tirarli indietro per far schiantare i suoi occhi sui miei.
− Tu sei la peggiore troia che abbia mai visto. Non ti basta? –
Non riesco a rispondere.
− Oh, ma sì che basta, insomma. È comunque un grande risultato, non credi? –
La mia bocca rimane chiusa.
− Sapevo che c'era questo, dentro di te, dalla prima volta che ti ho visto. Sei così dolce, quando ti guardano gli altri, ma sotto sotto sei infido e vuoi solo che qualcuno ti rimetta al tuo posto. –
Ancora una volta, a strattonare la corda delle cose che dovrebbero rimanere fuori, è lui.
A fare la cosa sbagliata, crudele.
Paradossalmente, la più eccitante.
− Come pensava che saresti andato avanti, quell'altro? Non gliel'hai mai detto tu che senza le attenzioni non sopravvivi? –
Deglutisco.
− Ti è andata bene, Tadashi, ti è andata davvero bene. –
Si china, si abbassa, fa per baciarmi.
− Ti è andata bene perché hai trovato me. –
L'eccitazione mi esplode nel petto, le labbra si aprono e in un attimo sono inebriato completamente, in un'altra dimensione, gettato inevitabilmente in uno spazio minuscolo dove tutto e niente ha valore.
Mi sento indifeso.
Umiliato, credo.
Piccolo.
E non ho mai provato nulla di così eccitante in tutta, tutta la mia vita.
Avanza verso di me, mi tira su dai fianchi, mi lascia cadere sul suo grembo.
− Muoviti da solo. – ordina.
Non capisco.
Poi quando affonda le mani sul mio culo e mi muove contro il suo bacino, la frizione che mi dà per un solo istante una parvenza di sollievo, capisco.
Faccio leva sulle cosce.
− Trovo così carino il fatto che non parli, sai? –
Il bacino sale, scende, preme.
− Come se ti vergognassi di cosa puoi dire. Non c'è niente di cui vergognarti, lo so già come sei, non c'è bisogno. –
C'è questo tono, nella sua voce, che oscilla fra la cattiveria, la dominazione e la durezza, che mi manda in un'altra dimensione.
− Chissà cosa direbbe chi ti conosce. Guardatelo, Tadashi che si vergogna di tirare una cazzo di palla ad una cazzo di partita di pallavolo che prega cinque minuti con me come se ne andasse della sua stessa vita. Cosa direbbero, tutti? Cosa direbbero, se sapessero che razza di puttana sei? –
Il calore si accende dentro di me e si annida fra le mie cosce.
Formo le prime parole coscienti.
− Yūji... −
− Bravo, Tadashi, bravo, di' il mio nome, cazzo. –
Le mani sui fianchi diventano violente.
− Yūji! –
− Alla fine sarà l'unica parola che ti ricorderai, te lo prometto. L'unica. Niente "no", niente "forse", niente "scusa", solo il mio cazzo di nome. –
Accompagna i miei movimenti.
Il piacere non è di quelli inevitabili che non riesci a combattere, è questa volta più come una nebbia che t'intossica. Si forma di tante piccole cose, ti fa respirare male, ti offusca la mente.
Mi rende sensibile più la cattiveria della sua voce che il semplice movimento.
Così inebriante da non lasciarmi scampo.
− Fammi vedere che cosa sei, Tadashi, fammi vedere. – mi sento chiedere.
Guarda.
Guardami.
Non mi vergogno, di fronte a te, o forse sì, ma anche mi vergognassi, tu la puoi avere, la mia vergogna. La trasformi in oro colato col sono tono della tua voce.
Guardami.
Abbassa il mio bacino con più cattiveria ancora.
Strofina esattamente nel punto in cui lo volevo sentire.
Si avvicina al mio orecchio.
− Lasciami vedere quanto cazzo sei bello. –
Ed è quel tocco inaspettato di bontà, alla fine, a gettarmi oltre il baratro.
Tremo.
Le mie gambe tremano.
I fianchi cercando appiglio, la testa, pesante, cade indietro, i capelli sono ovunque nella mia visuale e la schiena si tende, affondo le unghie sui bicipiti tatuati di chi mi regge e lo dico, questa volta, volendolo dire.
Dico un nome.
E dico il nome giusto.
Continuo a tremare per istanti interi che potrebbero essere minuti come secondi.
Yūji mi tiene stretto a sé, aspettando che riprenda il filo di fiato che mi ha tolto, le sue mani che si muovono pacificamente sulla schiena nuda.
− Tutto bene? – mi sento chiedere.
Prendo fiato dalla bocca.
− Tutto... tutto bene. –
− Vuoi fermarti? –
Scuoto la testa.
− Sicuro? –
Con una forza in corpo che non credevo di avere, scalo la sua maglietta con le dita.
− Toglitela. – borbotto, evitando di rispondere.
Credo di essere stato sufficientemente eloquente in ogni caso.
Ride, Yūji, ride e poi mi adagia sul letto con inaspettata delicatezza.
− Vuoi andare fino in fondo, stasera, eh? –
Annuisco.
Sì, che voglio andare fino in fondo.
E non so se sia perché voglio togliermi uno sfizio o perché voglio innamorarmi da capo.
Non so se sia esperimento, questa cosa, o certezza.
Lo so, in fondo in fondo, ma di quella risposta che mi s'infiamma nel cuore, decido di preoccuparmi più avanti.
Ricostruirò tutto, lo prometto.
Solo dopo averlo distrutto.
Tira su la maglietta con una mano, la lancia dove penso siano i miei pantaloni, slaccia il bottone dei jeans, toglie la cintura.
Mi guarda.
Fa venire la bava alla bocca.
È bello, quanto è bello, questo Terushima Yūji.
− Perché tutti quei tatuaggi? – chiedo, sinceramente incuriosito, tirandomi su sugli avambracci.
Si guarda il torso dall'alto, come se neppure lui si ricordasse di averli, poi fa spallucce.
− Mi piacciono. Me li ha fatti tutti mia sorella maggiore. – risponde.
− Davvero? –
Fa "sì" con la testa.
Mi accorgo, ora, a guardarli meglio, che non sono disegni grandi, estesi, ma un insieme di tanti piccoli elementi in inchiostro nero, sparpagliati in maniera effettivamente equilibrata su tutta la pelle abbronzata.
− Quello che cosa significa? –
Indico con lo sguardo una scritta sottile.
Lo vedo tirare su la mano, toccarlo come se fosse un ricordo piacevole.
C'è scritto "À Marat, David" in un carattere semplice e pulito.
− "Morte di Marat", Jacques-Louis David. –
Alzo un sopracciglio.
− Rivoluzione francese, Marat era un radicale dell'epoca. L'amante l'ha ucciso perché credeva fosse una mina vagante, che avrebbe fatto scoppiare una guerra civile. –
Fa silenzio un secondo.
− Mi piace quel quadro. Ci credo, nel difendere i tuoi ideali anche a costo di perdere tutto. –
Sorrido.
Affascinante.
− Questo... − indica l'immagine di due mani che stringono un pugnale dall'alto – è "Giuditta che decapita Oloferne" di Artemisia Gentileschi. Volevo un'icona femminista che non fosse scontata come Frida Kahlo. Niente da togliere a Frida, comunque, è stata una gran donna. –
Scorre con la punta dell'indice fino alla spalla opposta.
L'immagine di una pipa, credo.
− Questo è un po' contorto. Vuoi sentirlo? –
− Mh-mh, sì. –
Gli si scalda il viso.
− "Il tradimento delle immagini" di Magritte. Non che c'entri molto con Magritte, in realtà. Diciamo che la pipa mi ricordava Sherlock Holmes. –
Alzo un sopracciglio.
− Sherlock Holmes? –
− Probabilmente la figura letteraria riconosciuta come asessuale più famosa della storia. –
Mi s'illumina qualcosa nella mente, sorrido a trentadue denti.
− Per Futa? –
− Per Futa. –
Mi tiro ancora un po' più su.
− Bob dov'è? –
Mi mostra quella che credo sia la torre di una chiesa.
− Campanile di Notre-Dame, Victor Hugo era dislessico o presunto tale. –
Avvicino la mano al disegno perfettamente lineare sul suo corpo, sfioro i bordi con le dita.
− È la cosa più dolce che abbia mai sentito, Yūji. –
Ridacchia.
− Non ti sembra una stronzata? –
Scuoto la testa.
− No, no. Mi sembra adorabile. –
Viaggio più in alto, con le mani, più in alto. Stringo i muscoli delle spalle fra le dita, il collo, il viso.
Mi guarda come se volesse dirmi qualcosa.
Ho impressione di sapere cosa.
Penso che vorrebbe dirmi che c'è spazio, per me, sulla sua pelle.
Lo bacio prima che possa dire ad alta voce quel che so sta pensando.
Le sue labbra partono tranquille, calme, poi riprendono un po' di quel fuoco che aveva messo da parte mentre aspettava che mi risollevassi dal mio orgasmo.
Lo sento sfilarsi i pantaloni mentre mi avvinghio contro di lui, abbassarli e scalciarli via quando le mie gambe si allacciano alla sua vita.
Torniamo in basso, io con la schiena sul letto e lui contro di me, in un attimo.
Mi bacia il viso, la mascella, il collo, mi stringe fra le mani e io mi lascio stringere, mordere, toccare.
Sento muscoli lunghi, sotto i miei polpastrelli, che si muovono sulla sua schiena. Ci affondo le unghie, forte, come per sorreggermi e lo sento ansimare, quando lo faccio.
Si stacca, mi guarda in viso.
− Tu non hai idea di quanto cazzo mi piaci, Tadashi. Non hai un'idea, porca di una puttana. – dice, come se fosse un segreto che qualcuno gli sta tirando fuori di bocca.
Incastro una gamba sulla curva della schiena di Yūji, la uso per fare frizione e strusciarmi contro di lui, inspiro rumorosamente.
Mi fa piegare la testa indietro e lecca una striscia umida lungo la colonna della mia glottide, piano, l'aria più fredda nella stanza che mi fa formicolare la pelle bagnata.
− Dov'è il lubrificante? – mi sento chiedere, poi.
− Non ce... non ce l'ho. –
Sbuffa.
Mi bacia una volta sulle labbra, poi si alza da me e va verso il punto in cui ha lanciato i pantaloni.
− Progetti di portare un uomo a casa e nemmeno hai il lubrificante? – mi chiede, mentre si abbassa a rovistare fra le tasche.
Tira fuori una bottiglietta taglia viaggio da una tasca sul retro.
− Tu porti in giro del lubrificante? – ribatto.
Alza le spalle.
− Per ogni evenienza. Almeno i preservativi? –
Scuoto la testa.
− Sei disastroso. –
Prende anche quelli, torna verso di me.
Si ferma di fronte al mio corpo, mi guarda dall'alto e lascia scorrere gli occhi su tutta la superficie della mia pelle, come mi stesse guardando per la prima volta.
Mi lancia il flacone.
− Togliti le mutande, Tadashi. –
Sento il mio viso diventare più scuro.
Ma mi sento così potente, oggi, che non rispondo, non tremo d'imbarazzo, mi sfilo le mutande e basta.
Guardo le mie ginocchia premute assieme, prendo un grande respiro.
Le spalanco ai lati del mio corpo.
Yūji non stacca gli occhi, si lecca le labbra, mi squadra come fossi qualcosa di meraviglioso.
Allunga una mano verso il mio viso, lo sorregge dal collo, accarezza piano la guancia.
− Apri la bocca. – chiede, e non me lo faccio ripete.
Mi porge la sua mano.
− Lecca. –
Giurerei di sentire le mie stesse pupille dilatarsi, assieme alla vampata di calore che dai piedi mi raggiunge in ogni angolo del corpo.
Tiro fuori la lingua.
Tengo il palmo della sua mano con le mie, avvolgo le labbra attorno alle sue dita, lo sguardo dritto negli occhi.
Succhio.
La vedo bene, l'ombra che gli passa in viso. Qualcosa di scuro, di malvagio.
Poi si morde l'interno della bocca e la sua voce si piega in quello che sembra, anzi sono piuttosto certo sia, un gemito.
Lo rifaccio, ancora, ancora.
Le lascio uscire dalle mie labbra e passo lentamente dall'attaccatura ai polpastrelli, piano.
La deve togliere lui, la mano, che io di certo non do cenno di voler smettere.
Sorride col viso a metà fra l'eccitazione e un'espressione appagata, avvicina le dita fra le mie gambe, aggiunge un po' di lubrificante e fa per lasciarle entrare dentro di me.
− Più lo dico, più sono convinto che tu lo sia davvero, una troia. –
Mi mordicchio il labbro inferiore.
− Sì, che sono una troia. –
− Ancora. –
− Sono una troia, Yūji. –
Le dita entrano dentro di me senza calma. Sono tre, e sarebbero troppo, se non fossi da una parte tremendamente rilassato e dall'altra reduce da ieri sera.
Entrano completamente, trovano immediatamente il punto dove devono andare, si piegano e con loro la mia schiena diventa un'arco.
− Yūji! –
− Ancora, avanti, Tadashi. Dillo ancora, ancora. –
Mano sulla coscia che sembra volerla liquefare con il solo contatto, ginocchio schiacciato sul materasso, le sue dita entrano ed escono da me senza il minimo cenno di delicatezza.
− Sono... −
Appoggia il viso contro la mia gamba, chiude i denti sulla carne chiara e lascia un morso sulla parte interna.
− Dillo. –
− Io sono una... −
Mi morde un'altra volta, più in alto.
− Dillo e ti do qualcosa che non può darti nessun altro. –
Sale, il suo volto, sale verso le mie gambe.
Le dita si aprono dentro di me, mi sembra di andare a fuoco, la mia schiena s'inarca e la gola si stringe di più, sempre di più.
Sento le braccia mollarmi sul letto prima di maneggiare il mio corpo con esperienza, infilarsi sotto le mie cosce e appoggiare il retro delle ginocchia su un paio di spalle ben più larghe delle mie.
− Sono una troia, Yūji. –
− Di chi? –
Deglutisco.
− Sono la tua troia. –
Non so in che ordine accadano le cose. Esce da me, mi tira su i fianchi incastrandoli con se stesso verso l'alto.
Una mano si chiude attorno a me.
L'altra mi tiene fermo.
E poi sento il ferro del piercing, freddo, metallico, dove prima c'erano le sue dita.
Cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo.
La sua lingua è... dentro di me? Come... come è possibile?
Dio, cazzo, cazzo, quanto è piacevole. Sembra che tutto in me sia un fascio di nervi scoperti, quando sento la pallina gelida infilzata in mezzo alla sua lingua che ci passa sopra, la mano chiusa attorno alla mia erezione che con una calma che sembra straziante si muove in alto, in basso, in alto una volta ancora.
Stringo le cosce.
Le stringo forte.
So che c'è la sua testa in mezzo, ma so di non fargli male quando con una mano, molto più forte di quanto non lo siano in questo momento le mie gambe, mi impedisce di chiuderle completamente.
Non smette.
Non si stacca.
Rimane lì come rimango io, a sentire tutto come se fosse troppo, metallo e muscoli e sudore, mani, dita, voci.
Mi geme addosso, lo sento vibrare nel mio corpo.
Stringe la mano su di me.
Aumenta il ritmo.
Poi mi lancia un'occhiata, un'occhiata che dice di ringraziarlo, di farglielo fare ancora, di volerlo, di amarlo come lui è disposto ad amare me.
E non ce la faccio, a trattenermi.
Questa volta il suo nome non lo gemo.
Lo urlo.
Chiudo una mano sui suoi capelli, la mia schiena indietreggia e si alza col bacino, le ginocchia premono contro di lui, il corpo diventa teso come un fuso.
Poi si rilassa.
E sento me stesso che vengo sulla mia pancia a ritmo col respiro affannato di chi mi getta oltre e mi tiene mentre cado, di chi mi fissa come non volesse vedere altro, di chi mi ha rotto e distrutto ed eppure sembra voler recuperare di me ogni mattone sbriciolato.
Questo è più forte del primo.
Finisce velocemente com'era iniziato, ma mi lascia molle, sensibile.
− Tadashi? –
− Vai avanti. –
Respira.
− Sicu... −
− Vai avanti, Yūji. Ti prego, vai avanti. –
Deglutisce, rimane a guardarmi come fosse profondamente indeciso, poi annuisce.
− Dopo non si torna più indietro, lo sai? –
È come se qualcosa dentro di me si sbloccasse.
− Non ci voglio tornare, indietro. –
− Non vuoi? –
Scuoto la testa.
− No. –
Sfila le sue, di mutande, di fretta. Prende il preservativo al mio fianco, lo apre e lo mette, si avvicina a me.
Apro le gambe, sistemo il bacino, ci allineiamo.
Mi tira su con le braccia, preme il mio petto contro il suo, si appoggia meglio.
Mi bacia la guancia.
Avvicina le labbra al mio orecchio.
− Io ti amo, Tadashi. – mormora.
E non faccio in tempo a rispondere che è dentro di me.
Non ho mai fatto sesso con qualcuno che non fosse Tsukki. Non ho mai provato l'ebbrezza di poter conoscere tante cose all'esterno di noi due soli, ed ero convinto, al mondo, che andasse bene così.
Non credevo che mai nella vita avrei avuto questo calore da qualcun altro.
Non credevo che il mio cuore si sarebbe fermato alle parole di qualcun altro, che mi sarei messo a gemere un altro nome, che avrei perso tutto e avrei imparato come ricominciare con le mie sole forze.
Non credevo che sarei stato... così.
I movimenti sono secchi, sono violenti, una mano mi tiene la schiena e l'altra i capelli, sento denti mordermi la spalla, il collo, la voce di Yūji che mi chiama contro la mia stessa pelle.
Io ho le lacrime agli occhi, le gambe molli, il piacere che dentro di me sembra essere troppo, persino.
So che chiedo ancora.
So che chiamo il suo nome.
Con il braccio con cui mi regge su mi spinge in alto, in basso, entra completamente dentro di me ed esce l'attimo dopo, mi muove come fossi un burattino in mano sua.
− Mio, cazzo, tu sei mio, Tadashi. – mi sento dire all'orecchio.
Non sono tuo, Yūji, no.
Io sono solo di me stesso.
Ma lo sai, lo sai bene.
Cerco il suo viso.
Mi guarda, quando si spinge dentro di me per l'ennesima volta e i miei occhi ruotano appena verso l'alto, prima di baciarmi.
Mi aggrappo, al suo corpo, lo graffio e lo stringo, pregandolo di non farmi cadere.
− Tu sei... ah... fatto per me, cazzo. – riprende.
Mi lascia cadere di schiena.
− Guardami, Tadashi. – intima ancora.
Mi tiene il bacino in alto, accompagna i movimenti tirandomi a sé, la pelle fa rumore come la mia voce, le lacrime mi colano all'esterno del viso.
− Guardami e dimmi che non siamo fatti per stare insieme, cazzo. –
Lo guardo, lo guardo.
Tu sei...
Tu sei fatto per questo Tadashi e questo Tadashi è fatto per te. Ma sono io, questo Tadashi?
Forse no.
Forse... forse sì.
− Yūji... ancora, ancora, ancora... −
Mi bacia sulle labbra.
− Quanto cazzo vuoi. –
− Più forte, di più, di più, di... −
Il ritmo diventa più veloce, le voci si mescolano e intrecciano, il sudore bagna i corpi, li attacca, li fa scivolare insieme.
Non sento più le gambe.
Sento solo un nodo fra di esse, un nodo che si scalda e inizia a sciogliersi, che fa male, quasi, da quanto è piacevole.
− Yūji, Yūji, Yū... −
− Tadashi. –
Trema anche lui, questa volta.
Trema dentro di me.
Lo stringo a me con le gambe.
Apro gli occhi, grandi, umidi, lo guardo bene in faccia e sorrido appena.
− Vieni su di me, Yūji. –
Stringe la mascella.
− Per favore... − aggiungo, poi, con l'ultimo grammo di fiato che resta nei miei polmoni.
Entra dentro di me che inizio prima di lui a tremare.
Poi esce da me, toglie il preservativo, la sua voce chiama il mio nome come la mia chiama il suo, tutto diventa bollente e nebbioso e poi, alla fine, mi raggiunge.
Su di me.
Sulle lentiggini che tutti sembrano amare.
Su quello che resta della persona che, con le mie stesse mani, ho deciso di distruggere.
Sui resti di una struttura ch'era fatta di paglia, spazzata via dal vento delle cose che succedono, dalla violenza delle persone che vogliono, che amano, che cambiano.
Sono tutto, quando vengo la terza volta e Yūji viene su di me.
So chi sono.
Lo so.
Io sono tutto.
Sono un sacco di cose, sono una marea di caratteristiche diverse che posso usare, odiare, adorare, amare e buttare via.
Sono scelte che posso prendere e cose che posso sbagliare.
Sono sogni e sono speranze, sono disillusioni, sono errori, sono rabbia come sono gioia.
Tutto.
Posso cambiare, perché tutto è in me e tutto è in mio potere.
Posso sbagliare, perché tutto torna dov'era, in me, anche se sbaglio.
Posso fallire, perché tutto, dentro questo piccolo corpo che distruggo e rimonto come non me ne importasse, è mio.
Sono tutto.
La sensazione di potere scompare, quando l'orgasmo finisce.
Diventa timida, di sfondo e inizia a sfumare.
Tornerà.
Ma non è ora il momento.
Yūji è di fronte a me che mi guarda, in ginocchio, nudo e bello, sudato, con gli occhi pieni di lacrime.
Respira appena.
Sorrido, gli sorrido.
E lui fa lo stesso, prima di abbassarsi sul letto, stringermi fra le braccia forti e iniziare a versarle davvero, quelle lacrime.
− Non so come sia successo. Non lo so, davvero. Prima eri uno che conoscevo al liceo che aveva bisogno di una mano e il momento dopo non riuscivo a pensare ad altro. So che non avrei dovuto, ma non so... non so come fare. – dice, tutto d'un fiato.
Accarezzo le sue spalle.
Tira su con il naso, piange ancora.
− Non voglio chiederti di scegliere, davvero. A me non importa, anche se vuoi passare da uno all'altro, basta che non te ne vada. –
Stringo i bicipiti fra le mani, i pettorali, il collo.
− Non credevo che mi sarei mai innamorato di qualcuno come mi sono innamorato di te, Tadashi, sul serio. –
Premo le dita contro il suo viso.
− Mi piace, far finta di essere forte e avere il potere, ma la verità è che non ce l'ho manco per il cazzo, il potere. –
Seguo le linee degli occhi, della mandibola.
− Puoi fare di me quel che vuoi, Tadashi, io credo di essere... tuo, a prescindere dal fatto che sceglierai me o meno. –
Percorro il contorno delle labbra.
− Tu invece non sei mio. Mi piacerebbe, ma non lo sarai mai. –
Lo guardo negli occhi.
− Spero solo che tu non mi spezzerai il cuore cercando di capire come puoi amare te stesso quanto ti amo io. –
Deglutisce.
− E quanto ti ama Tsukishima. Non mi sta simpatico, ma lo comprendo più di chiunque altro. –
Sorrido.
Lo dicevo, prima, no?
È questo, che mi piace, della sua arroganza.
Che sia solo un insieme di parole che sfumano, poi, perché la sua anima è dolce e amorevole, non cattiva, non crudele.
Premo le labbra contro le sue.
− Rimani a dormire? –
− Posso? –
Annuisco.
Siamo appiccicosi, sudati.
Immagino che ci sia un preservativo da buttare da qualche parte, vestiti da radunare, lenzuola da cambiare, aria da far prendere a questa stanza chiusa.
So che stringo le braccia attorno al collo di Yūji, prendo una delle sue gambe fra le mie, appoggio la fronte contro una clavicola.
C'è uno spazio vuoto nella sua pelle, in questo punto, noto, mentre sento i miei occhi farsi pesanti.
− Ti amo sul serio, Tadashi. –
− Metà di me ti ama anche lei. –
Mi bacia il centro della testa dall'alto.
La notte si avvolge con il rumore delle persone che ridono di fuori attorno a noi.
− Continuerai sempre ad essere la cosa più bella che abbia mai visto. – mormora, con la voce pesante, assonnata, distante e un po' triste.
Per sempre?
Sorrido, mi accoccolo.
− E tu continuerai per sempre ad essere la più divertente che abbia mai fatto. –
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