'𝚌𝚊𝚞𝚜𝚎 𝚖𝚢 𝚜𝚔𝚒𝚛𝚝 𝚒𝚜 𝚝𝚘𝚘 𝚜𝚑𝚘𝚛𝚝

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Mollare Tsukki non è facile.

Ho detto quella parola, quel minuscolo "arrivo" alla cornetta, ma affrontare cosa poi avrebbe significato, non è che l'avessi proprio preso in considerazione.

Ma l'ho detto, l'ho promesso e ripeto che quando ero io, l'ubriaco disperato, Terushima c'era, e questo glielo devo. Più che per l'affetto che ci lega, più che per la sensazione frizzante che accende nel mio petto quando mi parla, per onestà.

Non si lasciano le persone indietro.

E Terushima non l'ha fatto, perciò, onestamente, non lo farò nemmeno io.

Mi levo d'impiccio con la peggior scusa mai esistita, gli garantisco mentendo – che è una cosa che non faccio mai, a mia discolpa – che non sto scappando dal mio amante segreto e con tutta l'ansia del mondo, mollo il mio ex ragazzo con il quale ero a tanto così dal fare sesso un'altra volta pochi minuti fa, in camera mia.

E poi corro.

Corro, corro, corro.

A perdifiato per le strade notturne, indeciso e ansioso e incerto, ma le mie gambe non si fermano.

Continuano a macinare i metri uno dopo l'altro e respingono nell'angolo più remoto del cervello tutte le cose che se fossi fermo mi metterei a pensare.

La faccia di Tsukki che mi chiede che cosa cazzo sia successo.

La voce di Futa completamente disperata.

Me stesso che vago con la luna che riflette il lucido del cemento in piena notte.

Non ho tempo per rimuginare.

Non ho tempo per ricostruirmi il mio castello di fragilità e incertezza, né tantomeno per dedicarmi ad un ragionamento profondo di cosa io stia facendo e perché, ho solo il tempo di correre.

Terushima, in fondo in fondo, non lo conosco così bene.

Mi fido di lui, mi fido quasi ciecamente per una montagna di motivi palesi e una montagna di sensazioni istintive, ma fidarsi e conoscere qualcuno sono due cose ben diverse.

L'ho visto in un qualche lato della sua persona.

L'ho visto fiducioso, l'ho visto affettuoso e l'ho visto eccitato, ma ubriaco, ubriaco mai.

L'ubriachezza mi spaventa.

So come agisce su di me, non come lo faccia sugli altri, ma tutto quello che posso dire con certezza è che l'ubriachezza rimuove i filtri, rimuove le patine grigiastre di quello che uno sa di dover fare per buonsenso, e lascia solo una matassa di onestà brutale, alle persone.

Alcune diventano violente, altre, come me, piagnucolose e disperate, e altre ancora in altri modi che Yūji potrebbe rispecchiare o meno.

So che mi sto esponendo.

So che mi sto prendendo la responsabilità di vedere un lato che non mi ha mostrato senza che quasi lui lo sappia, e temo che ci sia un fondo di violenza, in questo prendermi la sua sincerità senza freni, ma Futa l'ha detto, che cerca me.

E in questo momento, mentre corro per strada, in questo momento io cerco lui.

Giro ad un incrocio, attraverso storto ed evito una macchina all'ultimo, mi asciugo il sudore freddo dalla fronte e continuo a muovere le gambe senza concedere loro un attimo di tregua.

"Arrivo", ho detto.

E giuro su Dio, giuro su me stesso e sul mio carattere così confusionario e misto, che io, in quella casa, arriverò.

Tante incognite con poche equazioni, al momento.

So che stanno dando una festa, il rumore di fondo alla chiamata su questo era ben chiaro.

So che Terushima ha bevuto, so che vuole che lo raggiunga.

Ma perché?

Perché in un luogo che scommetto sarà pieno di persone che darebbero una gamba o un braccio per passare cinque minuti con quella perfetta composizione di muscoli e rispetto, lui sta cercando chi è fluido e sfugge come l'acqua?

Non so se sa che fossi con Tsukki.

So che Bob e Futa lo sapevano.

Forse lo sa?

Forse no?

Forse mi cercava per quello?

Forse non gliene frega niente?

Forse vuole solo un po' di sesso, ma stento a credere a questa opzione. Terushima non mi presserebbe mai su questo, ubriaco o meno, e ne sono perfettamente convinto.

E allora... allora perché?

Il mio cellulare tintinna e lo tiro fuori non smettendo di camminare.

[Bob] >> quanto sei lontano? scusa non voglio romperti il cazzo ma la situazione è tremenda <<

[Bob] >> ti chiama da quasi venti minuti <<

Alzo un sopracciglio.

Chiama... me?

Chiama il mio nome?

Per quale motivo dovrebbe farlo?

Non è lui pieno di attenzioni da qualunque parte?

Non è lui che salta da un letto all'altro?

Forse ho assegnato a Terushima un'immagine troppo rigida, inizio a pensare.

Digito un "sono quasi arrivato" di fretta girando ancora su un altro crocevia, le ginocchia che iniziano a piangere indolenzimento stanco.

Forse ho attaccato l'etichetta bianca dello "sciupafemmine rispettoso" su Terushima senza nemmeno rendermene conto, e mi ci sono aggrappato troppo forte.

Forse l'ho ridotto a una descrizione superficiale, cosa che lui con me non ha fatto mai.

Forse non gli ho dato un'occasione di dimostrarmi quanto fosse diverso dall'immagine che mi ero fatto di lui.

Ma non ha senso distruggermici ora, in quest'idea.

Perché sto correndo, correndo da lui mollando il ragazzo con cui sono stato tanti anni, indietro, e questo è un rischio talmente grande, per me, che so che qualcosa gli sto concedendo.

Non sto facendo l'apatico mangiauomini.

No, sto combattendo.

E se sto combattendo per due persone invece di una, è un problema che al momento non posso permettermi di analizzare.

[Bob] >> sono Futa non trovo il telefono qualcuno ci starà ballando sopra <<

[Bob] >> avvertimento precauzionale, teru è appiccicoso da ubriaco <<

[Bob] >> se ti dà fastidio non venire nemmeno, gli spezzeresti il cuore <<

Vorrei sospirare in un gesto adorabile.

Il cuore?

Io, Yamaguchi Tadashi, piccolo minuscolo esserino lentigginoso che non sa mai cosa fare o perché, distratto e di sfondo che potrei spezzare il cuore a Terushima?

Sembra impossibile.

Ed eppure magari un filino, ci credo anch'io.

[You] >> ho detto che sarei venuto arrivo <<

Non ho tempo per le virgole.

Ho tempo per correre.

Un pezzo di marciapiede, un altro paio di passi, fiatone e sudore, ed eccole, le luci che spuntano dalle finestre familiari di una casa che ormai inizio a conoscere.

Eccole che brillano nella notte e fanno contrasto con la luce fredda dei lampioni, il rumore di gente che ride e urla che si spande attorno al bagliore soffuso.

Miseria, ma io ci sono mai andato ad una festa in casa?

Quelle del liceo non contano, credo.

Passavo le ore terrorizzato dal contatto altrui ad arrampicarmi sul corpo alto di Tsukki e farmi proteggere da una realtà che mi sembrava così lontana, non di certo a divertirmi.

E anche ora, non sono qui per divertirmi, ma sono solo.

La porta d'ingresso non è né spalancata né chiusa, ma aperta in un minuscolo spiraglio come per fingere di averla fatta rientrare a posto lasciandola comunque in mano ai passanti.

Spingo il battente, mi infilo su nella tromba delle scale.

Non ho ansia, all'idea del marasma delle persone che mi circonderanno quando sarò dentro quella casa. Ce l'avrei normalmente, ma ora, ora no.

Ora ho ansia che Terushima stia male.

Che un baluardo di vita giovane e spensierata stia lentamente scivolando nella tristezza per una colpa che sappiamo tutti ricade solo sulle mie spalle.

Ma non ho tempo nemmeno per l'ansia, quando vedo la porta, anch'essa socchiusa, lasciar intravedere un rivolo di fumo denso dallo spiraglio appena visibile.

Le persone fanno tanto rumore.

I ragazzi, fanno tanto rumore.

Un rumore che sembra quasi voglia mandarmi giù e inghiottirmi, quando mi rendo conto di quanto le mie gambe tremino all'idea di spingermi là dentro.

Mi avvicino con le ginocchia molli.

Apro una mano sulla porta, ma non spingo.

Rimango a respirare l'aria della solitudine giusto un secondo, prima di immergermi nel sudore sconosciuto di persone che non conosco assolutamente.

Ma poi, lo sento.

Lo sento chiaro e distinto oltre il marasma degli altri.

− Hai detto che sarebbe arrivato. Dov'è? Dove cazzo è, Takeharu? –

La voce di Terushima è... stanca. Disperata, ma stanca. Come se avesse cercato spasmodicamente qualcosa dentro casa fino a farsi bruciare gli occhi, fino ad esserne sfinito. Ma non c'è la soddisfazione del ritrovamento, solo l'accenno frustrato dell'essere rimasto, una volta ancora, a mani vuote.

− Non chiamarmi per nome, mi fai paura. – risponde Futa.

− Bastardo, mi hai detto una cazzata, non è vero? –

No, Yūji. Non te l'ha detta. Eccomi, miseria, ecco...

− Non riesco a dormire in questo stato, cazzo. Come faccio? Come cazzo faccio io ad andarmene di là sapendo che è a fare Dio sa cosa con quel figlio di puttana che lo tratta male? – aggiunge poi.

Oh, miseria.

Lo sapeva.

Che ero con Tsukki, intendo. Lo sapeva eccome.

− Ti ho detto che arriva, Teru. Non rompere i coglioni. –

− E invece te li rompo eccome, stronzo! –

Non so se ridere o urlare.

Riderei, perché interagiscono come due adolescenti ribelli nonostante la situazione mi sembri tutto tranne che divertente, ma mi vien anche voglia di urlare che sono qui, che ci sono.

− Mi manca, Futa. Mi manca, cazzo. E non voglio che stia con quell'altro. – è l'ultima cosa che sento uscire dalle labbra di Terushima.

Mando a fare in culo l'ansia.

La claustrofobia delle persone, la paura del contatto degli altri.

Prendo questa cazzo di porta dove ho appoggiato sonoramente la mano, respiro a pieni polmoni l'aria solitaria che ho in questo solo istante, ed entro.

Entro e lo vedo.

− Yūji! – urlo, dall'altra parte della stanza.

La reazione è...

Strana.

Yūji ha il viso arrossato classico di chi ha bevuto, è seduto a gambe larghe sul divano con una canottiera, diversa ma simile da quella che aveva il giorno in cui ci siamo, se si può dire, conosciuti, a vagare con lo sguardo meditabondo per la stanza.

Sgrana gli occhi.

Li apre e li spalanca.

Si tende, lo vedo oltre gli spacchi ampi e laterali della maglietta che nemmeno si potrebbe definire tale, e si sporge verso di me cercando di mettermi a fuoco.

− Yūji, eccomi, sono... sono arrivato, ci sono, io... ho dovuto correre ma... − blatero senza alcun senso non sapendo nemmeno cosa io stia buttando fuori.

Terushima si gira verso Futa, in piedi appoggiato sul bracciolo.

Dice qualcosa.

Mi sembra di leggere un "è davvero lui" dal labiale, ma non ci giurerei.

So che Futa annuisce.

E so l'attimo dopo che Yūji si alza.

Cammina un po' storto, non troppo però, a falcate ampie e con il fiato che sembra rimanergli incastrato in gola, il viso che lentamente si apre in un sorriso quasi rasserenato, e prima che me ne renda conto eccomi, tirato su da braccia che non dovrebbero essere così forti e spremuto contro una spalla rigida.

− Sei tu? –

− Sono io, Yūji, sono io, eccomi, ci sono. –

Infila il mento sull'incavo del mio collo e inspira.

− Non sai quanto volevo vederti. – mormora, poi mi stringe ancora, più forte, più forte, fino quasi a fondermi col suo petto.

Me le godo, le sue parole, perché sarò uno stronzetto che balla fra due stanze, ma l'affetto lo apprezzo e quello che mi dà Yūji, quello, è imparagonabile.

Stringo le braccine magre attorno al suo collo.

− Sono qui. – ripeto.

− Sei qui. – ripete a catena.

Non mi molla, men che meno mi lascia scendere a terra, no.

Preme forte il naso contro la mia pelle, indietreggia barcollando e inizio a credere che non siamo poi tanto stabili, e quando si lascia cadere all'indietro contro il divano trascinandomi con sé mi scappa un urletto molto poco virile dalle labbra.

Si stacca con gli occhi che cercano qualcosa sul mio viso.

− Ti sei fatto male? Ti ho fatto male? – dice, le parole che si impastano le une alle altre, mentre mi sposto per sedermi al suo fianco e scuoto la testa.

− Ma no, figurati. –

− Sicuro? –

− Mi sono solo preso un infarto, scemo. Stai tranquillo. – borbotto ancora.

Ha il modo di fare di un cucciolo nel modo in cui mi guarda, niente di quella sensualità sfacciata e consapevole, solo molta molta... tenerezza?

Tenero è qualcosa che di Yūji Terushima non avrei detto mai.

Tutto ma tenero davvero no.

Terushima è sensuale, è infido e ti si infila sotto la pelle attaccandosi all'interno del tuo cervello, è seducente e affascinante, un po' misterioso e inspiegabilmente dolce.

Ma tenero, tenero no.

E invece, a dimostrarmi una volta ancora che nella vita assegnare ruoli prestabiliti alle persone non ha alcun significato ed è totalmente inutile, eccolo qui che dimostra di essere una persona completamente diversa.

Si lascia cadere sulla schiena, atterra con il capo sulle mie cosce esili e spiaccica il viso contro la mia pancia tirando su la felpa con le mani, come volesse davvero respirare solo l'odore della mia pelle.

− Tutto... tutto bene? – mi viene spontaneo chiedere.

Strofina la fronte contro la tela lentigginosa del mio addome, mi stringe la vita con le braccia, si sistema.

− Ora sì. Prima una merda. – risponde, brutalmente onesto.

Mi lascio andare ad un risolino che sente dal tremore del mio corpo.

Involontariamente lascio scendere una mano fra i suoi capelli, fra le ciocche chiare, gratto appena con la punta delle unghie.

Fa un verso che sembra a metà fra le fusa di un gatto e un gemito di soddisfazione.

− Volevi che venissi alla festa con te? – mi azzardo.

− No. – ribatte.

Silenzio.

Silenzio nel marasma.

Yūji prende fiato, sembra sciogliersi contro di me mentre nota che non ho smesso di coccolarlo.

− Non voglio che tu te ne vada mai, è quello il problema, Tadashi. – confessa.

Il cuore mi esplode nel petto.

Prende letteralmente fuoco.

− Ho provato anche con altre... sai, con altre persone. Ma non voglio niente da loro e alla fine mi ritrovo sempre a pensare a te. –

Lì per lì non so come prenderla.

Esattamente la stessa cosa che è successa con Tsukki un'ora fa, uguale.

Dirlo io, di oscillare, non mi crea problemi.

Sentirlo, invece, senza mascherarmi nell'ipocrisia, mi fa già più effetto.

− Hai fatto sesso con altre persone? – mi scappa.

Fatti gli affaracci tuoi, Yamaguchi.

Tu lo fai, no?

Ti sembra giusto ora farlo pesare a lui?

− Ah-ah, solo un paio. Prima facevo sesso tutti i giorni, ora mi sembra di non averne manco più voglia. Cioè, non fraintendermi, ho voglia. Ma c'è sempre qualcosa che non mi convince negli altri. – borbotta dunque, e il cuore inizia a martellarmi nel petto.

− E perché? –

− Perché loro non sono te. –

Come una botta di adrenalina pura nelle mie vene.

Sale come una fiammata, questa sensazione di potere, mi invade e mi lascia boccheggiante, a guardarlo con gli occhi spalancati.

− Ma è pieno di persone che... insomma, io... −

Ridacchia, dal basso mi guarda e mi prende il mento fra le dita, percorrendo distrattamente con i polpastrelli le fattezze del naso.

− Ma io voglio te lo stesso. –

Non so cosa...

Non so cosa dire.

So che mi fa piacere, so che aggiunge dubbi al carico che già mi porto sul petto, so che mi scatena una reazione strana nel corpo, sentirmi dire una cosa del genere, ma non so assolutamente come reagire.

− Non mi devi dire "anche io", non importa. Volevo solo che lo sapessi. –

Distolgo lo sguardo.

− Lo pensi anche quando sei sobrio? –

Non risponde ma annuisce. Non posso di certo esserne pienamente sicuro, ma qualcosa mi dice che dovrei fidarmi, soprattutto se me lo dice in questo stato.

− Stavate facendo sesso? Tu e quello? –

Strizzo il naso.

− Anche fosse? –

− Se stavate facendo sesso sono felice che Futa ti abbia interrotto. – blatera senza ritegno.

Tiro dento l'aria dalla bocca in una mezza risata.

− Stavamo per. –

− E perché lui sì e io no? –

La domanda mi spiazza.

Completamente.

Rimango come un cretino a fissare il vuoto cercando di riaccumulare i miei pensieri e metterli in fila uno dopo l'altro.

− Sei stato tu a dirmi di no, però. – è quello che riesco a dire alla fine.

Terushima si mordicchia il labbro rimuginando.

− Oh, miseria, cazzo, sì. Sono un coglione. –

− È forse rimpianto, quello? – lo stuzzico.

− Cento per cento. So che avevo dei buoni motivi ma ora non me li ricordo. –

Alzo le spalle.

− Lo dici solo perché sei eccitato. –

− Sono un ventenne bisessuale con i capelli decolorati che studia storia dell'arte, Tadashi. Io sono sempre eccitato. –

Rido di gusto.

È buffo, è... divertente.

Premo due dita sulla sua fronte.

− Sei un cretino. –

− Oh, che novità. –

Sorrido, e sorride anche lui.

Ci sorridiamo a vicenda, direi.

− Mi dai un bacino? – sputa poi fuori di botto.

Un'altra volta, mi congelo, fermo e immobile.

La prima cosa che penso è... "un bacino"? Quello che mi ha dato spudoratamente della troia ed è stato capace di farmi venire in un quarto d'ora netto su questo stesso divano che mi chiede un "bacino"?

La seconda è che Futa o Bob o chi dei due ora non ricordo avesse ragione. Teru è davvero appiccicoso, da ubriaco.

− Non credo sia una buona ide... −

− E dai, uno solo. Uno piccolo. –

Sospiro.

− Uno solo però. E non fare quella faccia da cane bastonato, mi fai sentire in colpa. –

Sbatte le ciglia e gli occhi sono grandi, vitrei.

− Quale faccia? –

− Aah, stai zitto. –

Mi chino con calma, le braccia forti di Yūji mi cingono il collo dal basso e mi tengono stretto, senza costringermi però.

Mi fermo qualche secondo ad osservarlo così da vicino, lui e il suo viso perfetto e i tratti rudemente affascinanti.

Lo bacio di fretta e mi stacco col fiato incastrato in gola.

Si lecca le labbra.

− Oh, sì, ora sto proprio meglio. – commenta, tirando su una mano per sfiorarmi il volto.

Spontaneamente, arrossisco.

Prendo un respiro tremante.

− Allora se stai meglio, io... magari... −

Non voglio andarmene. Ma temo che rimanendo qui potrei combinare solo altro casino. Pensavo di aver raggiunto una parvenza di equilibrio fra me e le mie avventure da giovane esploratore della vita, ma a quanto pare quell'equilibrio è più fragile di quanto credessi.

− Non te ne andare. Non tornare da quello. – interrompe il mio rimuginare.

Ha il tono un po' lagnoso, appena infantile, strusciato, come se volesse rivendicare qualcosa.

− Ma... −

− Stai sempre con lui ultimamente. Lo so che siete stati insieme tanti anni e che non sono al suo livello, ma io... non lo so, vorrei... ecco... − balbetta e non capisco.

Attendo in silenzio.

− Vorrei che mi dessi un'occasione, ecco. So di non essere un buon partito, e di essere un disastro, ma... penso di... di meritarmela. –

Mi viene naturale addolcire il mio sguardo.

− Non dire così. – intervengo, ma non smette di farfugliare.

− Non ho niente da offrire, lo so, sono bravo solo a fare sesso e poi alla fine nessuno ci vuole uscire davvero con me, ma tu... tu mi piaci un sacco e secondo me non saremmo così male insieme, cioè, ecco... −

Sorrido.

Sorrido con le guance che si alzano e i pomelli degli zigomi che si scaldano, incastro le dita a fondo fra i suoi capelli.

− Non è vero, Yūji. Che non hai niente da offrire o che sei un disastro, non è vero proprio per niente. –

Rimane con le labbra appena divaricate con la voce che muore in gola, quando parla lo fa come sussurrasse.

− E allora perché non vuoi stare con me? –

Sembra che questa sera non ci siano attimi di tregua. Sembra che non ci sia questa tendenza che ho di girare attorno alle cose importanti stuzzicandole appena, sembra che oggi ci si schianti davvero, di fronte ai problemi.

− Perché non so chi scegliere. – rispondo, con tutta l'onestà che possiedo.

Abbassa le sopracciglia.

− Cos'ha quello che io non ho? –

Cos'ha?

Tante cose, Yūji, come tante cose hai tu che lui si sogna.

Tu sei spensierato e non stai dentro una regola che sia una, non sei regolare e sorridi sempre così tanto che mi sembra la terra mi manchi sotto i piedi. Ma Tsukki mi dà sicurezza e mi mette su un piedistallo fatto di confessioni sussurrate e mani che si cercano.

Siete diversi, troppo diversi per rispondere a questa domanda.

− Non saprei dirtelo. Ma non è di Tsukki che ti devi preoccupare, è di me. Sono io quello che fa casino, non lui. – tento di mettere in chiaro.

Sporge il labbro.

− Che tu faccia casino non m'interessa. Tu fai quel che ti pare. –

− E Tsukki no? –

− No. –

Ridacchio.

− Sei geloso? – chiedo.

Non lo facevo geloso. Non me l'ha mai fatto vedere.

− Certo che sono geloso, sono geloso come uno stronzo, Tadashi. Se beccassi Tsukishima per strada lo tirerei sotto con la macchina. Ma è un problema mio, non ha niente a che fare con te. – borbotta di risposta, stringendo le braccia conserte.

Questa frase mi colpisce.

Mi hanno colpito quelle prima, ma questa lo fa in modo particolare.

Mi si insinua nel petto e si stringe sulla bocca del mio stomaco, mi dà da pensare.

− Se lo ammazzassi ti metteresti con me? –

Scuoto la testa.

− Ti denuncerei alla polizia. –

Tira l'aria dentro la bocca.

− Stronzo! –

Ridiamo ancora, poi la risata sfuma e il rumore delle persone ci circonda e rimaniamo solo a guardarci negli occhi come non potessimo fare altro.

− Un altro. –

− Che? –

− Baciami ancora. – chiede.

Rimango fermo.

− Non so se sia una buona idea, davvero, Yūji. –

− Vuoi farlo? –

− Sì, ma... −

Mi fissa dritto nelle pupille, allunga una mano e mi tira verso di sé.

Ha bisogno, quando mi bacia, e questo non è chiaramente un "bacino", no. Questo è un bacio con tutti i crismi, uno con le labbra spalancate e il fiato che manca.

Mi stacco stringendo le sopracciglia fra di loro.

− Hai detto che volevi. – si giustifica.

− Ho mollato Tsukki a casa, Yūji. Non so quanto sia rispettoso. – contesto.

Gli passa un'ombra in viso, mi stringe più forte il collo e strofina le labbra contro le mie.

− Mmh, mi piace. Facciamo gli irrispettosi insieme, ti prego. –

Anche ora mi sento tremendamente spezzato a metà, cazzo.

C'è una parte di me che dice "fallo, Tadashi, sarà la cosa più eccitante che farai mai nella vita, miseria", e l'altra mi bacchetta le mani al grido di "che persona sei", e nel dubbio, questa volta, cerco di ragionare a mente fresca.

No, non voglio lottare col senso di colpa di essermi messo a fare chissà che cosa mentre Tsukki mi aspettava a casa.

E ho l'impressione che questo, questo Yūji da sobrio non lo farebbe.

Lo bacio velocemente, giusto un attimo.

− Alzati, ti porto a letto. – gli ordino.

Mi fa l'occhiolino, ma è poco convinto.

− A...? –

− A dormire, cretino. Su, cammina. –

Si tira su col busto col broncio in viso.

− Sicuro? –

− Sicurissimo. Allunga le mani e te le taglio, rubacuori. –

Poggia le gambe lunghe una ad una sul tappeto, con calma cercando di mantenere l'equilibrio che però gli manca.

Sbuffo.

− Appoggiati. –

− Ma non avevi detto che... −

− Finisci la frase e ti mollo per terra. –

Ride, aspettando che mi alzi e aiutandosi con il mio corpo a reggersi, la testa che pende appena verso di me che pure sono discretamente più basso di lui.

Ci sono troppe persone in questo cazzo di posto.

Un paio di ragazzi ridacchiano fra di loro di fronte a me, mentre cerco di passare.

− Scusatemi, potete per favore... − inizio, ma Yūji scuote la testa, si schiarisce la gola.

− Voi due, via dai coglioni. – dice, alzando appena il tono.

I due si girano come avessero sentito qualcosa di terrorizzante, si defilano in un secondo.

− Che era quella reazione? – chiedo, trascinandolo ancora avanti.

Ridacchia.

− Rissa. –

− Hai fatto una rissa con quelli? –

− Diciamo. –

Sono curioso, lo ammetto, ma al momento m'interessa solo di spalancare la porta con un calcio, entrare in camera e godermi un secondo di silenzio.

− Vai a letto. –

− Solo se vieni con me. –

Stringo le braccia al petto.

− Yūji, te l'ho già detto, non mi sembra il caso di... −

− Solo a dormire, per favore. Solo... a dormire. –

Prendo fiato con calma, indietreggio e chiudo la porta... con me dentro.

− Posso togliermi la maglietta? – mi chiede.

La domanda mi fa sorridere. Sarà anche appiccicoso, da ubriaco, ma è pur sempre lui, non è vero?

− Tutto tranne le mutande. Se ti togli le mutande ti denuncio. – rispondo, indicandolo con un dito e alzando un sopracciglio.

− Che c'è, poi non resisti? –

Mi metto le mani ai fianchi.

− Yūji! –

− Che c'è? Un cristiano non può nemmeno più provarci, ora? –

Scoppio a ridere mentre mi avvicino per aiutarlo. Non sembra riuscire a svestirsi molto bene, anche se forse sta solo fingendo per ottenere questo esatto risultato, ma ignoro la questione e mi appoggio in ginocchio sul materasso per dargli una mano.

− Sei incorreggibile. –

− Lo dicono in tanti. –

Slaccio la cintura senza alcun secondo fine.

Yūji mi interrompe schiarendosi la voce.

− I pantaloni me li tolgo da solo o qui non andiamo da nessuna parte, Tadashi. –

Allontano le mani e mi lascio cadere all'indietro sul letto.

− Come vuoi. –

− "Come voglio" è un eufemismo, ma lasciamo perdere. –

Si sfila i jeans con un po' di fatica, poi indietreggia sul letto e si spiaccica al mio fianco a pancia sotto.

− Vieni qui. – chiedo.

Sbuffa.

− Dove? –

Appoggio una mano sulla sua schiena nuda, la pelle è calda, bollente quasi. Lo tiro verso di me e aspetto che si avvicini, che appoggi la guancia contro il mio braccio.

Mi giro di lato, lo guardo in viso.

Lascio scendere e salire le dita contro la spina dorsale.

− Ti gira la testa? – chiedo.

Scuote il capo come può.

− Come stai? –

Stringe le labbra in una linea, poi espira.

− Bene ma male. –

− In che senso? –

− Sto bene perché sei qui. Sto male perché so che alla fine non rimarrai. –

− E chi te l'ha detto? –

Alza appena gli occhi al cielo.

− Andiamo, non dirmi cazzate. Chi sceglierebbe me al posto di quell'altro, Tadashi? –

Dio, certe volte lo farei decisamente.

Ma non rispondo in questo modo, rispondo nel modo più onesto che posso riuscire.

− Non sto scegliendo fra te e Tsukki, Yūji. Sto scegliendo fra me con te e me con lui, è quello il punto. –

Sorride.

− Questa risposta mi piace. –

− Sono felice. –

Mi concedo di avvicinare appena le labbra contro la sua spalla, senza smettere di accarezzare la sua schiena.

− Mi vuoi raccontare di quella rissa, allora? –

− Bah, primi anni da sciupafemmine diciamo che li ho fatti un po' senza guardarmi intorno. –

− Cioè...? –

Sento il rumore di una risata formarsi e fermarsi fra le sue labbra.

− Ero in un locale che non conoscevo, sai, avevo diciotto anni e c'era questa signora molto bella e io... −

− Non mi dire che... −

− Mi sono fatto sua madre. Ma era una bellissima donna divorziata, a mia discolpa. Poi non mi sono fatto altre madri, giuro. Solo quella volta. –

Scoppio a ridere tanto forte che mi si contorce lo stomaco.

− Tu hai fatto cosa? –

− Che ne sapevo io! Sembrava più giovane! –

Riprendo fiato un attimo alla volta.

− E il padre di qualcuno no? –

− No, i padri vogliono sempre stare sopra e io sotto non ci sto. – risponde, imbronciato.

Alzo le sopracciglia.

− E se io volessi stare sopra? –

− Uno che geme come fai tu non sta sopra. E anche fosse sarei felice di donarti il mio fiore. –

Stringo gli occhi.

− Il tuo che? –

− Il mio fiore. –

Mi copro contro la sua spalla per soffocare le risa che ormai escono troppo, troppo forti.

− Sei un... −

− Coglione? Cretino? –

− Tutti e due, cazzo! –

Si ferma con una mano sul mio viso e mi guarda un istante come fosse la cosa migliore che abbia mai visto, la mia faccia mentre rido.

− Posso farti una foto? – chiede, di punto in bianco.

Spalanco le ciglia.

− Una foto? –

− Ho la polaroid nel cassetto, se ti va. –

Strizzo gli occhi, poco convinto.

− Le fai a tutte le persone con cui vai a letto? –

Fa "no" con la testa.

− Le faccio alle cose che mi piacciono da vedere. Pensavo di farci su la tesi di laurea, su una cosa del genere. –

− Sulle polaroid? –

− Mi piacerebbe parlare di fotografia, è la forma d'arte che preferisco, e magari del valore diaristico della fotografia amatoriale in contrasto con quello più storico o culturale della fotografia d'arte, di come possano conciliarsi e differenziarsi, qualcosa del genere. Sono troppo ubriaco per parlarne bene. –

A me sembrava ne stesse parlando "bene", ma non dico nulla a riguardo.

− La fotografia? – chiedo.

− Già. È come dipingere ma sulla realtà. Mi sembra poetico, non so se mi spiego. –

− E vorresti fare una foto a me? –

Annuisce.

Direi che... va bene.

Mi allungo verso il comodino, rovisto fra le cose e inquadro una di quelle macchine fotografiche analogiche tutte piene di sticker e polvere.

Deve averne passate parecchio.

Gliela passo e la prende con un braccio, senza spostarsi.

− Rimettiti com'eri prima. – chiede.

Mi abbasso, appoggio il mento sulla sua spalla, sorrido appena e appoggio la mano sulla sua schiena.

Rimaniamo in silenzio, quasi a cercare il momento esatto sospesi a metà nel fiato che non espiriamo, poi il flash esplode, mi inonda il viso ed è tutto finito.

Il quadratino scuro esce con un rumore acuto dalla macchina, Yūji lo prende e lo appoggia sul comodino dalla sua parte, mette via la macchina fotografica e torna steso.

− Posso vederla? –

− Domani. Lasciala in esposizione. –

Sbuffo.

− Come vuoi. –

Si mette giù, gli occhi che noto sono sempre più verso il basso e il respiro sempre più tranquillo.

− Credi che riuscirai a dormire? – chiedo.

− Fammi i grattini. –

Piego la testa.

− Te li sto facendo. –

− Mmh, e allora non smettere. –

Non lo faccio.

Non smetto.

Appoggio un'altra volta un bacio soffiato appena sulla parte alta della spalla, continuo a muovere le dita nello stesso movimento calmo e lo sento respirare sempre più regolarmente.

Mi sporgo per guardare oltre lui.

Sul comodino la foto è ormai definita.

Ci sono io che sorrido col viso appoggiato su una schiena piena di tatuaggi, e più dettagli non li carpisco che dovrei saltargli oltre e non mi sembra il caso.

Aspetto che si addormenti.

Penso se dovrei tornare a casa.

Tiro fuori il cellulare dalla tasca.

[Tsukki <3] >> non so dove cazzo tu sia finito ma la prossima volta mi offri la cena <<

Sembra che non si sia offeso, direi. Non così tanto.

So cosa devo fare ma farlo, farlo mi risulta difficile.

Yūji dorme sodo, sempre più sodo, tanto che mi sembra quasi che nemmeno una cannonata potrebbe svegliarlo, quando scivolo via dal letto.

Mi chino e bacio questa volta la sua guancia, come volessi scusarmi.

[You] >> sto tornando, scusa per il ritardo <<

Digito il messaggio di fretta, e la sensazione che ho nel petto è di star facendo una cosa così sbagliata da farmi tremare le gambe.

Ma oggi facciamo la cosa giusta.

È giusta?

Non ne ho idea.

Esco dalla stanza facendo piano.

Non cerco Bob e Futa, non cerco nessuno mentre me ne vado, col petto che sembra pieno di ferro.

Trovo una sigaretta nella tasca, la appoggio fra le labbra e l'accendo distrattamente, sbuffo il fumo in alto, mi lascio andare.

Mentre torno a casa, da Tsukki, solo un pensiero minuscolo non riesco a cacciar via.

Eppure sorridevi in quella foto, Tadashi.

Eppure sorridevi.

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