capitolo 73 - Chloe

Chloe

Cinque giorni, cinque maledettissimi giorni e non faccio altro che rivedere quegli occhi che mi guardano, tormentandomi.

Non ne ho fatto parole con Sofy, non mi andava di riparlarne, angosciandomi più di quanto già io non stia facendo da sola.
Eppure il suo sguardo mi perseguita ovunque io guardi, con la segreta speranza di rivederlo, cercandolo fra la gente quando sono per strada, quando sono nell'autobus, perfino a casa, continuo a fissare fuori dalla finestra della mia stanza, ma su quel maledetto marciapiede non c'è mai nessuno.

Non dovrei avere queste speranze, lui non merita queste speranze, ma è più forte di me, per quanto continui a ripetermi di doverlo solo odiare, di doverlo solo dimenticare.

Ma come si fa a spegnere il cuore?

Se riuscissi a dare ascolto alla ragione, avrei già rattoppato in qualche modo lo squarcio impresso nel mio petto, che ancora tenta di risucchiarmi nel suo vuoto fatto di dolore.

« Chloe, che ne dici di finire prima oggi? Non mi sembri concentrata.»
Thomas mi richiama, per l'ennesima volta mi ero persa nel mio mondo oscuro fatto di Andrea e deliri su ciò che non farà mai.
Sorrido imbarazzata portando una mano ai capelli, è l'ennesima volta che rallento il nostro lavoro, e so che dovrei essere più professionale a questo punto.
Lui avvicina il viso di soppiatto al mio, non prima di essersi guardato intorno, lo guardo stranita non capendo cosa voglia fare, sembra un bambino dopo aver fatto una marachella che vuole nascondere.
«Ormai l'orario di lavoro è quasi finito, dai, usciamo prima con la scusa di un sopralluogo e andiamo a fare due passi.»
Sussurra con attenzione la sua proposta portando l'indice alle labbra per sottolineare che questo dovrà essere un nostro segreto, poi tenta di fischiettare ma non gli riesce bene.

Io trattengo una mezza risata, non avrei mai detto che fosse un tipo furbo, all'improvviso è riuscito, con le sue facce buffe a farmi tornare il buon umore.
La verità è che ha capito il mio stato d'animo e ha cercato di risollevarlo.
«Mi dispiace davvero tanto, ma devo andare alla caffetteria della zia di Sofy per dare una mano, serve aiuto.»
Sono un po' rammaricata nel rifiutare, ma sul suo volto si forma un sorriso stranamente.
« E gli amici a cosa servono? Vengo a darti una mano anche io, non mi va di tornare a casa.»
Non mi aspettavo di certo una proposta del genere, inizialmente mi trovo spiazzata e non so cosa rispondere, ma il suo entusiasmo mi spinge ad accettare.

Usciamo insieme dall'azienda e ci separiamo solo per andare ognuno alla propria auto, mentre salgo nel mio piccolo bolide penso che posso farcela, posso affrontare i momenti bui grazie a me stessa e, quando ne ho bisogno, come poco fa, grazie all'aiuto di chi ho intorno.
Thomas è riuscito a farmi sorridere senza sforzi, senza saperlo, e non è la prima volta, eppure ci conosciamo così poco.

Devo reagire come ho cercato di fare fin'ora, non può e non deve rifarmi piombare nell'abisso dell'oscurità un incontro casuale.
Andrea non riuscirà più a farmi del male.

Arriviamo davanti la caffetteria della zia di Sofy in meno di venti minuti, Thomas mi ha seguita con la sua auto enorme e ora sta parcheggiando, io mi sento quasi in colpa per quello che dovrà subire sapendo che la sua fan numero uno è lì dentro e, appena lo vedrà, gli darà il tormento.

Sorridente mi raggiunge e il suo buon umore stranamente riesce a coinvolgermi, spazzando via i nuvoloni neri che rischiavano di rovinare la mia giornata.
Non abbiamo il tempo di varcare la soglia del locale che un gridolino ci gela bloccandoci lì, tutti i clienti si ammutoliscono, decine di occhi, compresi i nostri, sono puntati verso la fonte di quel suono, ovvero Sofy.
«Oohh.»
«Sofy, stai bene?»
Mi avvicino preoccupata vedendola immobile con una mano alla bocca, mentre ci guarda con i suoi minuscoli occhi sbarrati.
«Thomas, sei qui perché ti sei reso conto di amarmi alla follia e vuoi ritrattare ciò che hai detto l'altra sera al ristorante?»

Non ci posso credere, non è riuscita ad essere normale neanche per tre secondi vedendolo.

Arresa, con spalle basse, mi volto ignorandola e me ne vado dietro il bancone a prendere due grembiuli.
«Ehm, no, sono qui con Chloe e se posso darò una mano.»
Il mio amico è un po' imbarazzato ma ha iniziato a non badare alle stranezze di quella pazza perché subito dopo lo vedo già a suo agio.
Gli passo il grembiule ed entrambi lo indossiamo, saluto gli altri dipendenti e faccio le presentazioni.
Devo dire che il resto del pomeriggio si rivela illuminante, scopro un ragazzo giocoso e disponibile, che oltretutto non se la cava male a destreggiarsi dietro il bancone.
Osservo come addirittura ad una cliente crea un disegno con panna e cacao sulla superficie della sua tazza di caffè.
«Dove hai imparato a fare queste cose?»
Lo guardo ammirata e in attesa, più curiosa che mai, mentre lui ridacchia appena.
« Forse dovrei raccontarti di quando io e i miei due coinquilini, al college, facevamo notti brave per pagarci gli studi facendo i baristi in un pub.»
La mia mandibola si spalanca talmente tanto che credo si stia staccando per la sorpresa.
Mi fa cenno col capo di avvicinarmi, ed io non perdo un attimo, affamata di dettagli succulenti, sicuramente indicibili a voce alta.
Il mio orecchio è ben teso, proprio accanto alla sua bocca e il suo respiro caldo solletica la mia pelle.
« Sto per dirti chi erano i miei due coinquilini, uno lo conosci, l'altro potresti e in caso contrario, devo presentartelo.»
L'attesa che ne segue mi tortura.
« Il proprietario del pub più famoso di Brooklyn, dove si fa musica dal vivo.»
Mi scanso per la sorpresa fissando i suoi grandi occhi neri che sono a pochi centimetri dai miei.
«Parli del Last Soul? »
Lui annuisce semplicemente, e poi rivela l'ultimo nome.
«L'altro coinquilino è Aiden, ha lavorato per voi come fotografo, lui mi ha fatto avere un colloquio.»
Ecco, ora la mia mandibola sta roteando da qualche parte per il locale.

«Sei proprio carina e buffa con questa espressione sorpresa.»
Siamo ancora molto vicini, così tanto che posso sentire bene il suo alito profumare di caffè, con una nota di whisky, che ha assaggiato per curiosità prima, così vicini da sentirmi ad un tratto imbarazzata, soprattutto quando sposta dolcemente una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio, accennando un sorriso sincero e dolce.
«Magari, dopo il tuo turno, potremmo andare a cena, da soli.»
Mi ritrovo a muovere la testa su e giù, senza dire una parola, anche se non sono certa di aver capito bene in cosa io mi stia cacciando, mentre lui morde il suo labbro inferiore.

Eppure, queste attenzioni, stranamente, non mi danno fastidio, e resto immobile a fissare il vuoto, dove prima c'era la sua figura, ora che Thomas è sparito per servire un cliente, chiedendomi il perché di questa sensazione di familiarità.
Forse mi sono semplicemente stancata di star male per qualcuno che non mi merita e non lo ha mai fatto, per qualcuno che mi ha abbandonata non reputandomi abbastanza importante, abbastanza preziosa.

Che c'è di male se cerco di cancellare Andrea dalla mia vita e dal mio cuore?
Il dolore è stato così forte, così totalizzante che, ora, ad ogni costo guarirò.

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