capitolo 69 - Chloe
Chloe
Con mani tremanti apro lo sportello e con molta lentezza esco dall'auto come se mi trovassi in un vecchio film a rallentatore, i miei occhi cercano fra tutte le altre auto una in particolare, ma stranamente non la trovano, nonostante l'ora tarda.
Guardo ancora l'orologio al mio polso e mi stranisco nuovamente nel non trovare la sua auto, ma poi penso che probabilmente, per evitarmi, possa aver deciso di parcheggiare vicino l'ascensore dall'altro lato.
Istintivamente guardo in quella direzione, ma sarebbe impossibile da qui riuscire a capire se ho ragione, nonostante non sia molto distante.
Per un attimo penso di andare a controllare, ma non lo faccio, non sono affari miei come vuole comportarsi o se ha deciso di evitarmi cambiando abitudini.
Rimuginando fin troppo su questi pensieri, mi avvio a passo spedito all'ascensore e risalgo fino al quinto piano, la voglia costante di correre via per non vederlo e contemporaneamente il bisogno di incontrarlo per vendicarmi con indifferenza, urlano dentro di me.
Non appena le porte metalliche si aprono, il mio cuore si ferma per l'ansia, davanti a me le solite macchinette con alcuni colleghi che saluto, altri pochi passi e la sala comune con altre scrivanie e sorrisi familiari che ritrovo.
Poi, a pochi passi intravedo la porta del suo ufficio lungo il corridoio, aperta, e cerco di respirare per trovare il coraggio di fare l'indifferente quando passerò proprio lì.
I miei piedi, uno davanti l'altro, tremolanti purtroppo, si dirigono proprio in quella direzione, e il mio respiro diventa sempre più pesante, ma quando sono ad un soffio da quella porta, ecco uscire da quell'ufficio Mark.
Per un attimo sono sollevata, se lo avessi incontrato così non so come avrei reagito.
«Chloe, come stai? Ti sei ripresa dall'influenza?»
Sbatto le ciglia confusa inizialmente, poi mi ricordo all'improvviso di aver inventato di star male per giustificare questa settimana di malattia da lavoro, quindi lo ringrazio per la premura.
« Sì, grazie, sei stato carino anche a mandarmi qualche messaggio, scusa se non ti ho risposto.»
Evito di specificare che non ero in grado di conversare in questi giorni perché caduta in uno stato semi catatonico.
La conversazione dura davvero poco data la sua fretta, il ché non mi sorprende, tutti qui seguiamo ritmi diversi in base alle scadenze e quando si avvicinano, gli ultimi giorni possono essere frenetici.
Ma in realtà è ciò che dice per giustificare il fatto che stia scappando letteralmente via che mi spiazza completamente, freddandomi sul posto.
« Mi fa piacere, ora scusami ma vado di corsa, Andrea, andando via, mi ha lasciato nei casini, ora ho da pensare anche ad alcuni suoi progetti.»
Mark ha fatto già qualche passo verso gli ascensori, io continuo a ripetere le sue parole, devo persino ripeterle ad alta voce per poterle capire prima di essere in grado di tornare alla realtà e reagire.
Lo vedo allontanarsi sempre più da me ma gli corro dietro e afferro il suo braccio con la mia mano per bloccare la sua corsa.
Mi guarda inizialmente confuso ma il suo sguardo riflette esattamente il mio, perché non riesco davvero a capire il senso della frase assurda che ha appena pronunciato.
« Cosa vuoi dire con la frase 'Andrea è andato via'?»
La sua fronte olivastra si aggrotta per un attimo, i suoi occhi neri sono contornati da sopracciglia rivolte verso il basso e sto aspettando con ansia che parli, ma non si decide a farlo, anzi, continua a scrutarmi con molta attenzione.
«Vieni con me.»
Ad un tratto diventa serio e mi porta, afferrando lui il mio gomito, verso il suo ufficio, più ci avviciniamo a quella porta, più i miei passi sembrano diventare pesanti e difficili da fare, e credo di esserne capace solo perché praticamente tirata da Mark.
Ma lì dentro, con mia grande sorpresa, non c'è nessuno.
Osservo una scrivania vuota, mentre il mio collega chiude la porta per avere un po' di privacy.
«Andrea ha lasciato l'azienda una settimana fa, è venuto qui, fuori dall'orario di lavoro a svuotare l'ufficio, e non ha salutato nessuno.»
Io continuo a fissare questo tavolo color ciliegio, senza la sua pallina antistress rossa, il muro dietro dove non c'è più la mazza da baseball autografata.
È davvero tutto finito.
Non mi rendo conto che i miei occhi iniziano a riempirsi di lacrime fino a quando una di queste non solca il confine e scivola lungo la mia guancia.
La asciugo immediatamente finché mi trovo ancora di spalle, sperando che questo movimento non mi tradisca e Mark non si renda conto di quanto io sia stata vittima di quell'uomo.
«Chloe, ti ha lasciata, vero?»
Queste parole sono lame che entrano nel petto, nella carne, fino al cuore sanguinante, facendomi trattenere il respiro come se sentissi dolore.
Mi prendo qualche istante per respirare e stamparmi un sorriso appena accennato, purtroppo vorrei fare di più, ma non ne ho la forza in questo momento.
Vedo nei suoi occhi quasi pietà per me e questo fa crescere la rabbia verso me stessa e verso un uomo che non è stato tale, perché altrimenti non mi avrebbe abbandonata, o che non avrebbe proprio iniziato una storia sapendo di voler solo giocare.
«Senti, ora io devo davvero andare perché mi stanno aspettando, ma se vuoi, possiamo prendere un caffè più tardi, o domani.»
Gli faccio solo un cenno col capo, lo vedo uscire da quella porta e per quanto vorrei ringraziarlo, lo faccio solo nella mia mente, promettendomi di farlo poi durante questo caffè programmato.
Il mio telefono suona ripetutamente per l'arrivo di diversi messaggi, uno dietro l'altro, è il modus operandi di Sofy per farsi notare.
Lo afferro dalla borsa rossa portafortuna, che credo proprio non sia più efficace, e li leggo, mi chiede come sto, se ho incontrato Andrea, e poi, trovo un messaggio di Grace, da quando il fratello mi ha lasciata mi ha scritto almeno una volta al giorno facendomi sentire la sua vicinanza.
Vorrei chiederle perché lui abbia lasciato l'azienda, ma non è affar mio.
Forse la paura che mi risponda che sia a causa mia un po' mi frena, ma non credo di essere così importante da dirigere le sue decisioni, soprattutto alcune così importanti.
Questo lavoro era tutto per lui, eppure non ha impiegato più di un attimo a cambiare vita.
Come un automa esco da questo ufficio, non prima di aver dato un ultima occhiata a quella scrivania vuota, a quella sedia vuota, i ricordi di quando sono entrata qui dentro ed è iniziato tutto mi travolgono come un fiume in piena trascinandomi alla deriva.
Le nostre battute pungenti, gli sguardi scocciati, e poi quel ridicolo patto che ci ha avvicinati per conquistare a vicenda Mark e Carolina, ma che è servito solo a farci scoprire l'uno all'altra, finendo per innamorarci.
Almeno è ciò che è successo a me, è ciò che credevo io, è ciò che mi ha fatto credere.
Ora, lui è solo questo, un ricordo, una stanza vuota, una porta da chiudere alle mie spalle.
Ed è ciò che farò.
In realtà, questa è proprio la mia occasione per lasciarmi tutto nel passato e rinascere, riprendere in mano la mia vita e tornare la Chloe che ero prima che lui ne facesse parte.
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