capitolo 59- Chloe
Chloe
Questa situazione creatasi con Andrea mi fa male al cuore, credevo finalmente che le cose per noi stessero andando bene, che il nostro legame fosse sempre più solido, invece, non si fida abbastanza di me da dirmi cosa lo turba, o meglio, chi.
Chi nasconde dietro quel telefono?
Appena sono arrivata in azienda ed ho aperto la porta del mio ufficio lui era poggiato alla mia scrivania, scambiava due chiacchiere con Erik, sono semplicemente entrata e mi sono seduta al mio posto, ignorandolo.
I suoi occhi mi scrutavano quasi severamente e far finta di non sentire le sue richieste per poter parlare in privato, è stata un tantino dura.
Maggiormente quando ha avvicinato il suo viso di fronte al mio abbassandosi su di me, per fortuna non eravamo soli e a dividerci c'era una scrivania.
L'istinto di schiaffeggiarlo e subito dopo baciarlo, era davvero potente e al contempo difficile da tenere a freno, mi succede ogni volta che quegli occhi mi giocano un brutto tiro, ma ho tenuto fede ai miei intenti.
Quando poi si è rialzato e ha infilato le mani in tasca respirando rumorosamente facendo fuoriuscire dal naso tutta l'aria, come se fosse un toro inferocito, ho capito che la sua pazienza era ormai andata a farsi benedire.
Ormai c'è da dire che Erik è diventato il telespettatore d'eccellenza per questi battibecchi, lui non fa caso alla nostra poca propensione alla privacy o al fatto che possiamo disturbarlo, troppo curioso e felice di farsi i fatti nostri, e noi, non facciamo caso a lui, troppo presi da questi screzi.
Inutile dire che, dal momento in cui quel cocciuto è uscito dal mio ufficio, addirittura sbattendo la porta, con quale coraggio non lo so, la mia mente è stata per tutto il giorno fissa a cercare di risolvere l'enigma del telefono.
Fissavo lo schermo del mio computer, cercavo di interpretare quei grafici, tentavo di fare ricerche per la nuova campagna che il capo mi ha affidato insieme proprio ad Erik, ma è stato tutto inutile.
«Ho buttato giù delle idee per lo slogan, tu hai finalmente contattato il fotografo o devo mettere io mani nei tuoi contatti?»
Come per magia Erik, con quella parolina, fa accendere la lampadina che con me da tutto il giorno non ne ha voluto sapere di farlo, il mio sguardo entusiasta, che inizia a coinvolgere tutti i muscoli facciali, e giuro, non sapevo di averne così tanti, si proietta sul viso del mio collega.
Mi alzo di slancio e con due saltelli finisco a due centimetri dal viso magro e simpatico del mio ormai amico geniale.
«Perché stiamo sorridendo?»
Chiede confuso e coinvolto dal mio fare.
«Tu sei un genio.»
Gli schiocco un bacio sulla guancia e corro letteralmente verso l'ufficio di Andrea, ora so come non destare sospetti ma restare indisturbata intorno alla sua scrivania.
Il piano è quello di tentare di scassinare il cassetto, che in genere è chiuso a chiave, dove si trova il maledetto telefono, ed impossessarmene, se dovessi venire scoperta, ora ho una scusa valida, un alibi per trovarmi lì.
Non appena mi trovo davanti la porta azzurro opaco, il mio passo diventa quello di un bradipo, con sguardo vago fingo disinteresse nel buttare l'occhio all'interno della stanza e, bingo, è vuota.
Con uno scatto felino entro e chiudo la porta, vado dritta verso la mia meta ed osservo questo secondo cassetto color ciliegio con la maniglia in acciaio, come se fosse un tesoro, e subito dopo un rebus.
Poggio la mano su quest'ultimo e ingoio il nodo che mi si è formato in gola per colpa dell'ansia, prendo un respiro e poi con forza tiro verso di me.
Peccato che il cassetto non si muovi, è chiuso a chiave, nella mia testa la scena si svolgeva con successo e facilità, accidenti.
Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa, pronta addirittura a scassinarlo, sì, sono arrivata addirittura a questo punto, non credo che chiameranno la polizia.
Forse, per precauzione, dovrei usare dei guanti come nei film, stare attenta a non lasciare capelli in giro, ed io ne perdo tanti, li ritrovo ovunque.
Verrò arrestata perché troveranno i miei capelli come prova, colpa della mia pigrizia, non faccio stare in posa le maschere per rinforzarli, o il balsamo, ma la vita è troppo breve per attendere quei tre o cinque minuti richiesti.
Mentre sto frugando in giro, come se fossi Lupin, la porta si apre facendomi restare immobile, con occhi spalancati e il cuore che corre, sento già le fredde manette ai polsi e in lontananza le sirene.
«Chloe, come mai qui?»
Degli occhi scuri mi guardano curiosi ancora sulla soglia,ed io, tiro un sospiro di sollievo.
«Ciao Mark, stavo cercando il numero del fotografo e altre informazioni che avevo lasciato nella scrivania di Andrea, inerenti all'ultima campagna pubblicitaria alla quale abbiamo lavorato insieme.»
Se la beve, sono stata convincente visto che tranquillo va a sedersi alla sua scrivania iniziando a cercare qualcosa nel cassetto di questa.
Continuo a gironzolare intorno alla postazione di Andrea, ma con un'aria fintamente innocente, visto che non sono sola, ma devo tentare comunque di fare qualcosa, non posso tornare più tardi, per oggi non ho altro tempo.
I colleghi iniziano a salutare e andare via, la giornata lavorativa è finita, ma il mio ragazzo è ancora in azienda, il cappotto è ancora appeso qui, il computer è acceso sulla scrivania, quindi arriverà di sicuro da un momento all'altro.
So che i minuti a mia disposizione sono ormai quasi finiti e l'ansia mi sta mangiando viva.
Proprio quando sto per arrendermi e andarmene, almeno per il momento, lo vedo, frammenti di vetro e piccole parti in plastica nera vicino il muro, sul pavimento, ad un angolo.
«Che è successo qui?»
Chiedo spontanea.
«Cara Chloe, non avresti dovuto scegliere quello scorbutico al mio posto, te lo avevo detto che era un bravo ragazzo ma irrisolto.»
Fisso Mark interrogativa, non capendo ancora cosa voglia insinuare.
«Andrea ha scaraventato il telefono al muro rompendolo in mille pezzi, ed ora giace morto nel cestino, poi è uscito infuriato da qui.»
Racconta distrattamente come se non fosse la prima volta alla quale assiste ad uno sfogo simile, mentre continua a frugare nel cassetto finché non trova esultando i documenti che stava cercando.
Io resto quasi impietrita, riesco come un automa a fare qualche passo verso sinistra per fare entrare nella mia visuale il cestino dei rifiuti accanto alla sua scrivania e, fra altri fogli, eccolo.
Il telefono nero che cercavo.
«Chloe, io vado via, tu che fai? Ci prendiamo un caffè?»
Quasi non sento la voce di Mark, troppo stordita da ciò che sto ancora guardando, troppo confusa da tutta questa situazione.
Mi chiedo cosa vorrà dire, se lui abbia distrutto non solo quel telefono materiale ma anche il legame che c'è dietro, cosa rappresentava, se lo abbia lasciato dietro di sé, pronto per poter andare avanti.
E poi eccolo, delle iridi verdi talmente chiare, come alcune sfumature che riesco a vedere fra le onde in un giorno di tempesta, la stessa che sta attraversando ora la sua anima tormentata.
Ed io la sento urlare fin da qui, il suo grido di aiuto silenzioso è come un fulmine accecante in una notte nera, nero come il colore che ha definito la sua vita, la sua anima.
Ma io vedo la luce che invece emana e gli dimostrerò che può tornare il sereno nel cielo dei suoi giorni.
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