Capitolo Uno: Lost

Foresta Nera, XIX secolo

"Sappi che ti odio, Quattrocchi."

"Suvvia brontolone, quanto la fai lunga!"

"Quanto la faccio lunga dici? Ci siamo persi idiota!"

"Può capitare a tutti di perdersi, Levi, non è mica la fine del mondo!"

"Di perdersi sì, ma non nella Foresta Pluviale, cretina! E solo perché non riesci a stare per più di un minuto senza ficcare il tuo stramaledettissimo naso da qualche parte!"

Mi asciugai la fronte, insofferente: perché diavolo avevo acconsentito a partecipare a quella spedizione? Dovevo essere completamente rimbecillito quel giorno.

"Andiamo Levi, non c'è motivo di scaldarsi tanto! Guarda, ho ritrovato il sentiero, è quello laggiù! No aspetta, forse quell'altro... No no decisamente questo!"

Hanji aveva chiaramente un desiderio di morte, e io sarei stato ben più che contento di esaudirlo.

Mi rimboccai le maniche della camicia in lino, mi aggiustai il cappello a farmi scudo sul viso - povero me ed il mio insano pallore - e feci del mio meglio per ignorare il farneticare di quella scusa di donna, che intanto si era inerpicata sopra una roccia muschiata.

"Se cadi e ti rompi una gamba, io ti lascio in pasto alle bestie, ti avverto."

"Bestie dici?" I suoi occhi, nascosti dalle lenti spesse degli occhiali, brillarono di un'eccitazione perversa - "Quali tipi di animali, con precisione? Venderei l'anima per vedere un leopardo da vicino! O una scimmia urlatrice, o un tamandua! O..."

Emicrania, mi mancavi.

Erano passati a malapena due giorni dalla mia partenza, e già ero al limite della sopportazione: non era questo ciò che intendevo con il cambiare aria. Non nego che l'atmosfera londinese cominciasse a soffocarmi, sarebbe stata una bugia, ma forse avrei dovuto scegliere una meta decisamente più convenzionale rispetto alla Foresta Pluviale, e soprattutto, senza scienziati pazzi e esploratori dalle sopracciglia moleste come accompagnatori.
Ecco, forse sarei dovuto tornare in Francia per un po', nel mio paesino natale, da Farlan e Isabel: Dio quanto mi mancavano.
Ma no, volevo giocare anch'io all'avventuriero da strapazzo.
Perciò, quando Hanji mi aveva proposto questo viaggio - fantasticando sulle meraviglie della natura incontaminata, parlando senza sosta della libertà che tanto agognavo - avevo mandato al diavolo il mio ruolo di docente universitario di storia ( per un po', addio testacce vuote! ) e mi ero preso due settimane di ferie.
Quel mondo iniziava a starmi stretto, con la sua monotona routine, il grigiore del cielo, delle case, delle persone: mi sembrava di essere rinchiuso in una gabbia, e tutto questo mi provocava un senso di oppressione insopportabile. Il pensiero di lande sconfinate, orizzonti infiniti, aria pura, territori inesplorati aveva acceso in me un fuoco ardente: così, pochi giorni dopo aver firmato, mi ritrovai al molo con tanto di valigia al seguito, pronto a salpare per quella che sarebbe stata la prima, vera avventura della mia vita.
E, sul ponte della nave, con la leggera brezza marina che mi scompigliava i capelli, non potevo far altro che pensare che mai, mai avrei rimpianto quella scelta.

Ora però, irrimediabilmente perso nel cuore della Foresta, con un mal di testa allucinante e un gigantesco ragno peloso sulla mano, non ne ero poi così tanto sicuro.

Cercai di mantenere tutta la virilità possibile quando, con un gesto stizzito mi liberai di quel coso nero infernale - seriamente, quel ragno era qualcosa di orripilante - e mi sedetti sconsolato su un masso: a cosa stavo pensando, esattamente, quella mattina, mettendomi un paio di pantaloni bianchi?
Fissai il tetto di alberi sopra di me: la luce del sole filtrava sempre più debolmente, i suoni tutt'attorno sembravano attutirsi, suggerendomi l'avanzare inevitabile del crepuscolo. Fantastico, avremmo passato la notte alla mercé dei predatori, davvero fantastico.
Sospirai sconsolato, bevendo un sorso d'acqua dalla borraccia, fortunatamente ancora piena.

"Quattrocchi, smettila di agitarti e inizia a montare la tenda, è chiaro che Erwin e gli altri non verranno a cercarci fino a domattina."

Lei mi guardò colpevole, le mani sporche di terra intrecciate in grembo.

"Ecco Levi..." iniziò con voce incerta, "Potrebbe essere che abbia dimenticato la tenda alla base."

Qualcosa nel mio viso doveva essere cambiato, perché lei arretrò di colpo.
Dire che fossi incazzato sarebbe stato un eufemismo.

"Spiegami una cosa, avevi un compito, uno maledizione! Quello di occuparti dei viveri e di eventuali strumenti di sopravvivenza. E tu che fai? Porti lo zaino vuoto!"

"Bèh, propriamente vuoto non è..."

In un attimo le fui addosso e le strappai la sacca dalla schiena senza che potesse fare nulla per impedirmelo: era stranamente pesante.
La aprii, e mai come in quel momento desiderai macchiarmi le mani con del sangue: all'interno barattoli e barattolini di svariate dimensioni erano impilato gli uni sugli altri. L'afferrai per il colletto. Lei mi guardo con un sorrisino sbilenco: aveva delle foglie tra i capelli e un filo d'erba su per il naso storto.

"Mi servono per prelevare dei campioni..."

Mollai la presa con un ruggito, facendola finire a gambe all'aria per terra. Questo era uno scherzo, doveva essere uno scherzo: che qualcuno mi stesse lanciando contro delle maledizioni? Sì, doveva essere quel bastardo di mio zio Kenny che ancora ce l'aveva con me per non essermi dato alla carriera di trafficante d'armi come lui.
Decisamente era colpa di Kenny.

"Vorrà dire che dormiremo sotto le stelle!" Esclamò estasiata Hanji, ancora seduta scomposta per terra.

"Ma di che cazzo di stelle parli? Se non te ne fossi ancora accorta, abbiamo quattro metri di alberi sopra la testa, ritardata! E senza un riparo saremo preda facile per tutti quei fottuti animali che cacciano di notte, come..."

"...Puma, giaguari, margay, ocelot, pipistrelli vampi-"

"Tappati quella fogna!" Se non mi avesse ucciso una di quelle bestie, sicuramente lo avrebbero fatto le chiacchiere di Hanji.
Tentai di ricompormi: non era facile con la fame sempre più impellente e le zanzare che tentavano di mangiarti vivo.

"Cerchiamo un riparo naturale." Constatai "Una grotta, un'insenatura, un tronco di albero scavato, qualcosa. Domattina ci rimettiamo in cammino, e stavolta dirigo io. " Il mio tono non ammetteva repliche: Hanji annuì con foga.

"Sissignore!"

Sulle gambe malferme, con le gocce di sudore che ci imperlavano la fronte, ci rimettemmo in marcia, addentrandoci sempre più nel polmone verde della Terra.

"Non è così male, dai!"

Due ore e mezzo dopo, - quando ormai il buio aveva inglobato ogni cosa nelle sue spire - stanchi, affamati, riuscimmo a trovare una piccola grotta al limitare di una radura.
Era di modestissime dimensioni: le pareti in pietra scura trasudavano umidità, ma il terreno sotto di queste era stranamente asciutto. Gettai lo zaino ad un angolo e mi sdraiai, ansimando: era distrutto, sia mentalmente che fisicamente. Hanji - che sembrava non sentire un briciolo di fatica - aveva iniziato a scandagliare la zona tutt'intorno.
Cullato dal suono delle fronde mosse dal vento e dal delicato cinguettìo di qualche stormo nelle vicinanze, mi addormentai.

"Psst, Levi! Sveglia..."

"Ancora dieci minuti mamma..."

"No sciocchino sono io, Hanji! Tieni, ti ho portato qualcosa da mettere sotto i denti"

Aprii riluttante gli occhi, mugolando infastidito quando una luce accecante mi prese alla sprovvista: la quattrocchi era riuscita ad accendere un fuoco, almeno qualcosa di utile lo aveva fatto.
Mi sedetti traballante, e osservai la manciata di bacche rosse che Hanji teneva in mano: sembravano succulente, o forse era la fame a suggerirlo. Ne afferrai una e la masticai: era sorprendentemente dolce.
Finii di mangiare in silenzio, mentre Hanji studiava la cartina che avevamo in dotazione, cercando invano di individuare la nostra posizione: le palpebre le calavano sempre più, secondo dopo secondo.

"Vai a dormire, al primo turno di guardia ci penso io."

Lei mi guardò grata: "Grazie Levi, svegliami quando non ce la fai più, mi raccomando."

Annuii. La osservai raggomitolarsi su sè stessa con la testa appoggiata sullo zaino, rabbrividendo dal freddo: non era una sorpresa il repentino sbalzo termico dal giorno alla notte, nella foresta.

"Levi..."

"Che c'è ancora?"

"Scusami, lo so che è tutta colpa mia. Non avrei dovuto seguire quella farfalla, e soprattutto non avrei dovuto trascinarti dietro con me."

Mi prese in contropiede: per quanto non la sopportassi, non riuscivo a stare arrabbiato con lei, era più forte di me.

"Tch, va bene, va bene, ma ora dormi."
Sospirai: sarebbe stata una lunga notte.

Qualche ora più tardi, la mia vescica implorava pietà.
Brontolai tra me e me e mi alzai lentamente: la schiena scricchiolò molesta.

Tutt'attorno regnava una quiete quasi innaturale, interrotta di tanto in tanto dal russare intermittente di Hanji e il verso indistinto di chissà quale animale. L'oscurità era densa, pesante, nemmeno la luce degli astri che brillavano sopra la radura, - priva dello schermo degli alberi - riusciva a fenderla.
Afferrai un ramo secco che trovai poco lontano e lo avvicinai al fuoco, ormai prossimo a spegnersi, creando così una torcia di fortuna.

M'incamminai incespicando verso un punto impreciso vicino alla grotta, dove avrei potuto godere di un po' di tranquillità: un uomo aveva il diritto di espletare i propri bisogni in santa pace o no?

Mossi qualche passo, poi la terra mi mancò sotto i piedi.

Non mi accorsi nemmeno di stare gridando lungo tutta la discesa dello strapiombo fino a quando, dopo quella che mi parve un'eternità, raggiunsi il fondo con un tonfo, battendo violentemente la schiena.

"Kenny, questa te la faccio pagare..."

Sibilai tra i denti, tenendomi con una mano la testa dolorante. Idea fantastica, la mia, davvero meravigliosa: per il mio fottuto bisogno di intimità - ma poi da cosa? Hanji non l'avrebbero svegliata neanche delle cannonate - ero finito a culo all'aria in uno strapiombo.
In uni strapiombo immerso chissà dove.
Grugnii afflitto e tentai di rimettermi in piedi, ma un dolore lancinante alla caviglia mi fece appannare la vista per qualche secondo.
Ci mancava anche una distorsione, ora come avrei fatto a tornare indietro?

"Maledizione..."

Scivolai nuovamente sulla parete scoscesa, tentando di mettere a fuoco l'ambiente circostante: nel buio tutt'attorno, riuscivo solo a individuare le sagome degli alberi e non so quanti minacciosi occhi rossi.

...

Aspetta, cosa?

Senza nemmeno il tempo di metabolizzare la situazione, un branco di babbuini, con le zanne in bella vista e lo sguardo iniettato di sangue, scattarono in avanti, gridando affamati.

Ero spacciato.

To be continued...

NdA: Ho cambiato idea, sarà una mini long anche questa, non più due mega capitoli e stop, così vedo di svilupparla un po' meglio! Ah, esperimento con il pov in prima persona, ho voluto cambiare :)
Spero vi sia piaciuta!
Alla prossima! **

Capitolo Due: Meeting

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