Capitolo Nove: Home is...
[...] mi avvicinai barcollante ad Eren, e mi accorsi che non respirava più.
Quando riaprii gli occhi, la prima cosa che riuscii a vedere fu il sorrisone sbilenco di Hanji ad un palmo dal mio naso.
Ma che diamine era successo?
"Hanji...Dov'è E-Eren?" Rantolai con un filo di voce: la gola mi bruciava e la lingua asciutta si rifiutava di collaborare.
"SEI VIVO!" Lei mi ignorò e mi abbracciò, iniziando a scuotermi come una marionetta.
"C-che è successo? Dov'è Eren?" Chiesi nuovamente, mentre sentivo l'agitazione crescere sempre più in me.
"Mollalo, Hanji." La voce profonda di Erwin mi salvò da quel boa constrictor della Zöe: vidi il biondo avvicinarsi piano con la coda dell'occhio, sorretto, nella sua camminata, dalle braccia salde di Mike attorno alla sua vita.
Erwin s'inginocchiò lentamente davanti a me: gli occhi cerulei colmi di gratitudine e profonda gioia, un sorriso stanco disegnato sulle labbra fini.
"Levi, grazie."
Solo allora mi resi conto che, dove prima pendeva il suo braccio destro, ora, vi era il vuoto: la spalla spoglia era stata fasciata stretta da una spessa garza bianca, assicurata con liane sottili.
"M-ma ma...Erwin, il tuo braccio, cos-"
Poi gli eventi che si erano susseguiti sino a quel momento mi piombarono addosso come una valanga: la scoperta del covo, i miei amici in trappola, il piano, il fallimento, Sabor che attaccava...
Erwin che si gettava a proteggere Mike, Eren che interveniva prontamente, io che salvavo loro, uccidendo la bestia.
Eren...
"Hanji ha dovuto amputarlo, le condizioni in cui versava erano terribili, e avrei continuato a perdere sangue inutilmente." Spiegò tecnico Erwin, fissandosi la ferita rassegnato "Ma sarebbe potuta andarmi peggio, quindi, sono felice."
Un attimo dopo, mi trovai stretto nel tepore della morsa di Mike, Moblit e Nanaba, che balbettavano 'grazie' sommessi e piagnucolavano felici: che stupidi.
I miei stupidi.
"Ma dov'è Eren?!?" Chiesi per l'ennesima volta, iniziando ad alterarmi.
"Sono qui."
Eren spuntò praticamente dal nulla, e mi sorrise caldo, rivolgendomi uno di quei suoi sguardi: divertito, forse un po' canzonatorio, ma pregno anche di qualcosa al quale non sapevo attribuire un nome - o forse sì, ma non volevo illudermi.
"Ma...Tu non respiravi più..."
Lui mi osservò dubbioso, poi disse: "No, Levi, ti stai sbagliando."
Mi sciolsi da quel groviglio di braccia e gambe, e mi alzai, ancora instabile sulle gambe malferme: ignorai le scosse che mi percorsero gli arti inferiori e mi avvicinai ad Eren, che reputavo fosse solo frutto della mia immaginazione.
Volevo toccarlo, volevo baciarlo, volevo assicurarmi che fosse reale.
"Io ti ho visto! Subito dopo aver ucciso Sabor...Eri immobile, riverso a terra, le tue labbra erano violacee e non respiravi! Eri morto!" Stavo urlando senza volerlo.
Affondai il viso nel suo petto villoso, e mi beai del suo odore: era vero, non si trattava di un'allucinazione.
"Quando Sabor ha esalato l'ultimo respiro-" Spiegò infine Eren, accarezzandomi i capelli "Ho visto i tuoi occhi rovesciarsi e la tua mano perdere la presa sul pugnale. Sei caduto sul suo cadavere come una bambola inanimata, pallido, e per un momento ho creduto che anche lui ti avesse fatto del male." Mi cinse più forte con le braccia: quasi temetti che mi spezzasse.
"Ho avuto paura di perderti Levi."
Quindi era stato tutto un sogno? Ero semplicemente svenuto per le troppe, intense emozioni? L'adrenalina mi aveva abbandonato, e con essa, anche le ultime energie rimaste?
Solo uno sogno.
"Il branco di Sabor non darà più alcun fastidio: li ho condotti a morte certa, dove la foresta si fa rada, e la terra lascia il posto ad un lago di lava infuocata."
"Il mio folletto - che più che folletto ora, è uno gnomo da guerra con tanto d'ascia - però, non si smentisce mai: hai avuto un calo di zuccheri, Levino mio, e mai ho rilevato una pressione così bassa, nemmeno durante il mio tirocinio in ospedale!" Trillò Hanji, che intanto ci guardava con gli occhi a cuoricino.
Per una delle sue cinque lauree, la donna aveva studiato anche per diventare infermiera: era pazza, quello sì, ma era anche estremamente dotata.
"Menomale porto sempre con me l'occorrente da lavoro! Sennò anche il piccolo Erwin qui se la sarebbe vista brutta! Eheheh...Ma io e Bean - il mio amichetto bisturi - non perdoniamo!"
Le sorrisi.
"Grazie, Hanji, davvero."
"Bwaaaaaaaaah! Levi si è commosso!" E mi atterrò di nuovo.
Era notte fonda ormai, quando ci avviammo verso il rifugio, insieme: esausti, ma terribilmente felici.
***
L'indomani, accompagnai Eren a casa sua, come promesso: dopo esserci rifocillati per bene e aver camminato per un'ora, giungemmo finalmente al luogo da lui indicato.
La radura si schiudeva improvvisa dove i filare degli alberi svettanti si interrompevano bruscamente: stormi di ara colorati s'intravedevano dalle fronde intricate. Il sole riplendeva sereno in cielo, alto, riflettendosi sull'erba verde tutt'attorno: una cascata, sullo sfondo, gorgogliava tranquilla.
Era uno spettacolo meraviglioso, e - forse - il più bello di cui fossi mai stato testimone: la natura, ancora una volta, con la sua infinita tavolozza di colori, aveva dipinto un capolavoro.
Eren mi aveva condotto a casa. Ma delle scimmie che tanto aveva osannato, nemmeno l'ombra.
Lo fissai perplesso, negli occhi una sola domanda: 'Dove sono?'
Non ebbe bisogno di rispondermi: dal profondo della foresta, comparse dal nulla, centinaia di scimmie brunastre avanzarono lentamente, ancheggiando sulle zampe possenti: gli espressivi occhietti scuri diretti verso di noi.
Indietreggiai di riflesso, inconsciamente spaventato, e in cuor mio avrei desiderato fuggire via - più veloce di quella volta in cui Kenny mi rincorse con la bacinella dell'acqua sporca del pavimento, minacciando di rovesciarmela addosso - ma Eren mi afferrò dolcemente per una spalla, e mi bloccò.
"Non avere paura." Mi sussurrò nell'orecchio, e gli credetti.
Intanto, i grossi mammiferi ci avevano accerchiato, e si erano seduti mollemente sul terreno ancora umido di rugiada, senza smettere di guardarci: poi, due scimmie si distanziarono dal resto del gruppo, e si avvicinarono.
La più piccola aveva la pelliccia brunastra e due grandi occhi ambrati, mentre l'altra la superava di almeno una spanna, ed il suo sguardo nero come la pece si confondeva con il manto corvino; seppi, senza averla mai vista prima, che la minore doveva essere Kala.
Eren s'inchinò dinanzi a loro, ed io feci lo stesso, quasi mosso da una volontà altra alla mia.
Kala tese una zampa rugosa e gli accarezzò amorevolmente la guancia, giocherellando con una ciocca di capelli ribelli: nelle sue iridi leggevo solo un'incondizionato, profondo affetto.
"Signore-" Soffiò infine Eren, rivolgendosi a colui che presupposi dovesse essere il capobranco, poi la sua voce si fece più leggera "Madre."
Lei mugugnò contenta, senza smettere di fissarlo: poco dopo, rivolse l'attenzione su di me, e mai come allora mi sentii tanto nudo, esposto - la mia anima lo era, priva di ogni corazza e finzione, sotto lo sguardo curioso di Kala, colei che aveva salvato uno sciagurato infante in fasce, spinta solo dal mero istinto materno.
'Grazie. Grazie per averlo fatto' Mi ritrovai a pensare.
Grazie per avermi dato la possibilità di conoscere l'amore.
Perchè era di amore che si trattava: non sapevo che altro nome attribuire al sentimento che mi legava ad Eren, se non quello.
Un amour étrange, indissoluble, indicible.
Un amore che era nato un po' così, per sbaglio, senza che nè io nè lui lo avessimo voluto veramente. Sapevo poco io, di tutto ciò: non avevo idea di cosa significasse sentirsi legati irrimediabilmente a una persona, desiderare di trascorrere ogni singolo istante della propria esistenza al suo fianco, necessitarla vicina, sempre - cercare di essere migliori, per questa.
Ne sapevo poco, fino a quel momento.
Tante di queste peculiari sensazioni le avevo - e le stavo sperimentando tutt'ora con Eren, ma di una cosa ero da sempre stato convinto: non scegli di chi innamorarti, t'innamori e basta, senza 'se' e senza 'ma'.
L'amore è indomabile, impalpabile: 'l'amore non esiste' mi hanno ribadito in tanti 'l'amore è un'illusione creata dall'uomo per ovviare alla solitudine che gli è propria'.
L'amore era tutto questo, e niente allo stesso tempo.
L'amore fu ciò che m'inondò il cuore, quando non riuscii più a sostenere lo sguardo inquisitore di Kala, e mi rivolsi a Eren, per vedere che già mi fissava, e mi sorrideva.
Quella foresta mi aveva cambiato, o forse, aveva semplicemente svelato la persona che si celava dietro la mia apparente fredda, burbera, menefreghista, scorbutica facciata.
"Madre, lui è Levi."
Mi domandai perchè gli stesse parlando nella nostra lingua, e non nella loro, ma rimasi in silenzio: qualcosa mi suggeriva che Kala in realtà, comprendesse ciascuna parola.
"Lui è uno degli uomini venuti da lontano nella nostra Terra. Lui è colui che ha ucciso Sabor."
All'udire il nome della bestia defunta, gridi di giubilo si levarono dalle gole delle scimmie attorno, che iniziarono a saltare di gioia senza freni: anche la Madre si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, e mi regalò quello che doveva essere un sorriso.
"Madre-" continuò poi Eren "Lui è il mio uomo."
Poi mi ritrovai con il naso premuto contro la pelliccia morbida di Kala, e le sua zampe possenti m'intrappolarono in uno stretto abbraccio caldo: non mi resi conto di averlo ricambiato una frazione di secondo dopo, come non mi resi conto che i miei occhi si erano improvvisamente fatti lucidi, colmi di lacrime trattenute da troppo tempo.
Lei mi sussurrò qualcosa all'orecchio, un verso indistinto, primordiale, che suonava tanto come 'Grazie', senza sapere che in realtà ero io a doverle tutto.
Sì.
Avevo appena definito Eren come tutto, e ciò mi spaventò terribilmente.
Ma non mi sottrassi alla morsa della verità come il giorno in cui l'avevo baciato, nella foresta - avevo smesso di essere un codardo: le mura che si ergevano a proteggere la città del mio cuore erano state abbattute, una dopo l'altra, il nemico là fuori finalmente sconfitto.
Potevo spiccare il volo, vestito solo delle mie ali di libertà.
Quando Kala sciolse l'abbraccio, Eren mi cinse per la vita, avvicinandomi a lui: potevo leggere la commozione nelle sue iridi smeraldo.
"Signore, Madre, chiedo la vostra benedizione."
E la benedizione arrivò come una camionata di fango e nonvogliosaperecosaltro che mi sommerse da capo a piedi.
"Che cazzo di...SCHIFO!" Urlai a pieni polmoni, quando mi tolsi dalla faccia un quantitativo spropositato di quella merda (che forse lo era, anche letteralmente, purtroppo) - e vi giuro, mi stavo per incazzare come una bestia, che Sabor, levati proprio - ma poi la risata cristallina di Eren mi giunse all'orecchio come una cura.
E un attimo dopo stavo ridendo anch'io, come non facevo da anni ormai.
Mangiammo frutta matura e bevemmo l'acqua fresca della sorgente, mentre tutti parlavano una lingua che non potevo capire: ero terribilmente fuori luogo, ma mai mi ero sentito così giusto.
***
"Vieni, ti voglio portare in un posto speciale." Esordì così quella sera, Eren, una volta concluso l'abbondante banchetto: mi sembrava un déjà-vu.
Un bellissimo déjà-vu.
Superammo la radura delle scimmie, dove queste già dormivano placide, ritiratesi sui rami più alti degli alberi, attraversammo una piccola collinetta e finimmo col giungere al limitare della cascata, che si tuffava canterina nel lago sottostante. Ma Eren non si bloccò lì: mi prese per mano e insieme aggirammo il precedente, sfiorando la schiena contro la roccia dietro di noi.
"Eren, così affoghiamo." Constatai, notando che ci stavamo avvicinando sempre di più alla tumultuosa parete d'acqua.
"Eren, così affoghiamo." Ripetei, preoccupato "-Eren, EREN!"
Dopo avermi afferrato per la vita, con un balzo, Eren mi trascinò contro la cascata, ignorando il mio grido di protesta: attesi l'impatto contro la pietra, inevitabile.
Serrai gli occhi e mi preparai al peggio.
Che non avvenne.
Caddi sorprendentemente a terra, ed iniziai a sputacchiare l'acqua che avevo bevuto - poi, lentamente, misi a fuoco l'ambiente circostante, e per poco non urlai una seconda volta.
Eravamo dietro la cascata.
Più precisamente, ci trovavamo in una piccola grotta naturale dalle pareti chiare e luminose: su queste, si rifletteva un arcobaleno di colori baluginanti che filtrava dalla tenda d'acqua a separarci dal resto del mondo. La luce della luna e degli astri nascenti ci raggiungeva fin lì, spezzandosi nella cascata e proiettando il suo spettro di sfumature tutt'intorno.
Mi accorsi solo dopo un po' di esser seduto sopra un piccolo giaciglio di foglie di palma, attorniato da una corona di boccioli azzurri: Eren aveva architettato tutto questo per me.
Per noi.
Lo fissai con la bocca spalancata, non sapendo cosa dire: qualsiasi parola avesse lasciato le mie labbra, probabilmente non sarebbe stata mai abbastanza per esprimere la mia gratitudine nei suoi confronti.
Quindi lo baciai.
Un tempo infinito dopo mi staccai da lui, e mi persi nelle sue orbite smeraldine: quel che pronunciai un secondo più tardi giunse alle mie orecchie come un eco sbiadito.
"Je veux te faire l'amour."
NdA: Che bello riuscire ad aggiornare così in fretta, son contenta ;-; allluuuora capitolino di passaggio, molto più corto rispetto ai precedenti, ma va bene così (non vi dico che mi son commossa quando lo scrivevo, ma poco ci manca) -- ci stiamo avviando verso la conclusione: il prossimo sarà infatti l'ultimo capitolo prima del prologo. E ora posso finalmente dirlo LEMON LEMON LEMON *intona l'alleluia*
So di farvi felici ;))))
Alla prossima - si spera il più vicino possibile, ma sicuramente sarà dopo il 18 *ESAME ALERT*
Un bacione,
<3
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