Capitolo 27 - ansie e paure
Caro diario...
ti scrivo mentre sono finalmente in nave, diretta verso la mia adorata isola. Non posso fare a meno di sorridere beatamente mentre me ne sto qui, affacciata all'oblò con davanti a me solo la vista del mare.
Sento dentro me un senso di tranquillità e pace inesprimibili a parole, un fremito mi percorre tutto il corpo al solo pensiero che tra qualche ora finalmente mi immergerò in quegli occhi.
Anna, mia cugina, mi ha già telefonata tre volte prima di mettere piede sulla nave. Mi ha raccomandata di raccontarle tutto ciò che si è persa in questi due anni, e io le ho promesso che non mi sarei dimenticata di nulla.
Le farò venire la nausea a furia di parlarle di lui, un pò come ho fatto con Sonia, quando passavamo i pomeriggi a fare i piatti a casa sua e io le chiedevo in continuazione di ripetermi come lui mi avesse guardata o di cosa mi avesse detto.
So benissimo che tutto questo un giorno mi mancherà, però non riesco ancora a non pensare a come sarà un domani.
Pagherei non so quanto per sapere come andrà a finire, se riusciremo ad abbattere questo muro fatto di orgoglio e se uno dei due alla fine cederà e rivelerà all'altro i suoi sentimenti.
Perché ormai sono quasi certa che proviamo le stesse cose, le stesse emozioni.
Chi farà il primo passo?
E come succederà?
Non riesco a immaginarmelo, né la circostanza e nemmeno il discorso.
Non riesco per ora, nemmeno a immaginare se un domani per noi ci sarà.
E se sarà sempre una battaglia senza vincitore?
Sento il telefono squillare e torno finalmente alla mia realtà, mi avvicino alla scrivania vedendo il nome di Ale sullo schermo.
Faccio un lungo respiro e decido finalmente di rispondergli, ma restando zitta.
«Ire?»
Sentire la sua voce in qualche modo mi rassicura, ma continuo a stare sulla difensiva. Non è la prima volta che discutiamo, e sicuramente non sarà nemmeno l'ultima. Io e Ale abbiamo passato due tipi di infanzia completamente diversi, io sono cresciuta in una famiglia le cui attenzioni erano tutte rivolte verso di me, l'unica cosa di cui ho sofferto tantissimo è stata la lontananza di mio padre a causa del suo lavoro. Mia madre non ha mai voluto seguirlo, ma ha sempre preferito creare delle radici sicure a me, piuttosto che farmi vivere ciò che ha passato lei.
Certo, la presenza di mio padre mi è mancata tantissimo, ma fortunatamente oltre a questo, sono cresciuta in una campana di vetro riempita di amore da parte di tutti.
Ale, invece, è cresciuto in un certo senso prima del suo tempo. Avendo ben un fratello e due sorelle più piccole, per lui le attenzioni non c'erano mai anzi, molte volte mi racconta che guardava lui le sorelle quando i suoi non c'erano.
Questo può sembrare una sciocchezza, ma a lui sono mancate cose che per me erano all'ordine del giorno, attenzioni sia emotive che materiali che io ho sempre dato anche per scontato, mentre lui non le aveva.
«Dimmi» cerco di restare più ferma che posso, ma sono già sciolta come un cioccolatino. Inutile negarlo, la sua chiamata mi ha fatto piacere.
«Ti va di parlare?»
Sospiro e cedo come una pera cotta «va bene...»
Ci diamo appuntamento per risolvere e poi chiudo la chiamata.
Vado in cucina saltellando come una scema, mamma si gira e capisce subito tutto
«Avete chiarito?»
«Ancora no, dobbiamo vederci»
Lei sospira, «non avevo dubbi che ti avrebbe cercata»
«Avevo paura di perderlo...»
Paura: è l'emozione che mi è passata davanti agli occhi ieri sera. Nera come la pece, le gambe sentivo che pesavano sempre di più e il mio respiro diventava ogni secondo più affannoso. La paura di perdere Alessio, mi ha fatto uscire fuori di testa.
Quando ho realizzato che la situazione mi stava sfuggendo dalle mani, i miei occhi hanno iniziato a sgorgare di lacrime, e mentre lo guardavo mi rendevo sempre più conto di quanto fossi patetica, di quanto quelle erano solo lacrime di coccodrillo.
Ad ora, mi chiedo: si può davvero rendere patetica una persona solo perché sta esprimendo le sue emozioni? E perché ogni volta che succede, ci si autoaccusa?
Vorrei davvero dire tutto questo a mia madre, sfogarmi e rendermi completamente nuda davanti ai suoi occhi, ma in questo momento sono troppo fragile, talmente tanto che non ne ho più voglia di piangere di nuovo.
Con lei però sembra non ci sia nessun tipo di filtro, perché la sua espressione mi sta facendo capire in maniera molto chiara, che ha già capito tutto.
Mi sorride e inclina leggermente la testa da un lato, mentre con la sua mano mi accarezza delicatamente la mano.
«Lo sai che non hai bisogno di parlare con me»
E ancora mi sembra di vedere nuovamente un enorme punto interrogativo nei suoi occhi.
Lei questa ansia, questa sofferenza l'ha già vissuta, l'ha già logorata tempo fa e forse lo fa tutt'ora.
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