9. Nemici fino all'amore
Genere: love story/simil chat story
Era il primo giorno di scuole elementari e Beatrice era attaccata alla lunga gonna della madre con talmente tante forze che a vederla da fuori si potevano avere dei seri dubbi che fosse solo una bambina di sei anni.
-Non voglio andarci, mamma!- Beatrice urlava, urlava la stessa frase da almeno due giorni, senza proferire altre parole.
Ormai tutto il vicinato conosceva le intenzioni di Beatrice e stavano organizzando un piano per far in modo che quella bambina ci rimanesse rinchiusa dentro, a scuola.
Altro che non andarci.
-Trice, quante altre volte te lo devo dire? Tu devi andarci, vedrai che ti troverai bene e ti farai tanti amici.- le rispose la madre per l'ennesima volta, mentre cercava di trascinare la figlia fino alla sua aula.
La bambina, i cui capelli erano dello stesso colore del grano e gli occhi rossi a furia delle lacrime perdevano il loro naturale color giada, riprese a gridare, facendo sì che tutta la scuola si affacciò per vedere che cosa stesse succedendo.
-Sei contenta ora? Ci guardano tutti.- la madre le sibilò contro, arrabbiata per il fatto che niente e nessuno sarebbe riuscito a impedirle di subire una sfuriata del capo visto il ritardo che stava accumulando.
La bambina smise un secondo di gridare, dando pace alle povere orecchie della madre, per osservare quello che aveva intorno e, in quell'attimo di distrazione, la donna dai lunghi capelli biondi rinchiusi in una coda di cavallo la trascinò velocemente nell'aula e corse alla macchina, mettendo in moto.
Non si fermò a salutare la figlia per paura che avrebbe ricominciato a urlare e pregustando il fatto che per qualche ora non sarebbe stato più compito suo cercare di fermare le sue grida. Anche se una volta arrivata al lavoro e dopo la lavata di capo, una stilettata di senso di colpa la colpì al cuore, facendola rimanere con troppi pensieri verso la figlia.
Chissà se si sarebbe trovata bene e ora era finalmente felice di essere a scuola.
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Ancora non riusciva a credere che sua mamma l'aveva lasciata lì, in mezzo a tutti quei bambini sconosciuti seduti dietro a dei banchi e una donna dall'aria cattiva che la osservava da dietro a una cattedra.
Alla bambina iniziarono a riempirsi gli occhi di lacrime e il labbro inferiore cominciò a tremare. Era sul punto di cominciare nuovamente a gridare, per chiamare la sua mamma quando la donna parlò.
-Tu devi essere Beatrice Petruzzi, molto bene. Ora vai a sederti in quel banco vuoto.-
Troppo intimorita dal tono duro e autorevole, Beatrice non osò replicare e tirando su con il naso andò a sedersi al fianco di quel bambino con dei corti capelli neri che si stava infilando le dita nel naso per passare il tempo.
Beatrice pensò a quanto potesse essere disgustoso un bambino del genere e si mise in testa che quel bambino sarebbe dovuto restare sempre lontano da lei.
-Ciao, io mi chiamo Matteo.- disse il bambino in questione, porgendole la mano che fino al momento prima stava cercando qualcosa all'interno del piccolo naso che stava nel centro di quel viso rotondo incorniciato da riccioli scuri.
La bambina fissò quella mano, come se in qualche modo essa potesse sparire da un momento all'altro e poi, grazie all'apertura della porta si voltò senza rispondere.
-Buongiorno, eccomi.-
La giovane donna appena entrata aveva i capelli scuri e lisci come spaghetti e una camicia larga sui toni del bianco.
-Che non ricapiti mai più.- rispose solamente la donna dal tono duro.
La donna si sistemò i pochi capelli in disordine, causati dalla corsa appena terminata e si sedette sulla cattedra.
-Allora bambini, io mi chiamo Teresa e sarò la vostra maestra per italiano e storia. Chi vuole iniziare a dirmi il suo nome?-
Tanti bambini tirarono su la mano, tutti tranne Beatrice che stava ancora pensando alla mano di Matteo tesa verso di lei.
Avrebbe dovuto forse stringerla e iniziare a farsi degli amici come diceva sua mamma?
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Le prime ore erano finite e i bambini potevano prendere le merende dai loro zaini e rifocillarsi a sazietà, Beatrice prese la sua fetta di crostata fatta in casa, quella alle albicocche che era la sua preferita e inizio a mangiucchiarla prima che due bambine si avvicinarono al suo banco.
-Ciao! Noi siamo Ester e Federica, vuoi essere nostra amica?-
Beatrice le guardò, quasi le studiò fin quando vide che in mano tenevano una pizzetta, uno dei suoi piatti preferiti e le si illuminarono gli occhi. A quel punto Ester, la bambina dai capelli scuri, le porse la pizzetta chiedendole se ne volesse assaggiare un pezzo, in cambio di un pezzo di crostata.
Beatrice annuì, sancendo la sua prima amicizia in quella scuola e dando per sempre tregua alle orecchie del suo vicinato.
Con la coda dell'occhio vide un movimento repentino del suo compagno di banco, ma non fece in tempo a girarsi che lui le tirò le codine che arrivavano fino alle spalle, facendo gridare la bimba di dolore.
-Che cosa succede qui?- il tono dolce della maestra era velato di preoccupazione e quando vide la povera bambina con gli occhi pieni di lacrime si avvicinò per sentire che cosa fosse successo, anche se le sue nuove amiche risposero prima di lei.
-Matteo! Scusati immediatamente con Beatrice.- disse in tono severo la maestra, non ammettendo repliche.
Lui guardò a lungo la sua preda negli occhi, prima di chiederle scusa e quando tutti tornarono a sedersi sussurrò alla sua prima nemica: "Uno a zero per me" sancendo una guerra che non sarebbe mai finita.
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