8.4 Dentro la tempesta

Chiudo la porta alle mie spalle e un tuono rimbomba dentro la stanza: non penso sia strano sentire un tuono, ma quel che reputo strano è il fatto che il tuono sembrasse nascere all'interno della stanza.
Altri tuoni rimbombano, facendo tremare i vetri delle finestre e quando un lampo illumina il cortile sul quale si affaccia la mia camera nonostante sia giorno, mi spavento.
Un salto all'indietro e colpire contro la porta con la schiena mi riportano alla realtà, amo i temporali e ancora di più quando posso starmene tutto il tempo nel letto, guardando dalle finestre la pioggia che inizia a cadere.
Ho sempre trovato rilassante la pioggia, soprattutto quella dei temporali. Il che è un controsenso per antonomasia visto che i temporali molto spesso sono sinonimo di caos.

In poco tempo dimentico tutto: dove sono, i risultati del test che usciranno tra tre giorni, del ragazzo di prima che mi ha ammaliata e resa insofferente alla sua presenza in un istante, delle cattive sensazioni che mi suscita Ayelet e i miei occhi si chiudono.
Il suono armonioso del temporale che imperversa fuori mi culla in un dolce sonno privo di sogni.

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Al mio risveglio il temporale è finito e le luci del cortile cercano di illuminare la strada agli studenti che la luna crescente non riesce a illuminare.
Rimango lì a fissare la luna, come se potesse darmi qualche risposta alle domande che scorrono veloci nella mia mente senza rendermi conto che ormai è notte e mi sono svegliata perchè ho fame: me ne accorgo solo quando sento il mio stomaco brontolare.
Mi guardo attorno, cercando attorno a me una soluzione da poter mangiare, anche se già che le uniche cose presenti in questa stanza sono i miei mille vestiti per rimanere qui fino alle vacanze di Natale.
A volte mi chiedo come io riesca a essere così limitata: a casa avevo sempre qualche cosa in stanza per queste evenienze. E lì avevo una cucina al piano di sotto!

Appena finisco di pensare a casa, mi rendo conto che anche qui c'è una cucina e che qui c'è anche molto di più.
Mi metto un giubbino perché di notte le temperature scendono ed esco dalla stanza, con la speranza di trovare qualcosa di aperto.

Ho girato ovunque nel campus, ma non c'è niente di aperto e io mi siedo sulla prima panchina che trovo prendendomi la testa tra le mani, sconsolata.
Rimango lì per un tempo che mi pare eccessivamente lungo, fin quando non sento qualcuno parlare a gran voce. Così alzo la testa e mi guardo attorno, cercando la provenienza della voce.
Possibile che qui trovi solo gente che urla?

-Certo che sei proprio sorda, eh bambolina? Ti sto chiamando da cinque minuti.-
Sentendo quel soprannome che odio mi irrigidisco, riconoscendo il proprietario della voce come il ragazzo dagli occhi che racchiudono il mondo e allo stesso tempo un tuono rimbomba, come ad annunciare un nuovo temporale.
Perché il tuono rimbombava anche nel mio cuore?

-Che cosa ci fa una bambolina come te qui al buio tutta sola?-
Un altro tuono rimbomba e sembra essere più forte del precedente, come la mia rabbia nei suoi confronti.
Sembra non servire fare ampi respiri e contare fino a mille, perché lui pare cercare tutti i modi per farmi innervosire.
-Ti sei persa nuovamente?-
Ora la voce è proprio davanti a me, ma l'unica cosa che riesco a vedere di lui sono solo quegli occhi bellissimi.
Mentre dei tuoni continuano a rimbombare, gli chiedo con voce seccata che cosa vuole da me, ricevendo come risposta solo una dannata risata.

Stufa di lui e di queste situazioni in cui riesco a cacciarmi, mi alzo da questa panchina pronta a tornarmene in camera, seppur affamata.
Riesco a fare un passo prima che il mio stomaco traditore faccia sentire quanto lui voglia del cibo.
Il suo tono cambia e diventa più comprensivo nel chiedermi se ho fame e quando come risposta sente un altro verso del mio stomaco impazzito, cosa che non mi ha dato il tempo di rispondergli per le rime, si limita a ordinarmi di seguirlo.
Sono restia nel fare quello che mi chiede, ma quando torna sui suoi passi per agguantare dolcemente il polso marchiato da segni neri, misteriosi e indelebili, sono costretta a seguirlo, seppur di malavoglia.

Appena la sua mano ha toccato il mio polso, una scarica di energia mi ha attraversata, facendomi chiudere lo stomaco e cercare di capire che cosa sia potuto accadere.
Sono così concentrata nel cercar di far muovere quel criceto atrofizzato che mi trovo nel cervello da non accorgermi di essere arrivati, così da compiere un passo di troppo e finire con il petto contro l'ampia schiena di Rob.
-Ma che cosa fai?-
Quasi urla nel pormi quella domanda e un forte calore si sprigiona dalla sua mano, facendomi iniziare a sudare visto il contatto ancora esistente tra la sua mano e il mio polso.
Stringo i denti mentre il calore continua ad aumentare, senza rispondergli perché tutta la mia concentrazione sta nel cercare di non far trapelare il mio dolore, anche se a un certo punto sono costretta a lasciar uscire un mugugno.
Rob capisce che mi sta facendo male e lascia andare il mio polso, come se quello scottato fosse lui e non io.
Si guarda la mano e poi sposta lo sguardo sul mio polso, dove fanno la loro comparsa tutti i segni che già avevo e qualcuno in più.
In tutto sono già sette.
Sono scioccata, a tal punto da non riuscire a proferire parola né a staccare gli occhi dal mio polso che, alla luce dell'edificio a cui siamo arrivati, lo vedo diventare sempre più rosso.

Mi sembra di sentire Rob balbettare qualcosa che potrebbe somigliare a delle scuse prima di riprendere il solito tono e a invitarmi gentilmente a entrare.
E con invitare gentilmente intendo che mi ha costretta a entrare spingendo con le sue mani la mia schiena.
Peccato che non abbia capito il vero motivo per cui io sono scioccata: mi sono dimenticata immediatamente che la sua pelle era diventata incandescente appena ho visto tutti quei segni sulla mia pelle.
Segni che sembrano cercare di formare una saetta.

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