2.2 The Hell in Heaven
Il sole penetra dalle finestre che non sono state coperte ieri sera e i miei occhi vengono feriti da questi deboli raggi che, al momento, mi sembrano più potenti di un bazooka.
Mi stiracchio prima di girovagare per casa senza sapere che cosa fare: casa è in ordine, mia mamma è fuori e mio padre comparirà tra qualche giorno, se va bene, ubriaco marcio.
Papà è quello che ha fatto più male sia a me che a mia mamma, quindi lego i miei lunghi capelli neri in una coda alta e svuoto la camera dei miei genitori in degli scatoloni che ho intenzione di lasciare fuori dal portone del palazzo.
<<Papà se ne accorgerà quando smaltirà la sbornia e capirà che non potrà più entrare in casa.>> penso, chiamando un fabbro per chiedergli di cambiarmi la serratura di casa.
Quando tutto è pulito e ho le nuove chiavi nella mia mano, splendenti e smaniose di poter raccontare la mia storia, mi accascio sul divano e lascio la testa ciondolare all'indietro, stanca come neanche il tirocinio dell'anno scorso riusciva a lasciarmi.
<<E ora? Come farò con le spese? Mamma non pagava le bollette, ma almeno comprava da mangiare e io non so se il mio misero stipendio da cameriera può bastarmi.>>
Con gli occhi chiusi, penso a come andrò avanti da ora in avanti prima di ricordarmi che ho un lavoro a cui devo presenziare e corro in camera a prepararmi.
Ed è in quel momento che le due entità capirono che è venuto il loro momento di agire, preparandosi a fingere una vita che non appartiene a nessuno dei due per ottenere quello che bramavano: le informazioni per poter cambiare una decisione ingiusta una e la fiducia per attuare il piano l'altra.
Il ristorante a tre stelle, che mi dona i mezzi per vivere, ha dovuto assumere due nuovi dipendenti perché Giovanni e Francesco hanno dovuto licenziarsi per motivi sconosciuti e ora mi trovo con due colleghi che devo formare, visto che sono la dipendente con più anzianità qui dentro, a poche ore dall'inizio del servizio per cena.
<<Qualcuno, lassù, si diverte a prendermi in giro.>> penso, aprendo le porte della piccola sala relax per i dipendenti, da usare esclusivamente prima dell'inizio dell'inferno in sala, per trovare questi due nuovi cadetti.
"Chi devo sottoporre alla tortura di un mio insegnamento?" dico, entrando in maniera teatrale.
Due figure si alzano in fretta dai divanetti sui quali erano seduti e mi si piazzano davanti, ritti come fusi e osservandomi come si fa con un proprio superiore.
Un ragazzo e una ragazza, tanto diversi da sembrare ossimori, mi guardano in maniera diversa, ma entrambi aspettano una mia mossa. Il ragazzo è molto alto, più del mio scarso metro e cinquantacinque centimetri che mi costringe a guardare tutti dal basso in alto, ha la pelle dello stesso colore del mio amato caffè, i capelli neri, un sorriso divertito sulle labbra e gli occhi così scuri da fondere insieme pupilla e iride.
Prima che io sposti lo sguardo sulla sua collega, mi fa un occhiolino che mi fa arrossire e sospirare divertita, anche se riprendo il contegno appena i miei occhi si posano sull'ordinata coda bassa della ragazza. La coda racchiude elegantemente una folta chioma di capelli candidi che mi fanno vergognare del mio chignon lavorativo scuro come l'abisso e i miei occhi azzurri incontrano due occhi bianchi come il ghiaccio.
<<Talmente chiari da far confondere l'iride con la sclera.>> penso mentre vedo le sue labbra tirate in una linea dura e rigida che pare urlare quanto poca sia la voglia di trovarsi qui.
"Buon pomeriggio ragazzi, io mi chiamo Ginevra e sarò la vostra supervisore, qualunque cosa di cui avrete bisogno dovrete chiedere a me. Tutto chiaro?"
La ragazza annuisce, silenziosa, mentre il ragazzo alza la mano come se fossimo a scuola per ricevere il permesso di parlare.
"Quindi devo chiedertelo espressamente se voglio il tuo numero?" Fa un altro occhiolino, cosa che fa sbuffare infastidita la ragazza e alzare gli occhi al cielo a me.
"Mettiamo subito in chiaro che chiunque lavori con me è fuori dalla cerchia di una mia possibile relazione, quindi puoi anche chiedermelo, ma non riceverai il mio numero." Ora lo sguardo della ragazza è cambiato, sembra quasi affascinato da me e questo suscita in me curiosità visto che ho solo messo le adeguate distanze che si devono tenere tra colleghi. Poco dopo, senza pensarci ancora, mi faccio seguire in un veloce tour del ristorante, spiegando le loro mansioni per la serata, finendo il tour davanti agli spogliatoi.
"Dentro troverete degli armadietti, i vostri sono gli unici senza nome, cosa che dovrete aggiungere voi a fine servizio e dentro troverete la vostra uniforme. Infilatela e tra cinque minuti vi voglio di nuovo qui: abbiamo del lavoro da fare."
Ho sempre avuto il vizio di arrivare in anticipo di molto al lavoro, un po' per sfuggire alla mia situazione familiare e alle percosse che avrei ricevuto stando lì e per il resto perché mi piace avere tutto sotto controllo.
<<Cosa che a casa mi era impossibile.>>
In anticipo sul tempo che avevo concesso, la ragazza si presenta fuori dalla porta e invidio il modo in cui veste la divisa sformata e riciclata da vecchie dipendenti: sembra una modella che sfila sulle passerelle più rinomate. Non mi fermo a fissarla per non sembrare maleducata e per non dare brutte impressioni e controllo, ogni secondo, il tempo che scorre.
<<Non sopporto stare con le mani in mano, soprattutto al lavoro.>>
"Ma che fine ha fatto?" borbotto tra me e me quando mancano ancora trenta secondi allo scoccare dei cinque minuti.
"Lascia perdere Orias, lui è un ritardatario cronico e ama mettere in difficoltà le altre persone." Mi volto, stupita, verso la provenienza della voce e scopro che appartiene alla nuova ragazza.
<<Ma è possibile che questa ragazza sia perfetta? Quando parla sembra di vivere quel momento in cui il protagonista del film trova la sua anima gemella.>>
Annuisco e inizio a muovermi sul posto, cercando di non dare a vedere il complesso d'inferiorità che sta nascendo in me.
"Comunque, io mi chiamo Gabrielle." Dice con un filo di voce, facendo un passo in avanti ed entrando nel mio campo visivo.
Le sorrido, cercando di smorzare la tensione che, per invidia, ho creato e le porgo la mano.
"Io sono Ginevra, ma puoi chiamarmi Gin, se preferisci." Sentendo le mie parole, Gabrielle mi regala un sorriso radioso e mi stringe la mano.
<<Qualcuno mi dia un paio di occhiali da sole che rischio di perdere la vista.>>
"Allora, che cosa stiamo aspettando?" L'uscita del ragazzo, Orias, fa si che entrambe ci giriamo a fissarlo con cipiglio, con la conseguenza delle sue mani alzate a resa e un sorriso perfetto regalato come scusa.
Barcollo davanti al suo sorriso seducente, ma scuoto la testa e torno con i piedi per terra, abbaiando ordini su ordini per poter essere pronti quando il proprietario arriverà.
E fu in quel momento che la guerra tra il bene e il male cominciò, anche se la chiave della fine non ne era a conoscenza.
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