2.1 The Hell in Heaven
I pompieri sono arrivati presto e, dopo ore passate a pulire il disastro che mia madre ha creato, l'ho vista comparire sulla porta di casa con un sorriso vittorioso sul volto.
Non la degno di uno sguardo e continuo le mie pulizie della cucina, impegnando la rabbia che mi ha procurato nello strofinare il nero all'interno della bomba creata dalla donna che mi ha dato la luce.
"Oh, Gin! Vedo che casa è pulita! Sono proprio fortunata ad avere te come figlia!"
E dopo queste parole, la mia mente si rifiuta di continuare le azioni che avrebbero dovuto calmarmi, ma che hanno avuto solo l'effetto contrario e lancio la spugna, ormai nera, per terra con stizza.
"Sai una cosa?" Inizio, alzandomi dalla mia postazione da Cenerentola e avvicinandomi a lei con gli occhi fiammeggianti "Lo sei, sei troppo fortunata per quello che meriti. Tu non mi meriti!"
Inizio a gridare, mentre le lacrime si accumulano ai bordi dei miei occhi, il simbolo della mia fragilità e mie uniche compagne di vita.
"Non mi meriti, non dopo tutte le vessazioni che tu e papà mi avete fatto subire, non dopo le violenze che ho subito in silenzio, non dopo tutte le promesse che mi sono state fatte e che avete infranto come tutti gli oggetti che tu e papà avete distrutto per futili motivi!"
Le lacrime scorrono sulle mie guance, ormai rosse a causa dell'ira che sto finalmente sfogando, percorrendo un sentiero che scavano da più di vent'anni.
"Come ti permetti? Razza di ingrata!" Anche il volto di mia madre è rosso, come il suo vestito aderente e fin troppo corto.
La sua rabbia mi ha sempre fatto paura, tanto che chiedevo scusa a capo chino e correvo nella mia stanza a piangere tutte le mie lacrime finché non mi avrebbe raggiunta e fatto capire la lezione a suon di frustate sulla schiena. Ma non oggi.
<<Ora sono stufa.>>
Tiro su con il naso, cercando di fermare il mio pianto e rallentare il respiro prima che io venga colta da una crisi di panico.
"Fuori da questa casa."
Le mie parole sorprendono entrambe. Non sapevo di avere tutta questa forza dentro di me, mentre la donna con i miei stessi occhi azzurri non pensava che mi sarei mai permessa di dire una frase del genere.
Dopo attimi di silenzio, apre la bocca per chiedermi di ripetere quello che ho detto.
<<Se ne hai il coraggio.>> È quello che ha aggiunto sfidandomi con gli occhi stretti in una fessura di fuoco azzurro.
Asciugo le mie lacrime con la manica del maglione che indosso da questa mattina e ci lascio su un paio di chiazze nere, colpa del mascara colato. La guardo, assaporando con calma ogni suo più piccolo dettaglio: dai lunghi e curati capelli biondi, acconciati in morbide onde che, assieme ai suoi grandi occhi azzurri come il cielo d'estate, la fanno assomigliare a un angelo, al suo corpo tonico e scolpito come se fosse una modella o una ragazza della mia età. <<Cosa che non è.>>
"Esci da questa casa." Il mio sguardo e la mia voce non vacillano, così come non lo fanno i miei passi che la fanno indietreggiare fino alla porta.
"Questa è casa mia." Dice, balbettando un po', prima di aggiungere che lei è mia madre.
"Questa è casa mia, ricordi? La nonna l'ha lasciata a me e, dopo la sua morte, è intestata a me. Sono io che pago le bollette e vado alle riunioni di condominio."
Sembra farsi sempre più piccola a ogni parola che pronuncio.
"Lasceresti davvero tua madre per strada?" chiede allargando quei suoi occhi che fanno cascare ai suoi piedi anche il più santo degli uomini.
Scuoto la testa, mentre penso che non fanno effetto con me e mi sposto di lato facendola sospirare di sollievo.
"Ti do cinque minuti per raccogliere tutta la tua roba, poi ti voglio fuori di qui."
Sussulta e un suono strozzato esce dalla sua bocca, ma non mi fermo ad analizzare le sue reazioni e torno in cucina a ripulire il disastro che lei ha combinato.
Gli occhi di due importanti entità erano su di lei in quel momento per analizzare come si sarebbe comportata da lì in avanti. Una delle due entità era sorridente, consapevole di aver trovato la sua vittima, mentre l'altra era imbronciata, sapendo che forse aveva scelto la persona sbagliata.
Dopo qualche minuto, sento dei suoni dietro di me e mi volto, trovando mia madre con il naso a patata rosso e il trucco sciolto dalle lacrime.
"Allora io vado." Conosco il suo gioco e so che questo teatrino è solo per impietosirmi e farmi cambiare idea.
<<Quante volte l'ha fatto dopo avermi fatto sanguinare...>>
Torno a rivolgere le mie attenzioni al forno, mentre acconsento e la sento percorrere il poco spazio che la separa dalla porta.
"Tanto lo so che non starai senza un tetto sulla testa, con tutti gli uomini che ti ospitano nel proprio letto ogni notte." Borbotto tra me e me quando la sento chiudere la porta dietro di sé e lasciandomi cadere a terra.
Il silenzio avvolge la casa quando la notte prende il posto del dì e sento la mancanza della mia famiglia.
<<Certo, non era perfetta, ma è la mia famiglia.>>
Con il telefono in mano, vago per casa convincendomi a non fare quella chiamata che il mio cuore pensa di voler fare: so già le conseguenze e la mia schiena non può sopportarlo. Non di nuovo.
Mi sdraio sul letto, fissando il soffitto a chiazze perché non abbiamo mai avuto voglia di prendere una scala per poterlo pitturare, così come le parti alte dei muri e mi ricordo i bei tempi in cui la mia poteva sembrare ancora una famiglia senza problemi.
<<Peccato che io faccia fatica a ricordare come eravamo prima del licenziamento di papà.>>
Un paio di occhi rossi brillò nella notte oscura, mentre quella fragile creatura crollava nel sonno e il malefico sorriso seguì quel sanguigno colore subito dopo.
"È arrivato il momento dello scacco matto." Sussurrò all'aria, prima di scomparire nel buio e tornare da dove era venuto per riferire tutto al suo capo.
Nello stesso momento, dei lunghi capelli bianchi venivano alzati dal vento e sprigionavano il loro profumo di nuvole in tutto l'isolato, cullando quella giovane ragazza in un sonno senza sogni.
"Sei stata designata per salvare il mondo, ma io ti terrò d'occhio Ginevra, non mi fido di te."
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